Project Itoh, una storia transmediale
Scrittore, critico, designer: questo e molto altro era Project Itoh, la cui prematura scomparsa, ormai quasi 12 anni fa, ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo della fantascienza nipponica e nel cuore di chi, come Kojima Hideo, aveva avuto la fortuna di entrarci in confidenza.
Complice la pubblicazione dell’ultimo numero di Harmony lo scorso dicembre, cogliamo l’occasione per offrirvi una panoramica degli adattamenti anime e manga tratti dai suoi grandi romanzi, finalmente disponibili anche al pubblico italiano grazie a Star Comics e Yamato Video.
Satoshi, in arte Project
Laureatosi in arti visuali a Tōkyō presso la prestigiosa Università di Belle Arti di Musashino – tanto per intenderci, la stessa che ha sfornato mostri sacri del calibro di Endō Hiroki, Kon Satoshi e Murakami Ryū –, Itō Satoshi adotta lo pseudonimo di Keikaku – che significa appunto “progetto” – al momento del suo debutto letterario nel 2007 con Gyakusatsu kikan (titolo int. Genocidal Organ), che gli vale la nomination al Nihon SF Taishō. Ma è proprio in contemporanea con il suo primo successo che il cancro ai polmoni, che dal 2001 non gli dà tregua, inizia a stringere la sua morsa.Da qui, la decisione di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura. Tra un ricovero e l’altro – ma spesso e volentieri anche durante l’ospedalizzazione – Itō scrive quasi ininterrottamente: racconti brevi, recensioni di film – ancora accessibili dalla sua pagina di Hatena-ban, il noto servizio di blogging – e un altro romanzo, Harmony, con cui nel 2009 si aggiudica il tanto ambito Nihon SF Taishō insieme con il più importante “premio dei fan” per la fantascienza, il Seiun Taishō.
Fa giusto in tempo a scrivere l’incipit di quella che avrebbe dovuto essere la sua terza opera di lungo respiro, Shisha no teikoku (titolo int. The Empire of Corpses), che la malattia se lo porta via a soli 34 anni, nel cordoglio generale.
Fortuna che in vita Itō era riuscito a farsi dei buoni amici, in primis il già citato Kojima: l’aveva conosciuto al lancio del primo Metal Gear nel 1998, la cui prospettiva grigia ma allo stesso tempo esaltante – nonché politicamente verisimile – sul futuro dell’umanità l’aveva affascinato a tal punto che le fan fiction su Snake e compagni sarebbero rimaste una delle sue passioni – la più corposa quella dedicata al quarto capitolo Guns of the Patriots, pubblicata postuma.Diversa la storia con Enjō Tō, incontrato per la prima volta in veste di rivale nella corsa per il Premio Komatsu Sakyō del 2007, intitolato alla memoria del maestro della sci-fi giapponese degli anni Settanta. Alla fine nessuno dei due se lo portò a casa, ma entrambi ottennero un contratto con la Hayakawa Shobō, che diede alle stampe i loro primi lavori: nessuno poteva immaginare, però, che per Itō sarebbero stati anche gli ultimi.
Determinato a far conoscere il nome di Project Itoh a un pubblico sempre più vasto, nel 2012 Enjō approfittò della visibilità garantitagli dalla vittoria del Premio Akutagawa – il maggior riconoscimento letterario giapponese – per annunciare di voler completare lui stesso lo scritto – appena 30 pagine – cui l’amico aveva dedicato i suoi ultimi giorni. È così che vide la luce The Empire of Corpses, dove ambientazione e personaggi – di per sé molto diversi da quelli a cui Itō aveva abituato i suoi lettori – lasciano intuire una svolta fondamentale nella sua produzione, la cui reale entità rimane purtroppo materia di speculazione.Fatto sta che l’intuizione di Enjō fu vincente. Di lì a poco la Noitamina dichiarò di voler produrre l’adattamento anime dei tre romanzi maggiori, la cui uscita alla fine del 2015 – solo Genocidal Organ si sarebbe fatto attendere, con la theatrical release nel 2017 – portò in sala anche quelli che Project Itoh non l’avevano mai sentito nominare, ma erano attirati dal logo dei grandi studi coinvolti. Il successo dei lungometraggi fu tale che anche la Kadokawa Shoten si affrettò a salire sul carro dei vincitori, commissionando la serializzazione dei manga a giovani leve della sua scuderia.
Insomma, un caso particolarmente felice di sinergia tra cultura “alta” e cultura pop, in cui il rispetto reverenziale per l’originale ha impedito la cannibalizzazione delle fonti – cosa che purtroppo accade sempre più di frequente nell’industria dell’intrattenimento – e garantito che il genio di Itō, che rischiava di diventare materia (ancor più) di nicchia per pochi intenditori, riuscisse a compiere il balzo definitivo verso la popolarità.
Partiamo quindi con l’analisi delle versioni manga e anime, che più che semplici supporti visuali sono delle vere e proprie opere d’arte, un nuovo, prezioso tassello del corpus di Project Itoh.
Genocidal Organ di Murase Shukō, Asō Gatō
Tratto dal primo dei romanzi di Itō ma l’ultimo a vedere il buio delle sale a causa della bancarotta dello studio Manglobe (Samurai Champloo, Ergo Proxy, Gangsta) nel 2015, il film viene completato da sensei Murase in seno al neonato Geno Studio, istituito subito dopo il fallimento di Manglobe per evitare la dispersione delle sue maestranze.
In esso si narra di una futuribile società del controllo, necessitata da un attentato nucleare nella città di Sarajevo che anni addietro ha gettato la civiltà nel caos. Ma mentre i paesi sviluppati godono di un relativo benessere, il resto del mondo è scosso da continui genocidi: unico filo rosso, la presenza dello scienziato John Paul, che infiltrandosi di governo in governo porta le nazioni alla guerra civile. Di mettere fine ai massacri e dare la caccia al burattinaio si occupa il capitano Clavis Sheperd, a capo di un’unità speciale preposta dell’esercito americano. Ma anche per il più obbediente dei soldati, a poco vale la patria quando in gioco c’è un segreto troppo grosso da mantenere.Indubbiamente il capitolo più action e crudo del trittico, Genocidal Organ getta lo spettatore nel mezzo di scenari bellici adrenalinici dove uomo e macchina sono ormai indistinguibili, non tanto nell’aspetto quanto nell’essenza: freddi e letali come i droni che teleguidano, gli uomini dell’Unità Tattica i sono a loro volta comandati a distanza tramite un “software naturale” basato sulla manipolazione del linguaggio. Sheperd e i suoi portano a termine ogni missione senza porsi domande, silenziando la propria coscienza con il mantra di un bene superiore, i cui contorni sono scientemente sfumati.
Da qui, le caratteristiche che percorreranno tutta l’opera di Project Itoh. In primo luogo, uno scacchiere internazionale che non è diviso in due blocchi contrapposti – come la fantascienza distopica da Orwell in poi aveva preventivato –, bensì parcellizzato in micro-realtà geopolitiche opportuniste ed egoiste, in cui il (fragile) confine tra Primo e Terzo Mondo è tracciato dallo sviluppo tecnologico e militare, senza nemmeno più un velo di ideologia.Ne consegue una sfiducia aprioristica nei confronti delle sovrastrutture (Stato, esercito) e delle istituzioni tradizionali (famiglia, religione), cui gli esseri umani continuano comunque ad aggrapparsi pur di non riconoscere la precarietà della loro società post-apocalittica, costruita sulla sabbia del benessere materiale anziché sulla roccia dei diritti e della cultura.
Harmony di Michael Arias & Nakamura Takashi, Minato Fumi
Viene affidato allo storico Studio 4°C (Memories, Spriggan, Children of the Sea), e più in particolare alle cure di Michael Arias, a oggi l’unico gaijin ad aver ottenuto la regia di un lungometraggio anime – l’adattamento del capolavoro di Matsumoto Taiyō Tekkonkinkreet nel 2006 –, a quattro mani con il decano Nakamura Takashi – familiare a chi conosce l’opera di Ōtomo, di cui ha quasi sempre diretto il comparto animazione.
L’antefatto è il Maelstrom, una catastrofe atomica che ha prodotto rivolte ed epidemie portando la razza umana sull’orlo dell’estinzione. Per tutelarsi, da mezzo secolo le nazioni più avanzate si affidano al vigorment, un sistema di governo gestito direttamente dalla WHO, basato sul monitoraggio – nonché sull’imposizione – della salute fisica e mentale dei cittadini. Tuttavia, il mondo è ben lontano dall’essere pacificato: qua e là continuano a scoppiare guerre, e l’ispettore dell’Helix – la sezione di agenti “sul campo” della WHO – Tuan Kirie è una di quelle incaricate di risolverle. La sua insubordinazione la riporterà nel (troppo) tranquillo Giappone, dove dovrà salvare il sistema dalla minaccia di Miach, la sua amica d’infanzia che credeva morta.Benché il finale di Genocidal Organ (no spoiler) abbia dato adito a ipotesi fantasiose, non c’è nessun motivo per credere che i due capitoli siano narrativamente collegati. Piuttosto, se il predecessore assumeva il punto di vista di chi paga volentieri il proprio privilegio col sangue, Harmony ha per protagonista una privilegiata che cerca di emanciparsi dal sistema iperprotettivo di appartenenza.
In realtà, Tuan è ben consapevole che la prosperità di pochi è mantenuta al prezzo della sofferenza di molti, ma dal momento che il campo di battaglia è l’unico scenario in cui si può scampare alla dittatura sanitaria dei Vigorment, lo ritiene uno scambio equo per l’esercizio della propria libertà.
Libertà è, per l’appunto, un’altra parola d’ordine ricorrente in Project Itoh.
L’umanità sarebbe disposta a rinunciare a una delle sue più grandi conquiste, in cambio di una società più sicura o addirittura – come nel caso di Harmony – priva di dolore, solitudine, povertà? E se è vero che la stessa volontà umana non è che il risultato di un processo evolutivo atto a massimizzare le chance di sopravvivenza, cosa impedirebbe al libero arbitrio di atrofizzarsi in un ambiente privo di minacce?A differenza di molta fantascienza coeva, che con il suo tecnologismo cerca di far risalire tutte le aberrazioni possibili allo sviluppo di intelligenze artificiali e affini, Project Itoh ci avverte che in futuro potrebbe essere invece il nostro corpo di carne e sangue a impedire l’istituzione di un ordine mondiale armonico – con i vantaggi e gli svantaggi che ciò comporterebbe.
The Empire of Corpses di Makihara Ryōtarō, Hino Tomoyuki
Dei tre, è il film che è riuscito a staccare più biglietti, soprattutto grazie al richiamo esercitato da Attack on Titan, di cui lo Studio Wit si occupa in esclusiva dalla sua fondazione. Più anonimo invece il regista, tale Makihara Ryōtarō, che prima del presente titolo aveva alle spalle solo un paio di regie – peraltro di serie, ovvero Haru (2013), sempre della Wit, e un episodio di Tatami Galaxy di Yuasa.
In un ucronico XIX secolo, la tecnologia di rianimazione dei cadaveri inaugurata da Victor Frankenstein è ormai il motore dell’economia e della politica mondiali. Tuttavia, nessuno dei redivivi sul mercato dispone di un’anima, come invece pare avesse The One, la creatura originaria dello scienziato svizzero. Disposto a tutto pur di restituire l’intelletto al corpo semovente del defunto amico Friday, il dottor John Watson accetta l’incarico commissionatogli dai servizi segreti britannici di recuperare il diario di Victor. Ma come c’era da aspettarsi, non è l’unico che ucciderebbe pur di averlo…Nonostante l’inserimento di personaggi – il presidente Ulysses S. Grant, il capitano Frederick Burnaby – ed eventi – le schermaglie sul Passo del Khyber – storici, purtroppo non ci è dato sapere se nelle intenzioni di Project Itoh la sua prossima fatica avrebbe dovuto essere un romanzo storico.
Quello che possiamo dedurre è che, al di là del cambio d’abito nella specie dell’ambientazione vittoriana e steampunk, ritorna il consueto scetticismo nelle “magnifiche sorti e progressive” della scienza, cui ultima frontiera è, ancora una volta, il controllo della vita, anche se in una modalità nuova.
Infatti, per mezzo di un plug e di un calcolatore a schede perforate, gli ingegneri come Watson hanno il potere prometeico – non per niente Itō ed Enjō si misurano con la figura di Frankenstein, il prometeo più celebre della letteratura moderna – di riportare al di qua i morti, sbilanciando i rapporti di forza tra il mondo dei vivi (minoritario, privilegiato, attivo) e quello dei morti (maggioritario, sfruttato, inerte), peccando di arroganza esattamente come i loro omologhi di Genocidal Organ e Harmony.
Speranza e disperazione
Intervistato in merito alle sue sensazioni sull’avvenire dell’umanità, Itō Keikaku dichiarò di nutrire «un misto di speranza (kibō) e disperazione (zetsubō)».
Da un lato, l’entusiasmo per un futuro che egli non avrebbe probabilmente visto di persona, ma che dischiudeva infinite possibilità di conoscenza e connessione, in grado di liberare gli individui dai loro demoni – la malattia e l’isolamento; dall’altro, la consapevolezza che ogni passo in avanti sarebbe venuto a un prezzo, magari tanto salato da contravvenire alla definizione stessa di “umanità”.
Si tratta solo di nostre supposizioni a partire dalla laconica risposta di Itō, ma crediamo che questi due termini, “speranza” e “disperazione”, sintetizzino bene il sentimento di chi, vivendo nell’era digitale, non può più concedersi il lusso di non sapere quel che accade o di non pensare a quel che accadrà. E immaginare il migliore dei mondi possibili – ammesso che sia il migliore… – è già un buon punto di partenza.
Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma speriamo che questo veloce excursus vi abbia incuriosito abbastanza da immergervi nella lettura/visione del lascito di Project Itoh, la cui lungimiranza si sta provando – purtroppo per noi – quantomai profetica, in questi tempi difficili.
〈Project〉wa, tomaranai!