È inutile tentare di nascondersi. Nulla vi protegge. Interferenze usate come barriere? Nemmeno quelle. In questo momento mentre leggete queste righe siete sotto controllo e molti di voi dovrebbero tremare. Se solo nella vostra mente sta balenando l’idea di fare qualsiasi tipologia di crimine, è finita. Un tonfo secco. Ed ecco piombare la sezione anticrimine della Pubblica Sicurezza. Quello sarà il momento in cui saluterete la vostra vecchia vita. L’ultimo respiro di libertà, prima di essere condotto nel tetro percorso della rettitudine. Una strada senza via di ritorno. Un triste addio ai piaceri della quotidianità. Senza aver commesso niente. Per colpa di un numero. Una cifra che ha il retrogusto di una condanna a morte. Una ghigliottina virtuale chiamata coefficiente di criminalità.
Questo è quanto potrebbe accadere, in una giornata qualsiasi, ad ogni abitante se questo fosse il 2112 e se fossimo nella Tokyo plasmata dalla brillante mente di Gen Urobuchi.
Una realtà in cui la libertà personale è legata alle decisioni di un computer governativo chiamato Sybil System. Tutto è freddamente deciso dalle macchine e l’umanità si piega al codice binario, prostrata dinanzi ad una sua creazione, che l’ha sopraffatta e l’ha resa schiava. Di un sogno, diventato per molti un incubo, in cui le ombre di una sorveglianza onnipresente annientano le luci dell’io, messo in un angolo. Dove la sicurezza agognata si fonde con l’oppressione più cupa. Una prigionia mascherata da mondo perfetto, in cui finalmente la vita appare sicura, la disoccupazione è assente e tutto viaggia nel binario della rettitudine. Ma a che prezzo? È vivere questo? O è recitare un copione scritto da altri?
Il mondo di Psycho Pass scava a fondo nel concetto di libertà, di devianza e sicurezza personale, riprendendo idee proposte nel secolo scorso, da filosofi, sociologi e scrittori di fantascienza. Chi ha approcciato studi umanistici durante il proprio percorso proverà più di un déjà-vu durante la visione dei ventidue episodi che compongono la serie. Ci sono continui rimandi, citazioni: spesso palesati, in altre circostanze nascosti. Appurato il grado di complessità dell’opera di Urobuchi, è utile affrontare il viaggio con una guida all’Universo in cui i protagonisti di Psycho Pass fanno riferimento.
Il collegamento più immediato ed esplicito rimanda alla letteratura, in particolare alla sua declinazione fantascientifica. La possibilità di fermare un crimine prima della sua effettiva attuazione è ovviamente figlia di Philip Dick e del suo racconto Rapporto di minoranza, pubblicato all’interno della raccolta Le presenze invisibili. I precog prevedono il futuro, proprio come gli algoritmi del Sybil e la criminalità sembra in tutte e due le opere un concetto ormai obsoleto. In entrambi i casi la presunzione di aver archiviato una volta per tutte il lato oscuro del pensiero umano si rivela errata.
In Psycho Pass poi si denota una spiccata anima cyberpunk, legata in particolar modo ad uno dei romanzi iconici del genere, quel Neuromante di William Gibson, che viene citato durante una conversazione tra Shogo Makishima e Choe Gu-Sung. Il romanzo dell’autore della Trilogia dello Sprawl e l’anime condividono gli stessi interrogativi, ma propongono interpretazioni differenti. Come sottolineato dal personaggio più oscuro dell’anime, la realtà in cui vige lo Psycho Pass apparentemente non ha nulla a che vedere con il mondo dipinto nel Neuromante. Gibson colora di grigio l’underground urbano in cui si muove il cowboy del cyberspazio Case. È una realtà iper-antropizzata, in cui vige il caos, tra periferie degradate e complessi industriali sotto un cielo che ha “il colore della televisione sintonizzata su un canale morto”. La Tokyo regnata dal despota Sybil System appare perfetta agli occhi incauti e poco attenti dei suoi abitanti. Tutti hanno un lavoro e vivono in un paese sicuro, iper moderno, senza preoccupazioni.
La società che accoglie la protagonista Akane sa come mascherare il suo imprinting totalitario e si discosta quindi da quella Orwelliana di 1984. Le catene non sono esplicite, non si ha la sensazione di vivere in una prigione a cielo aperto e il Grande Fratello/Sybil scruta in modo subdolo, dando l’errata sensazione di una vita serena alla popolazione.
Come nel celebre romanzo di Orwell, la cultura diventa vittima del sistema. Idee passate possono influenzare il presente e diventano pericolose. Leggere libri che si discostano dal pensiero uniformato diventa un ostacolo per la quiete coatta della Tokyo di Psycho Pass. Non a caso i personaggi più colti dell’anime sono gli antagonisti guidati da Makishima, i cui monologhi sfoggiano puntualmente un livello di erudizione eccelso. Una degli epigoni di Makishima che più colpisce e regala spunti di riflessione è Rikako, una studentessa dell’Istituto femminile Oso. La sua visione è legata alla filosofia di Kierkegaard: la vita umana è costellata di scelte, che annullano percorsi alternativi. La possibilità di decidere ed essere protagonista diretto delle conseguenze delle proprie azioni rende tutto possibile. L’uomo è quindi protagonista di infinite decisioni che generano una libertà assoluta. Ed è lì che si inscena il dramma permanente: la mancanza di un orientamento netto, di criterio creano nell’uomo instabilità e smarrimento. L’angoscia kierkegaardiana può esistere in un mondo in cui la scelta è impossibile? Il controllo sulla vita altrui scaturito dalla rigidità del Sybil libera l’uomo dal suo dramma, ma lo proietta in un recinto e ne limita l’essenza.
Proprio sul concetto di decisione, della mancanza dell’aut/aut ruotano i diversi atteggiamenti dei protagonisti di Psycho Pass. La protagonista Akane si specchia nel sistema, ne coglie l’aspetto positivo, sottolineando come in una società incapace di distinguere bene e male sia indispensabile una linea guida. In questo si segue la concezione di Stato di Hobbes, ma il patto da stato di natura allo stato civile qui viene estremizzato. All’incapacità di gestire autonomamente la propria libertà ne consegue il suo annullamento: chi si pone contro il sistema è libero di decidere, ma viene presto ghettizzato e messo ai margini della società. E’ indispensabile quindi che la popolazione supporti e protegga la legge, che diventa sovrano e mostro, proprio come il Leviatano del filosofo inglese.
Per l’agente Masaoka la società si rifà alla visione di Rousseau: l’accettazione del Sybil altro non è che una prova di collaborazione di fronte al male. Per evitare un rovinoso ritorno allo stato di natura, bisogna costruire uno stato civile che liberi l’uomo dai danni morali generati dalla convivenza con i suoi simili. La giustizia in Psycho Pass dovrebbe riportare in armonia l’umanità.
Nelle parole dello psichiatra Saiga invece emergono le idee del filosofo Max Weber quando mette in parallelo il Sybil con il burocrate ideale, teorizzato dal pensatore tedesco. Nel sistema che gestisce la popolazione non ci sono rabbia e parzialità e non si denotano mai odio ed emozioni violente. Solo con una forma mentis del genere si possono gestire gli abitanti, altrimenti lasciati in balia del caos.
Citazionismo e lampi di cultura mettono ovviamente in luce Makishima, vera nemesi del sistema e della filosofia che lo permea. Shogo rifiuta il Sybil System e intende sostituirlo con una società migliore. Per convincere ed ammaliare i suoi discepoli il villain spazia in tutte le sfumature dello scibile umano. Memorabili le sue discussioni con Kogami, in cui si mettono in ballo i filosofi Pascal ed Ortega, a riguardo dell’utilizzo della forza nella messa in atto della giustizia. E’ necessaria la forza per far sì che la giustizia esista e sia attuabile?
Makishima va oltre e riflette sul concetto di libero arbitrio, senza il quale l’uomo è annullato. Diventa schiavo.
Nell’obbedire al Sybil System si perde tutta la bellezza dell’essere umano. Un essere vivo, che pensa e sceglie. È meglio una vita apparentemente sicura, ma in catene o una in cui l’uomo può ancora sentirsi libero?