Finalmente anche in Europa l’ultima fatica della Production I.G: Psycho-Pass: First Inspector
Uscito nelle sale della madrepatria il 27 Marzo e a contemporaneamente su Amazon Prime Video – che ne detiene l’esclusiva per la distribuzione al di fuori del Giappone – diviso in tre parti, Psycho-Pass 3: First Inspector chiude senza sbavature il cerchio dell’ultima stagione del fortunato franchise inaugurato nel 2012 dalla Production I.G., ma soffre degli stessi difetti che a loro tempo furono rimproverati al secondogenito, riconducibili al confronto (schiacciante) con il predecessore.
A scanso di equivoci, partiamo col dire che a differenza dello stand alone Psycho-Pass: The Movie (2015) e della trilogia dei Sinners of the System (2019), la decisione di concedere a First Inspector il privilegio di un passaggio sul grande schermo è legata semplicemente alla peculiare logica distributiva degli studi d’animazione nipponici, ancora restii a rinunciare ai profitti garantiti sul mercato interno dalle theatrical release e dall’home video – si pensi alle lussuose edizioni DVD e Blu-ray, spesso in esclusiva per i consumatori dell’arcipelago–, sempre più minacciati dai servizi di streaming.
Insomma, tolte le suture che concedono di usare la definizione di “lungometraggio” restano a tutti gli effetti tre episodi – nello specifico La conquista di Ziggurat Parte 1 e Parte 2, più il conclusivo Giornata piovosa – accomunati dal palcoscenico del quartier generale della Pubblica Sicurezza, messo sotto assedio dalla “volpe” Azusawa e dalla fida hacker Obata.
Obiettivo: la testa della governatrice Komiya e la chiave d’accesso alla sua IA. Ma com’era prevedibile, oltre a fare la volontà del Bifrost il nostro (anti)eroe punta anche a un incontro ravvicinato col Sybil System, ed è qui che l’oscuro passato del detective Shindo – filo conduttore intermittente dei precedenti 8 episodi – entra in gioco.
Abbiamo dato per scontate diverse nozioni di base sulle logiche che governano l’universo di Psycho-Pass, ma spoiler avoidance a parte è la stessa scelta che hanno fatto gli autori, il trio Fukami-Yoshigami-Ubukata, rivolgendosi esclusivamente a chi la serie l’ha seguita dall’inizio alla fine, tenendo a mente le zone d’ombra che attendevano di essere rischiarate. A questo punto vale la pena spendere qualche parola anche su questo terzo epigono, visto che il film in questione si propone di stupirci facendo deflagrare in un bel fuoco d’artificio le plotline ingarbugliate.Per essere un prodotto post-cyberpunk, il cui primo requisito è la capacità di ragionare sulla contemporaneità con una proiezione a lungo termine di carattere politico-sociale ancor prima che tecnologico, Psycho-Pass 3 può dirsi promosso a pieni voti.
Il Bifrost, in un certo senso il vero antagonista di questa storia, è una sorta di roulette russa per oligarchi, un cancro sviluppatosi in seno al Sybil che consente ai giocatori di trarre enormi profitti ricorrendo a ogni mezzo possibile, dal soldo di sicari a manovre macroeconomiche: ecco allora l’occasione perfetta per rievocare lo spettro della bubble economy, che sulla speculazione edilizia costruì la fortuna – e quindi la rovina, nei primi anni Novanta – del gigante asiatico; a farne le spese, i residenti stranieri alla ricerca di una vita migliore.
Si innesta qui il motivo del razzismo, che nonostante i classici toni paternalisti riguarda in prima persona uno dei protagonisti e ritornerà carsicamente a galla nelle discussioni tra i personaggi e nelle rimostranze dei “giapponesi puri”, le cui posizioni ricalcano quelle dei due candidati alla carica di governatore di Tōkyō: difficile non scorgere in queste frecciate un riferimento all’inasprimento dei requisiti per il visto dell’amministrazione Abe, ai raid xenofobi nell’enclave coreana di Shin-Okubo del 2013 o al dibattito – purtroppo ancora attuale – sulla revoca della cittadinanza agli zainichi (gli immigrati di seconda, ma in realtà ormai di terza se non quarta, generazione).
In aggiunta, il secondo arco della serie è inaugurato dagli attentati dinamitardi della setta religiosa Heaven’s Leap. E se al di qua dello schermo si guarda al preoccupante sincretismo di istanze fanatiche ed esoteriche di movimenti come la Sōka Gakkai, anche l’eventualità che un novello Asahara Shōkō ci attenda al varco non appare così implausibile.
In sintesi, di sicuro questo capitolo si connota come il più politico tra gli Psycho-Pass.Sul versante opposto, a non convincere è l’introduzione del “fattore ESP”, ovvero delle capacità da mentalista di Shindo Arata. Una spiegazione para-scientifica (i.e. combinazione di connaturata empatia e addestramento all’autoipnosi) c’è, ma in un contesto che aveva saputo farci innamorare per l’ortodossia delle sue regole e la perfetta verisimiglianza – anche teorica – del futuribile, si tratta di un elemento paranormale che sta come l’acqua all’olio.
Ma la cosa più grave, se così si può dire, è l’aver fatto di questo tratto del detective un escamotage per risolvere gran parte dei nodi cruciali della trama orizzontale, dai casi dei primi episodi fino all’epilogo, minimizzando a posteriori l’apporto degli altri comprimari; a prima vista potrebbe non sembrare così visto che l’impostazione di Psycho-Pass 3 è corale, a maggior ragione nella specie di First Inspector dove facce vecchie e nuove – si sa, senza Kogami e Tsunemori non è Psycho-Pass – sono chiamate a fare ciascuna la propria parte, ma al di là dell’impatto scenografico il loro peso narrativo si scopre pressoché nullo.Una marginalizzazione, questa, che ci riporta alla nemesi dell’intero brand, ovvero l’incapacità di essere all’altezza dell’eredità dell’originale. Il primo titolo vantava personaggi primari e secondari dal carisma invidiabile, che seguendo un iter di evoluzione abbastanza atipico per una produzione mainstream rendevano giustizia a se stessi come anche ai propri nemici – difficilmente vedremo ancora un cattivo degno dell’estro artistico di Makishima Shōgo – portando alla luce le falle del Sybil, mettendo così a segno una critica sistemica che manca nei capitoli successivi – che optano invece per una più blanda critica puntuale di certe piaghe sociali, piuttosto che azzardarsi a ipotizzare che sia la sovrastruttura il vero male della società.
Per fare un ragionamento ad ampio spettro azzardando un paragone con le serie TV dal vivo, la creatura di Shiotani Naoyoshi e Motohiro Katsuyuki sembra soffrire la stessa sorte del True Detective di Nic Pizzolato, che dopo una folgorante prima stagione (2014) – coadiuvata dalla coerenza stilistica della regia, affidata a Cary J. Fukunaga dal primo all’ultimo episodio – non ha saputo reinventarsi, proponendo una sequela di nuovi personaggi via via più affettati e artatamente tormentati che facevano tutto meno arrivare a scalfire il nocciolo bigotto e perverso della provincia americana.
Per carità, è vero che qui si sta parlando di anime e che l’adattamento ipermediale (dal manga al videogioco fino alla versione teatrale) è una prassi del mercato dell’intrattenimento nipponico cui siamo abituati, ma la sensazione che Psycho-Pass fosse un gioiellino che meritava di essere lasciato in pace resta, almeno dalla prospettiva di noi “stupidi gaijin”.Tornando al film, non si può dire che Psycho-Pass 3: First Inspector non faccia il suo sporco lavoro. A parte qualche svista di montaggio – l’inseguimento di Kogami e la corsa ai ripari dell’ispettrice Shimotsuki, entrambi in Giornata piovosa – e l’insopportabile condanna all’off-screen delle morti splatter, presenta un ottimo ritmo e non rinuncia alle scazzottate coreografiche, che sono state il fiore all’occhiello della componente action di questa terza stagione.
Peccato solo per la mediocrità del piano malvagio di Azusawa, che si scopre in ultimo una figura molto più banale di quanto l’inizio non lasciasse supporre. A conti fatti manca il fuoco d’artificio che (lecitamente) ci si aspettava, ma se siete arrivati fino all’ottavo episodio è comunque impossibile resistere.