Dal creatore di SKAM Italia arriva Prisma, una nuova serie a portata di adolescenza
udovico Bessegato abbiamo imparato a conoscerlo bene. Così come abbiamo imparato a conoscere pure Alice Urciuolo. Il primo è il creatore e autore di SKAM Italia, la seconda da qualche tempo a questa parte la sceneggiatrice della serie affianco a Bessegato. Squadra che vince non si cambia, e così, sempre insieme a Cross Productions, ecco arrivare Prisma. Ancora adolescenti, ancora teen drama tutto italiano, e stavolta senza il gancio di un prodotto estero a fare da apripista come lo SKAM originale, quello norvegese. Resta lo stesso format, la serie, cambia però piattaforma d’approdo, a questo giro siamo su Prime Video invece di Netflix, cambia la durata, con i suoi quaranta minuti di media a puntata quasi il doppio rispetto a prima, e cambia la città, da Roma si passa a snodi costieri e più periferici come Latina e Sabaudia.
E questo carattere da prodotto seriale fortemente geolocalizzato ma universale continua a giocare un ruolo importante nell’economia dell’indagine sull’adolescenza dell’oggi. Era già altamente riconoscibile Roma negli scorci che offriva SKAM Italia, che non nascondeva mai il qui ed ora, così come è molto riconoscibile anche una Latina fatta di “torre” e “villette”, di un ambiente urbano moderno ma spoglio, statico, schiacciato anche sotto il peso di un’eredità fatti di nonni fascisti e pappagalli di nome Benito.
Non il massimo per una gioventù figlia dei suoi tempi, perennemente interconnessa, coperta di tatuaggi e riconosciutasi fluida in cui ci introduce la stella polare della serie, l’ottimo Mattia Carrano nel doppio ruolo dei gemelli Andrea e Marco. Fratelli uniti però diversi praticamente in tutto, a partire dal lavoro di Carrano sulla mimica e sull’inflessione della voce: covano entrambi un atteggiamento introspettivo e schivo, ma il processo di scoperta identitaria di Andrea è quello su cui Prisma pone con più efficacia la sua lente d’ingrandimento, mentre Marco resta un po’ nelle retrovie, quasi a fare da rifrazione delle azioni e delle conseguenze del suo gemello.
Perché Andrea, di cui già la neutralità di genere del nome dice qualcosa, è la figura complessa che la serie porta avanti e su cui cerca di ragionare, che incuba all’interno di un bozzolo dove la possibilità di espressione del proprio Io è frenata da un mucchio di scelte sbagliate e un contesto ancora incapace d’ascoltare. E nell’impatto con una sordità dove pure le tante immagini (spesso social) della serie confondono, mentono e non raccontano tutta la verità, si guarda quindi proprio a quella Roma che dista solo qualche chilometro ma che quando entra in scena assume i contorni del metropolitano aperto e tollerante. Pare quasi la San Francisco degli anni ’70, della liberazione gay e della cultura pride.
Eppure Prisma, che si snoda per otto episodi che portano il nome dei colori, pare faticare a distanziarsi dai suoi tanti fratelli e sorelle sparse per il mondo. SKAM Italia era, ed è ancora, vincente per un paio di motivi: la durata, che la rende breve, immediata, d’impatto, più vicina a un racconto snocciolato attraverso le stories di Instagram che alla drammaturgia di una serie classica; priva di filtri estetici e troppe scene madri, ad altezza di adolescente con un parlare semplice, con il dramma che è anche gioco, burla, spontanea ironia.
Prisma cambia invece registro e abbandona la fondamentale miscela di una risata sempre dietro l’angolo alle vergogne che affliggono i suoi protagonisti. Si fa più rigorosa nella dimensione del drama che in quella del teen, l’età che ingigantisce e deforma la dimensione del malessere, con un inevitabile bisogno di dare corpo a questo minutaggio maggiorato che non pesa ma nemmeno è sempre incisivo. E si fa poi anche più attenta a costruire tramite l’inquadratura una cornice eccessivamente pulita, quasi estetizzante, con la regia a cura di Bessegato intenta ad applicare una patina e una forma che marcano la distanza tra chi vuole guardare e chi deve essere guardato.
Ne risente l’affezione e il senso di prossimità a questi personaggi (di Lorenzo Zurzolo, Chiara Bordi, Caterina Forza) spesso incupiti e anche un po’ schematici, meno forti nei caratteri e presentati allo schermo in virtù del ruolo che devono ricoprire nello scacchiere. Ad uscirne fuori è un’esposizione del tema, quello appunto dell’identità, che del glocal cattura più lo standard spendibile in ottica commerciale che l’eccezione degli individui, che non scomoda quanto avrebbe potuto perché preferisce affidarsi ai silenzi che ammiccano invece che a un comunicare diretto al quale il lavoro di Bessegato e Urciuolo ci aveva abituato.
A dare il beneficio del dubbio si potrebbe argomentare che magari lo scarto è dovuto proprio a questo cambio di luoghi tra quelli di SKAM Italia e quelli di Prisma, dove la marginalità in cui vivono i protagonisti della serie strozza parole e sentimenti tra i denti. È più un’impressione da cogliere che un dato di fatto, dove Prisma resta un prodotto dignitoso ma impacchettato per farsi oggetto di consumo e meno angolo confessionale.