In occasione del recente debutto di Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali, dedichiamo un approfondimento sul ruolo di Murubutu nella scena rap
ra i fenomeni culturali più rilevanti della scorsa decade si può annoverare la definitiva ascesa della “doppia acca”: secondo Nielsen Music, il 2017 è stato il primo anno in cui l’industria musicale a stelle e strisce è stata dominata dall’hip-hop/R&B anziché dal rock. Anche in Italia si è mosso qualcosa: qualche anno dopo i primi successi isolati dell’old school, rapper come Fabri Fibra, Gue, Jake la Furia e Marracash hanno forgiato la prima scena hip-hop realmente mainstream del Bel Paese, che negli anni a seguire sarebbe divenuta dominante, almeno fra i giovani, con l’affermazione della trap.
Ma si sa: quando arrivano i soldi, quelli veri, si rischia di perdere qualcosa in termini di autenticità. E, in una cultura che affonda le radici nell’underground, questo “passaggio” può risultare indigesto. Proprio per questo, nel 2016 DJ Fastcut fonda la Setta dei Poeti Estinti, radunando decine di “creature mistiche” dell’underground (per parafrasare Wiser Keegan, uno dei primi accoliti di Fastcut) e sfornando tre LP di assoluto pregio negli anni successivi (il più recente è uscito lo scorso dicembre). L’ispirazione proviene dalla pellicola L’attimo fuggente, che tutti ricorderanno per il personaggio del Professor Keating, interpretato da Robin Williams. Proprio come i Poeti Estinti della pellicola, anche quelli dell’underground italiano hanno il loro professore, magari meno esuberante: si tratta di Murubutu, al secolo Alessio Mariani, docente di Storia e Filosofia presso il Liceo “Matilde di Canossa” di Reggio Emilia.
Lo scorso 14 gennaio è stato pubblicato Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali, settimo LP della carriera solista di Murubutu, sempre animata dalla “volontà di riproporre dei contenuti di tipo culturale in una forma espressiva di tipo letterario, che vuole essere un forte contraltare rispetto a quello che è lo slang che viene utilizzato solitamente nel rap, a dimostrare che il rap può essere un mezzo espressivo che può veicolare contenuti di tipo culturale e può aiutare, soprattutto i giovani, ad arricchirsi da un punto di vista lessicale”, per usare le sue stesse parole. Un obiettivo ambizioso – e sicuramente non perseguito dal mainstream – ma alla portata di quello che potrei definire un ircocervo dell’hip-hop: se il Professor Mariani è uomo di cultura in senso classico, accademico, Murubutu è un veterano dell’underground, uno di quelli che era lì (e lì significa nei centri sociali) dal giorno zero, che in Italia coincide con i primissimi anni Novanta, quando l’MC emiliano militava nei Kattiveria Posse (come ci ricorda in con un caustico gioco di parole il “buon” Kappa-O) e sputava velenose barre politiche.
Negli anni Duemila il fenomeno delle posse poteva dirsi già archiviato; fra i tanti, anche i Kattiveria Posse cessarono di esistere, ma rinacquero come La Kattiveria, grazie anche a un significativo rinnovamento della line-up. Continuarono a fare rap impegnato, ma cambiò il focus dell’impegno, transitato dalla politica alla cultura tout court, con un’attenzione certosina rivolta alla scrittura. Dopo due album con La Kattiveria, nel 2009 iniziò il percorso solista di Murubutu con Il giovane Mariani e altri racconti. Da quel momento la carriera del rapper è stata un continuo crescendo, anche in termini di popolarità, grazie all’incessante labor di ricerca artistica, che lo portò presto a prediligere lo strumento del concept album.
Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali è addirittura il suo quinto concept album. Tralasciando Infernum, frutto della simbiosi artistica con Claver Gold, i tre temi precedenti sono stati – con una certa approssimazione che mi si perdonerà – il mare, il vento e la notte. Nella sua nuova opera torna l’acqua, ma prende la forma delle gocce di pioggia – che scende copiosa nell’elegante copertina, un omaggio al pittore impressionista Gustave Caillebotte – e delle lacrime che irrorano il sentimento più tormentato di tutti. Icastica, a tal proposito, la traccia Il migliore dei mondi, accompagnata dalla sapiente regia di Nikolaj Corradinov.
Fra i due temi, è la pioggia a costituire il fil rouge di una ricerca che non si limita a esplorare l’amore: “pioggia” è una parola chiave che apre le porte di infinite dimensioni spaziotemporali. Come quella cyberpunk descritta dalle due Black Rain presenti nell’album. La prima vanta le collaborazioni degli amici Claver Gold e Rancore, nonché uno splendido videoclip, anch’esso di Corradinov, che si richiama a opere monumentali dell’animazione giapponese quali Akira e Ghost in the Shell. La seconda beneficia dei featuring di Inoki, vera e propria leggenda dell’hardcore italiano, e del Poeta Estinto (e il beat è di Fastcut!) Mattak, definito da Murubutu stesso “il capo degli incastri”. I due avevano già collaborato in Dead Poets 3, scrivendo a quattro mani Sindrome di Stendhal, un brano che potrebbe essere elevato a manifesto della Setta (“Quindi resterò vittima della mostra di Firenze / Che sia in un testo o in un beat io non conosco differenze / Proprio perché la vita mia è nascosta in diffidenze / Che piango di un’opera quand’è composta di finezze”).
Il trittico futuristico dell’album è completato da Pioggia infinita, con il feat. di un ispiratissimo Moder, anch’egli Dead Poet. Mai un’opera di Murubutu aveva dato tale risonanza alla fantascienza: ricordo giusto L’uomo che viaggiò nel tempo, contenuta ne Gli ammutinati del Bouncin’.
Il rapper emiliano chiude poi il cerchio intrecciando la tematica del viaggio spaziotemporale – affrontata anche dalla struggente Une chrononaute à Paris – con quella dell’amore, come emerge non solo dalla già citata Il migliore dei mondi (“Provo a non perderti da secoli, / Per questo studio il viaggio spaziotempo per aprire un varco / E il tempo è un riflesso del nostro universo / E io ne ho già visto ogni pezzo, sequenza, segmento, / E c’è un futuro più bello, uno tremendo, uno stupendo / Ma in ogni futuro diverso io comunque ti perdo, mi pento…”), ma anche in Multiverso (non cito barre perché è proprio l’oggetto della canzone), che presenta sonorità “reggaeggianti“, proprio come Nuvole (che, non a caso, vede la collaborazione di Dia e Lion D).
Ciò non vuol dire che Murubutu abbia abbandonato la passione per l’antichità che lo accompagna da sempre. La pioggia batte forte sul limes danubiano in Legio XII fulminata, un brano storico che ha una botta incredibile, e diviene persino Diluvio universale, uno dei pezzi più politici (se la gioca con le Black Rain, secondo me, NdR) del disco, realizzato in collaborazione con En?gma, altro talentuosissimo Poeta Estinto, e Dj Caster (presente anche in Ode alla pioggia (intro)). Non mancano nemmeno i momenti lirici, un altro dei marchi di fabbrica del Mariani, che si avvale ancora una volta delle voci di Dia (Temporale, Nuvole e Pentagramma dell’acqua) e di Dhany (Palazzo di gemme e Ode alla pioggia (outro), dedicata alla madre recentemente scomparsa), la quale fu vocalist di… Benny Benassi!
La cultura scorre potente (sarà per questo, forse, che non lo vogliono a Sanremo…, NdR) anche in Storie d’amore con pioggia, ricco di riferimenti eterogenei, anche se, fra un Nabokov e un Correggio, spicca la fantascienza: Pioggia infinita trae ispirazione dal racconto The Long Rain di Ray Bradbury, mentre le Black Rain riecheggiano l’omonimo film di Ridley Scott (e Rancore ci infila dentro le pecore elettriche di Dick); i due singoli, inoltre, sono stati presentati con nostalgiche copertine Urania ad opera di forc1n.
Come per tutte le opere di Murubutu, un album da ascoltare, leggere, studiare.