Non li troverete su PlayStation Store!
Qualche tempo fa, scrivendo lo Speciale dedicato al ventennale di PlayStation 2, pensai a quell’incredibile line-up. Pescando un po’ da varie fonti online, ma soprattutto dalla mia memoria e dalla mia collezione, mi resi conto che alcune gemme – non necessariamente esclusive per la macchina di Sony – sono rimaste relegate a quell’epoca. Nonostante Steam, PlayStation Store e i copiosi remaster, la cui stagione è stata inaugurata proprio da Sony con God of War.
Oggi voglio parlare proprio di questi giochi, che costituiscono il vero retrogaming di quest’epoca di digital delivery: i titoli che vedremo sono fruibili solo acquistando la versione fisica uscita all’epoca, non li troverete in alcun altro modo (legale). Ve li presentiamo in ordine di uscita in Europa (se avvenuta), senza indugiare oltre; solo, ci auguriamo che presto o tardi giunga un remaster.
SSX Tricky (2001)
Apriamo le danze con uno dei due titoli occidentali presenti in questa rassegna. SSX Tricky è un gioco di snowboard, assolutamente non realistico, uscito nel 2001 su PlayStation 2, GameCube e Xbox. Si collocava a metà strada fra versione migliorata e seguito di SSX, dal quale mutuava molti personaggi e la maggior parte delle piste (solo due quelle inedite), ma le remixava in modo efficace.
Ciò che ai miei occhi lo rende un gioco totalmente diverso e significativamente migliore di SSX è l’introduzione degli Uber, speciali trick che richiedono un certo tempo per essere eseguiti, ma ricompensano il giocatore con valanghe di punti e con il turbo infinito (facendone sei). Ciascun personaggio ha cinque Uber, di cui uno ad hoc. Questa novità impattava non solo sulle corse, ma anche e soprattutto sugli show-off (sostanzialmente le competizioni di trick), che assumevano un senso completamente diverso. A mio modesto parere, il miglior SSX di sempre, grazie a un track design da favola, che si è perso negli anni a causa delle istanze di “realismo” (più o meno) inaugurate da SSX 3.
Oggi come oggi, un remaster bello fluido con gioco e classifiche online sarebbe una gran cosa, e se ne è pure parlato recentemente, quando LADbible ha scambiato quattro chiacchiere con Steven Rechtschaffner, producer del gioco. Incrociamo le dita.
Xenosaga (2002 – USA)
Chiaramente mi riferisco all’intera trilogia di Xenosaga (costituita dai nietzschiani Der Wille Zur Macht, Jenseits von Gut und Böse e Also Sprach Zarathustra), pubblicata da Namco (Namco Bandai dal 2005) fra il 2002 e il 2006 su PlayStation 2.
La serie fu localizzata, ma in Europa giunse solo il secondo episodio, che è pure di gran lunga il peggiore, quindi Xenosaga è perlopiù ignoto alla platea, fatta eccezione per la ristretta cerchia di JRPGisti importer incalliti. E questo è un ulteriore motivo per bramare una collection; peccato che sia stato proprio Katsuhiro Harada, che inizialmente aveva acceso gli entusiasmi della fanbase, a metterci sopra una pietra tombale.
Xenosaga è una trilogia (ma avrebbe dovuto essere una esalogia) di JRPG classici, caratterizzati da mob visibili e da combattimenti a turni con party da tre personaggi. Gli autori sono i ragazzi di Monolith Soft, studio fondato da Tetsuya Takahashi, padre di Xenogears, e popolato da diversi fuoriusciti di Square che avevano lavorato al succitato progetto. Si è a lungo speculato su possibili collegamenti fra Xenogears e Xenosaga, ma si tratta di due continuity diverse.
Onimusha 2: Samurai’s Destiny (2002)
All’inizio dell’anno scorso uscì su console e PC il remaster di Onimusha: Warlords, capostipite della serie di samurai di Capcom, ma in oltre un anno non ci sono giunte notizie su un eventuale remaster del sequel. Chissà, forse le vendite non si sono rivelate soddisfacenti…
Nei panni di Jubey Yagyu e non di Samanosuke Akechi, il giocatore deve vendicarsi di Nobunaga Oda (che, curiosamente, tornerà in questo speciale) e delle sue armate demoniache, in un’avventura che prende tutto ciò che di buono c’era in Warlords e lo espande e approfondisce. Non fece sfaceli in Occidente, quindi Capcom per il terzo capitolo tornò a Samanosuke Akechi e aggiunse Jean Reno, popolare anche in Giappone grazie a Godzilla e Wasabi.
Ho parlato di Onimusha 2, ma il discorso si estende anche ai due capitoli successivi; giusto il terzo episodio è stato scaricabile su Steam per alcuni anni, ma poi è stato rimosso nel 2014, probabilmente (perché manca un comunicato ufficiale in merito) problemi di compatibilità, visto che supportava Windows XP.
Timesplitters 2 (2002)
Uno dei miei ricordi più cari dei tempi di PlayStation 2 è sul misterioso Pianeta X, in compagnia di una coppia di shotgun, contro tre amici (che potevano assumere le sembianze di Elvis Presley, di un cuoco cinese e di un’anatra antropomorfa) e sulle note di una melodia futuristica allucinata. Questo (e pure qualcos’altro) offriva Timesplitters, uscito nel 2000 in esclusiva su PS2. Il gioco generò due seguiti, usciti fra il 2002 e il 2005 anche su GameCube e Xbox; complessivamente, si suole individuare il miglior capitolo nel secondo.
Sviluppato da Free Radical Design, Timesplitters era uno dei pochi FPS votati precipuamente al multiplayer pensati per console; non a caso, nello studio di sviluppo erano confluiti molti fuoriusciti da Rare, che aveva sviluppato per Nintendo 64 GoldenEye007 e Perfect Dark. Rispetto a questi ultimi, Timesplitters era totalmente fuori di testa, non solo per la sceneggiatura, ma anche per lo stile grafico e lo humour adoperato. Tantissime arene, tantissime modalità, tantissimi personaggi – molti dei quali assolutamente folli, come già cennato – e, a partire dal secondo episodio, anche una gran quantità di sfide gustose in single player.
In questi anni il mondo degli FPS si è evoluto molto, soprattutto per console, per cui non c’è realmente bisogno di Timesplitters. Ciò non toglie che una compilation che includesse tutti i contenuti della trilogia e aggiungesse il multiplayer online sarebbe cosa buona e giusta.
Viewtiful Joe (2003 – NGC; 2004 – PS2)
Quando ho scoperto che su PlayStation Store non c’è né Viewtiful Joe, né il seguito (uscito in Europa nel 2005), ho realizzato per l’ennesima volta che viviamo in un mondo davvero ingiusto. Perché si tratta del migliore beat ‘em up bidimensionale degli ultimi vent’anni, nonché di un action sopraffino.
Il gioco è opera di Hideki Kamiya, fondatore di PlatinumGames, che allora militava nel mitico Clover Studio di Capcom. Viewtiful Joe fu solo il primo primo di una triade meravigliosa, proseguita con Okami e conclusa con God Hand. Sembrava anche il figlio prediletto, visto che si espanse con un sequel e due episodi “tascabili”, ma attualmente è quello derelitto, posto che Okami è stato riproposto su varie piattaforme e God Hand, che negli anni ha acquisito a pieno titolo lo status di cult game, è approdato quantomeno su PlayStation Store.
Eppure il gioco è una bomba. Sembra quasi che Kamiya, dopo aver raggiunto nuove vette dell’action 3D con Devil May Cry, abbia voluto dimostrare di poter fare altrettanto bene con una dimensione in meno. E ci è riuscito. Viewtiful Joe è un picchiaduro a scorrimento fluido e veloce che pesca le mani dai classici tokusatsu, impreziosito dai superpoteri di Viewtiful Joe, che scimmiottano famose tecniche cinematografiche: abbiamo la slow motion, il velocizzatore e lo zoom, utili a risolvere anche alcuni elementari puzzle.
Shadow Hearts: Covenant (2005)
Shadow Hearts fu una delle serie JRPGistiche più suggestive dell’epoca 128-bit, ma, purtroppo, anche una delle più dimenticate. La saga iniziò sulla prima PlayStation con Koudelka, ma il suo vero nucleo è costituito dai primi due capitoli per PlayStation 2, i migliori, nonché quelli che presentano la maggior continuità narrativa.
Covenant è il secondo episodio, ed è pure il migliore. Si tratta di un peculiare JRPG a turni con incontri casuali, ambientato in un 1915 alternativo, in cui i fatti storici della Prima guerra mondiale si intrecciano con elementi soprannaturali reminiscenti dell’orrore cosmico lovecraftiano. Gli eventi si svolgono sei mesi dopo quelli narrati in Shadow Hearts, proseguendo da quello che può essere definito il suo bad ending.
Purtroppo la storia di Shadow Hearts si intreccia con diversi nomi estinti della storia videoludica: la serie, infatti, è stata sviluppata da Sacnoth (poi Nautilus), defunta ufficialmente nel 2009 per confluire in Aruze (oggi Universal Entertainment Corporation), che in quegli anni se la passava proprio male a causa della crisi finanziaria. Ciliegina sulla torta, il publisher occidentale era Midway… Di fatto, è morta, sepolta e dimenticata, per cui un remaster appare quantomai improbabile, purtroppo.
Ape Escape 3 (2006)
Fra i titoli ricordati oggi, Ape Escape 3 è quello con più possibilità di ricevere una riedizione. Forse. Il suo predecessore è stato riproposto per PlayStation 4 nel 2016, quando sembrava che sarebbe stato annunciato di lì a breve anche il terzo capitolo, che aveva ricevuto una classificazione ESRB. Tuttavia da quel momento non se ne seppe più nulla…
Ape Escape 3 è un episodio fedele alla serie di appartenenza: si tratta di un platform finalizzato alla cattura di scimmie, che sono ben 430, distribuite in 28 livelli. Questa delicata operazione, considerata l’incrementata I.A. dei primati rispetto al passato, è come sempre deputata al retino, da controllare tramite il secondo stick analogico. Una delle principali attrattive di Ape Escape 3 era il corposo (un paio d’ore di gameplay!) minigioco Mesal Gear Solid: Snake Escape, un parodistico crossover con Metal Gear Solid in cui l’agente segreto Pipo Snake deve ritrovare il ben più celebre Solid.
Prima di chiudere, ricordiamo che su PS2 uscirono altri due episodi: Ape Escape 2001 e Million Monkeys (2006). Quest’ultimo avrebbe dovuto arrivare in Europa, ma alla fine la localizzazione fu abbandonata. Un (improbabile…) remaster sarebbe una buona occasione per metterci le mani sopra.
Tales of the Abyss (2006 – USA)
Forse con questo gioco ho un po’ barato: Tales of the Abyss, infatti, uscito originariamente in esclusiva su PlayStation 2 fra il 2005 (Giappone) e il 2006 (USA), fu riproposto su Nintendo 3DS nel 2011. Ma, in tutta onestà, ritengo che i Tales tridimensionali mal si adattino a un handheld; inoltre, anche se recupera qualcosa in termini di tempi di caricamento rispetto alla controparte PS2, si tratta di fatto di un downport, visto che elimina la componente multiplayer, dimezza i fps in battaglia e presenta texture generalmente più slavate. Insomma, nonostante la versione 3DS, ci vorrebbe proprio un remaster di Tales of the Abyss.
Anche perché si tratta di uno dei migliori capitoli della prima decade della serie. Il battle system rappresenta un’ottima evoluzione di quello del celeberrimo Tales of Symphonia (questo sì che l’hanno rimasterizzato), primo episodio ad esplorare le tre dimensioni. La trama, uno degli aspetti tipicamente meno “maturi” della serie, in quanto perlopiù fedele agli stilemi shonen, presenta una profondità inusitata, accentuata dal materiale opzionale – che, una volta tanto, non è fine a se stesso – come le skit e le subquest, e il cast è uno dei migliori della serie.
Tales of the Abyss avrebbe potuto arrivare in Europa, come altri due grandi JRPG di Namco Bandai (ora Bandai Namco Entertainment): il già citato Xenosaga Episode III e la trilogia di .hack//G.U.; tuttavia, purtroppo nessuno dei tre raggiunse il Vecchio Continente, che ha recuperato giusto G.U. con il remaster del 2017.
Valkyrie Profile 2: Silmeria (2007)
Valkyrie Profile, uscito sulla prima PlayStation, non fu pubblicato in Europa, ma la possibilità per noi di metterci sopra le mani si ripresentò con il port per PlayStation Portable (sottotitolato Lenneth), che giunse in versione PAL nel 2007.
In quel periodo Square Enix aveva progettato di costruire una serie attorno a Valkyrie Profile: pochi mesi dopo Lenneth, infatti, uscì un secondo capitolo, Silmeria, che fu seguito da un JRPG tattico per Nintendo DS, chiamato Covenant of the Plume. Purtroppo le vendite devono essersi rivelate inferiori alle aspettative, visto che nei successivi dieci anni è uscito solo Valkyrie Anatomia: The Origin, un prequel per smartphone giunto in Occidente l’anno scorso, a tre anni dal debutto in Giappone.
Silmeria rappresenta forse il picco più alto toccato dalla serie di Tri-Ace. Il gioco – come i suoi successori, d’altronde – è un prequel di Lenneth, dal quale mutua la maggior parte delle meccaniche del gameplay: le fasi esplorative funzionano come un platform a scorrimento orizzontale, mentre i combattimenti avvengono a turni, combinando gli attacchi degli alleati. Aggiungete un inusuale setting ispirato alla mitologia norrena e otterrete un’esperienza unica.
Sakura Wars: So Long, My Love (2005 – JAP; 2010 – PAL)
La storia di questo gioco è quasi romantica. La serie di Sakura Taisen nacque nel 1996 su Sega Saturn, ma nessun episodio fu mai localizzato, almeno fino al 2008, quando giunse a sorpresa la notizia che NIS America avrebbe portato in Occidente So Long, My Love. E così nel 2010 il gioco arrivò su PlayStation 2 (con PlayStation 3 fuori da oltre tre anni) e su Wii, per cercare di dare un senso commerciale a un’operazione che sembrava dettata più dai sentimenti che dal profitto.
Quinto capitolo di Sakura Wars, So Long, My Love è ambientato in una versione steampunk di New York negli anni Venti (del ventesimo secolo, si intende), in cui potenti mecha creati dal governo giapponese devono arginare un’invasione demoniaca (!) capitanata da nientepopodimeno che Nobunaga Oda (!!). Sul piano ludico, la serie propone un’originale commistione di JRPG tattico, fortemente narrativo alla maniera di Fire Emblem, e dating simulator.
Sarebbe bello se l’uscita di Sakura Wars (soft reboot) incoraggiasse Sega a far conoscere meglio la serie in Occidente, ma non ci metterei una mano sul fuoco…