Non è Michael Bay, ma…
Power Rangers è un franchise potente, che richiama pubblico ed attenzione mediatica.
Ciò sui cui verte buona parte dell’interesse riguarda naturalmente il modo in cui si è voluta riadattare per il grande schermo la storia dei personaggi creati dalla Saban Entertainment.
Dean Israelite e 01 Distrubution ci provano, e lo fanno con un film che verrà accolto dalle sale italiane dal 6 aprile.
Cosa significa essere un Power Ranger al giorno d’oggi?
Operare una trasposizione del genere, ad oggi, significa tenere conto di una complessa vastità di fattori.
Il prodotto di partenza era pensato per un pubblico piuttosto giovane, e la necessità di trasformarlo in modo da divorare più fette possibile della torta implica modifiche stilistiche, tecniche, e non solo. È la legge del mercato.
Dean Israelite per questo è l’uomo giusto. Nel suo background professionale c’è l’onnipresente Michael Bay, produttore del suo ultimo lungometraggio, ma compare anche Jonathan Liebesman, ovvero suo cugino, con cui ha lavorato per World Invasion.
La relazione professionale con quest’ultimo si è poi interrotta lì; per fortuna, potremmo dire, considerando la recente filmografia di Liebesman (La furia dei Titani; Tartaruga Ninja del 2014, quello brutto).
Comunque un percorso che gli fa scuola, e che lo mette al timone di questo Power Rangers, sui cui deve lavorare in maniera certosina, pescando dal passato ma attingendo molto al presente.
Via quindi quelle atmosfere fantastiche e cartoonesche che caratterizzavano il serial, per far posto ad un approccio più concreto e realistico che il cinema di oggi, e di un certo tipo, predilige.
La vena scanzonata a cui eravamo abituati non c’è più, e questo Power Rangers cerca di prendersi il più possibile sul serio, pur lasciando spazio ad una velata ironia che è tipica di certe produzioni.
Produzioni tipo Transformers, di cui il film di Israelite sembra un figlio illeggittimo, con i robottoni che qui non sono macchine ma Zord, ovvero le estensioni dirette dei Rangers, colossali strumenti guidati dai nostri eroi (se avete visto la serie sapete di cosa stiamo parlando).
Dalla storia originale Israelite e la sua troupe scelgono di prendere molto in termini di script. C’è la famigerata Rita Repulsa, ed il copione è un evergreen del genere, con la donna che vuole a tutti i costi appropriarsi del cristallo Zeo nascosto nelle viscere della Terra, grazie al quale si possono ottenere poteri spropositati, che nei piani diabolici di Rita corrispondono alla distruzione dei mondi e al trionfo dell’oscurità. Nulla che non si sia già visto, insomma.
Il ritmo con cui il racconto procede è piuttosto incalzante e ci lascia appassionare alla storia di questi cinque ragazzi, nonostante a volte salti su binari differenti rispetto al citato registro Transformers per strizzare l’occhio ad un impronta più vicina al cinecomic di stampo Marvel, filone a cui non possiamo non pensare guardando i primi minuti del film, ma a cui ci rimandano pure battute su Spider-Man, per via del modo in cui i ragazzi acquisiscono il potere.
In tutto questo ovviamente si inserisce quel contesto che è bene ci sia, e che l’etica esige, visto e considerato che – nonostante le nostre premesse – resta un film per un pubblico abbastanza giovane. Il contesto a cui ci riferiamo è appunto quella scala dei valori in cui è presente l’amicizia, in cui si condanna il bullismo, dove non devono esistere discriminazioni razziali, ecc. Il mondo perfetto, insomma. Ma qui rischiamo di essere noi quelli che saltano su binari e strade fuori dalla nostra competenza, e ci limitiamo a dire che nonostante si tratti di un canovaccio visto e rivisto, è normale, giusto e logico che in un’opera di questo tipo si evidenzino tutti questi elementi.
Ciò che ci interessa invece è che per il modo in cui il film è pensato, tutto funziona piuttosto bene. L’action è puro, la narrazione scorre senza intoppi per le due ore complessive, ed il combattimento finale è assolutamente quello che ci aspettavamo (in senso buono), con modalità e tempi adeguati e soprattutto con la capacità di modificare il tiro quando necessario, restituendoci finalmente quelle atmosfere del passato, quella nostalgia che per brevi attimi riemerge prepotente, con un Megazord spaccone e spaccatutto, e con il tanto agognato humour.
Il giusto mix tra presente e passato, insomma, dà vita ad un composto che impiega molto a salire a galla, ma quando lo fa è miscelato perfettamente.
Israelite fa i compiti casa e strappa un voto che va oltre la sufficienza, non facendoci storcere la bocca nemmeno di fronte al finalino che preannuncia un sequel.
La seconda chance tutto sommato se la sono meritata.
Verdetto:
Portare sul grande schermo, oggi, un’opera come Power Rangers significa dover tener presente una molteplicità di fattori. Dean Israelite sembra essere tutto sommato l’uomo giusto al posto giusto. Nel suo background c’è pure una collaborazione con Michael Bay, ed infatti questo film ammicca molto a Transformers, nonostante ci sia anche altro. Le esigenze attuali, per una trasposizione del genere, costata tra l’altro uno sproposito, richiedono accorgimenti di stile, e quindi dimentichiamoci quell’atmosfera scanzonata e cartoonesca del serial televisivo, al posto della quale troviamo un prodotto che si prende più sul serio. Si ricalca la storia, ma si attualizza il tutto, con un ritmo incalzante e combattimenti coinvolgenti.
In definitiva Power Rangers va oltre le nostre previsioni, e nonostante faccia poco più del compitino, per il momento è già abbastanza.