The only one who could ever reach me, was the son of a preacher man
Facciamo finta che io vi debba spiegare una cosa estremamente complicata, e che un po’ per (mancanza di) intelligenza, un po’ per pigrizia, un po’ per altri e vari problemi dettati dal caso, voi non abbiate capito bene di cosa stiamo parlando. A questo punto nella vostra testa c’è un’infarinatura di un certo livello, partendo dal presupposto che io sia tipo il tizio più erudito sull’argomento in essere, e dunque il migliore per spiegarvelo, voi comunque avete il cervello infarcito di dubbi e perplessità. Il punto è che esiste un motivo preciso per cui vi ho spiegato quella cosa (qualunque essa sia nella sua complessità) ed essa è: “diffondere il verbo”. A questo punto per i motivi di cui sopra cominciate a parlare di quell’argomento secondo il vostro personale punto di vista, e gira che ti rigira, certe cose vi risulteranno estremamente chiare, quanto meno gran parte di quelle basilari, altre… beh su altre non saprete veramente che cazzo di pesci prendere. E così finirete per fare un casino, un fottuto casino. Io che vi ho insegnato non potrò vederla in altro modo: siete scimmie che si divertono a tirarsi la merda. Gli altri? Gli altri sono un po’ meno critici e magari, completamente a digiuno della “parola originale” vi stringeranno anche la mano, senza sapere che quella mano puzza di merda.
Chiara la premessa? Parliamo allora dell‘episodio pilota di Preacher, e chi ha orecchie per intendere, intenda o vada a fanculo. Che diavolo è Preacher? Ai pochi che non lo hanno ancora fatto consiglio di leggere l’ottimo (e per nulla “spoileroso”) articolo che proprio qualche tempo fa abbiamo pubblicato, utile a farsi un giro più o meno veloce su quello che è il grande carrozzone che più o meno agli inizi degli anni ’90, Garth Ennis e Steve Dillon portarono sul mercato in un clima di sconcerto generale. La storia è quella del Reverendo Jesse Custer, pastore della sperduta cittadina texana di Annville, dove con mollezza e con una certa amarezza, guida un gregge di pecore sin troppo peccaminoso. Jesse vive il turbamento di chi ha perso la fede e Dio con essa, e nel bel mezzo di un sermone immediatamente successivo a un episodio di violenza (di cui si è ovviamente reso protagonista) verrà investito da una sorta di Spirito Santo che gli donerà il potere del “Verbo”. Il potere della voce di Dio, che gli dà la possibilità di imporre la propria volontà su chiunque sia in grado di udirlo (con annessi limiti di lingua). Ciò che scoprirà immediatamente dopo il suo ottenimento sarà il motivo di un viaggio in giro per l’America, in quello che è un racconto di road narrative come difficilmente se ne sono visti negli anni a seguire, tutto incentrato sulla ricerca di Dio… in senso letterale. Preacher è Garth Ennis al 100% e Gart Ennis è immediato, scorretto e intriso di uno humor nero che raramente si è accostato al mondo del fumetto con la stessa impareggiabile potenza. A chi lo ha letto senza capirlo sembra un’accozzaglia di moralismi facili sul valore della fede, dell’amicizia, e sulla ricerca di sé Stessi, ma in realtà Preacher nei suoi personaggi così sapientemente tridimensionali, nei suoi sviluppi a volte paradossali, è diventato quasi subito un cult. Ci sono voluti anni per trasporre Preacher in forma filmata, e dopo vari tentoni cinematografici, qualcuno ha finalmente capito che una roba così complessa non poteva trovare il respiro giusto nelle due o tre ore di una visione cinematografica. C’è voluto un po’ ma poi Evan Goldberg e Seth Rogen sono approdati in AMC (The Walking Dead) e il destino di Preacher è sembrato un po’ più roseo.
Ora, se avete capito, nelle poche righe da poco lette, quanto possa essere sfaccettato il fumetto originale, e soprattutto quanto possa essere spinoso e complesso renderlo un pasto digeribile al pubblico televisivo (a prescindere da quanto in là si può spingere un programma via cavo statunitense) capirete anche perché il Preacher televisivo non può far altro che dividere gli spettatori in due fasce distinte: chi ha letto l’opera originale e chi non lo ha fatto. Ci sono innegabilmente dei pregi nella rilettura di AMC e tra questi non possiamo, ad esempio, non citare sia il cast (azzeccato in tre casi su quattro) sia l’atmosfera generale che, seppur con dei rimaneggiamenti, resta giusta e incredibilmente azzeccata. Quali sono le tematiche del Preacher originale? Volendo sorvolare sull’aspetto teologico, diremmo che ci sono venature horror, una certa violenza di fondo, dialoghi schietti e caustici e un buon distillato di western… strano a dirlo ma è così. Ora buona parte di questa roba, dal polveroso Texas, alla violenza che improvvisamente esplode come la furia che Jesse si porta dentro, è presente nel Preacher televisivo ed è anche resa dannatamente bene complice il succitato cast e scelte “di contorno” quali fotografia e colonna sonora (bellissima) che danno una certa classe alla serie. Il cast, in particolare nelle figure di Jesse, Cassidy e Eugene “Facciadiculo” Root è azzeccato sia nell’aspetto che nella recitazione, nonostante vi siano state delle ovvie modifiche atte all’attualizzazione del mito.
Preacher è infatti un fumetto che fa del mito iconoclasta novantino un marchio di fabbrica, sia per linguaggio, che per aspetto dei suoi personaggi. I ’90 corrono lungo il racconto a più riprese, rendendo il tutto “attuale” per i tempi che furono. È ovvio che essendo il serial figlio invece di questo decennio debba in qualche modo scrollarsi di dosso il vecchiume degli anni che furono e adattare il tutto ai giorni nostri, in termini di vestiario, capigliature, e oggetti di scena. E così se il Jesse originale aveva una capigliatura che pareva un rimasuglio degli ’80, il Jesse odierno ha un ciuffo sbarazzino splendidamente “inadatto” alla figura di un pastore tipicamente inteso (figurarsi in una città così ligia e “ fintamente puritana”) e dunque azzeccatissimo. In gran spolvero anche Cassidy, un vampiro ultra centenario che vive ogni tipo di eccesso ed è sempre pronto alla battuta. Ma la triade dei protagonisti non può mancare della sua donna, e così la Tulip (ex fidanzata del Predicatore, parte integrante del trio on the road) del fumetto non manca nella trasposizione filmata ma con mille se e tanti ma. La donna del fumetto, con più palle di molti alti personaggi, resta comunque una creatura con una certa fragilità, che riguadagna una certa autostima e soprattutto un certo controllo pagina dopo pagina. La serie propone invece un personaggio così forte da riuscire a “costruire un bazooka con le scatole del caffè” e ditemi voi se non c’è il sentore di aver mandato in qualche modo a puttane un’idea che non aveva bisogno d’altro che di essere adeguata al canone e nulla più. C’è poi una differenza fondamentale che è poi il motivo principale per cui questo pilot proprio non mi convince. Preacher è un racconto on the road, una ricerca di Dio che parte quasi immediatamente. I primi due volumi sono tutto fuorché stazionari, il serial invece propone un Jesse saldamente al suo posto nella piccola comunità di Annville, rendendo il primo episodio una lunga e spesso prolissa premessa a tutto il racconto che verrà, in cui il conseguimento del suo “potere divino” (che nel fumetto è un evento di un’immediatezza spiazzante) è semplicemente il climax di fine episodio. Non solo, scoraggiando del tutto l’idea del viaggio che anima la carta, la sceneggiatura aggiunge al cast personaggi originariamente inesistenti per rendere la presenza di Jesse e degli altri all’interno di Annville parte di un racconto corale e questo non può che premettere, quanto meno per questa stagione (aka dieci episodi) dei personaggi pressoché immobili. E questo un po’ mi turba, non lo nego.
Preacher mi lascia insomma insoddisfatto, essendo io parte di quel gruppo di pubblico che ha una certa dimestichezza sia dell’autore che dell’opera originale,. Ci sono cambiamenti che erano prevedibili e che, tutto sommato, ci stanno e che quasi sono doverosi per dare un senso “televisivo” al racconto di Ennis. Ma ce ne sono altri che, per ora, non capisco. Altri, nascosti agli spettatori (e non faccio spoiler) sono per me evidenti ed anche lì non hanno senso. L’opera originale è spinosa, sopra le righe, rude. Sebbene la sua violenza e la sua verve siano state dignitosamente riportare (specie grazie al cast) è tutto il resto a convincermi poco nonostante – e voglio che sia chiaro – avessi un’idea chiara di quanto il serial dovesse, per forza di cose, essere “una versione riletta e alternativa” del Preacher originale. C’è da dire che abbiamo la fortuna di essere lontanissimi da quella schifezza di Constantine, il cui serial è riuscito, quasi paradossalmente, a fare pure peggio del film. Ma siamo comunque lontani dal risultato augurabile, o quanto meno da quello sperato. Ora, io darò una chance alla serie, quanto meno per tutta la prima stagione, nonostante il cervello mi dica di mandare tutto a fanculo, e vi do un consiglio per goderne appieno: scordatevi il fumetto, non leggetelo ADESSO, fatelo in futuro, a stagione finita, perché altrimenti rischiate di soffrire o magari di non capire profondamente l’uno o l’altro media. Il bello è che alla fine della giostra è stato anche annunciato che un altro campione dello scorretto partorito da Ennis arriverà in tv: The Boys, un’opera che ancor più di Preacher riesce ad essere sporca, scorretta e disturbante, e con queste premesse…
Cosa ci è piaciuto?
L’atmosfera texana trasuda del mito del west. Il telefilm è anche cosparso di messaggi un pochino subdoli, ed al servizio del fan, che suggeriscono i giusti rimandi al fumetto. E questo fa, almeno un po’, sperare bene. Jesse e Cassidy sono perfetti nella loro controparte televisiva. Il Predicatore vive un turbamento diverso rispetto a quello fumettistico, ed ha palesemente dei freni rispetto a quello decisamente più sboccato e “immediato” visto nei fumetti ma per ora ci sta. Cassidy è Cassidy, senza se e senza ma e questo è bene. Cassidy again, no sul serio è così figo che speri forte nello spin-off. La colonna sonora è quanto di più bello e azzeccato si vedeva in un telefilm da un bel po’. Pochi hanno fatto meglio di recente, e comunque nessuno nel panorama fumettistico.
Cosa non ci è piaciuto?
La Tulip televisiva è per ora un grosso “mhe”. Il personaggio acquista sicurezza e carattere pagina dopo pagina, nel serial esordisce al pubblico compiendo un’impresa praticamente impossibile. Perché?
Trasformare una road story in un racconto “statico” è una scelta che non può essere giustificata adeguatamente, specie perché nel Preacher originale non mancano situazioni e personaggi di contorno. Si poteva fare, semplicemente non si è voluto.
Manca, per ora, tutto l’aspetto mitologico e teologico della vicenda, che nel racconto originale è presentato subito (Ennis style) e che per ora è… bho?!
Continueremo a vederlo?
La testa dice no, il cuore dice sì. Poiché non si tratta di un fallimento epocale, ma di una rilettura che per qualcuno potrebbe essere persino efficace, ci toglieremo lo sfizio della prima stagione per decidere poi il destino del Predicatore. Still a better love story than Costantine.