Quantum Break è l’esclusiva di cui Microsoft aveva bisogno?
Dopo diversi anni di assenza, Remedy Entertainment torna alla ribalta con una nuova IP in esclusiva per Xbox One: quel Quantum Break che ha fatto sognare i possessori dell’ammiraglia Microsoft per anni e che ora, finalmente, è tra le nostre mani. Cosa si saranno inventati stavolta i padri di Max Payne e Alan Wake? Il tempo, si sono inventati il tempo.
Un concetto relativo
Jack Joyce torna a Riverport, la sua città Natale, dopo un passato burrascoso fatto di addestramento militare, furti e carcere. Ora però è un uomo nuovo e infatti sta tornando a casa per rincontrare suo fratello, uno stimato ricercatore della Monarch Solutions. Una volta arrivato al suo laboratorio, però, Jack incontra anche un suo vecchio amico, Paul Serine, che gli rivela che lui e il fratello sono arrivati a un punto di svolta nell’ambito della manipolazione temporale. In parole povere hanno scoperto il segreto dei viaggi nel tempo. Durante il test decisivo, però, qualcosa va storto, si crea una frattura nel continuum spazio-tempo e l’universo, così come lo conosciamo, sembra avere le ore contate. Tutto sembra essere stato studiato a tavolino da Paul e toccherà a Jack fermarlo e ristabilire il corso degli eventi. Come? Con i suoi nuovi poteri, ottenuti dopo l’esplosione del macchinario ideato da suo fratello.
Per analizzare oggettivamente la storia imbastita da Remedy bisogna conoscere il loro passato. E il loro passato è rappresentato da Max Payne ed Alan Wake. Quantum Break, in un certo senso, rappresenta un seguito spirituale di questi due brand, se non altro per l’attitudine dei protagonisti a specchiarsi col proprio cognome. Payne (Pain=dolore – il dolore di un uomo che non è riuscito a proteggere la sua famiglia). Wake (Awake=risveglio – la continua frustrazione di uno scrittore che si trova a vivere un incubo ad occhi aperti, senza sapere se sia reale o solo frutto della sua mente). Joyce (Jeuce=spremuta – come un uomo costantemente stritolato fra passato, presente e futuro e le cui azioni gocciolano fra realtà alterate da lui stesso, senza soluzione di continuità). Tre uomini che devono riportare indietro qualcuno, o vendicare qualcuno o ancora tentare di salvare qualcuno.
La storia di Quantum Break segna nuovi standard per quanto riguarda la narrazione in un videogioco. Innanzitutto Remedy ha imbastito una vera e propria serie TV, con attori in carne e ossa (Shawn Ashmore, Dominic Monaghan, Lance Reddik, per citarne alcuni) che accompagna la conclusione di ogni capitolo e si adatta alle scelte “critiche” davanti al quale il giocatore è messo di fronte. Queste faranno si che la storia si dipani in maniera differente tanto nel gioco quanto nella serie TV stessa, con scene realizzate ad hoc a seconda del percorso che abbiamo deciso di intraprendere. Recitata bene, scritta magnificamente e girata ancora meglio. Un colpo di genio che solo una software house così attenta allo storytelling poteva avere. In-game la parte giocata è totalmente al servizio della narrazione, sempre, e non viene mai meno al suo compito: raccontare una storia. E com’è questa storia? Intrigante, avvincente, a tratti anche emozionante nonostante il giocatore non si trovi mai totalmente trascinato all’interno e faccia molta fatica ad immedesimarsi nella complicata realtà che vivono i personaggi. Sinceramente? E’ una cavalcata ricca di spunti, che si addentra nell’inflazionatissimo mondo dei viaggi nel tempo cercando di darne una visione alternativa: niente e nessuno può modificare il corso degli eventi; un leitmotiv incastonato tra la teoria della relatività di Einstein e il paradosso di Schrödinger. Ecco che quindi i protagonisti, le loro storie, i loro background, fungono quasi da comprimari, perché è il tempo a scandire tutto ed è il suo incedere singhiozzante, dissestato e fratturato a farla da padrone. Un esperimento narrativo in piena regola, con tanti pregi ed immancabili difetti, uno su tutti il non essere riusciti a creare dei protagonisti iconici, come invece era successo immediatamente con le altre IP. E’ un cerchio perfetto, che si apre e si richiude autonomamente, senza forzature e senza grandi colpi di scena. Quantum Break è un flusso di eventi che forse non tutti apprezzeranno ma che, lo ripetiamo, rappresenta un nuovo inizio per quanto riguarda lo storytelling all’interno di un videogioco.
Il signore del tempo
Dovessimo ingabbiare Quantum Break all’interno di un genere ben preciso opteremmo per un classico sparatutto in terza persona, sebbene di classico non abbia praticamente nulla. Ci sono le armi, c’è un sistema automatico di copertura (che funziona egregiamente) e c’è un minimo di fase esplorativa, alternata a dei semplici enigmi ambientali risolvibili con i poteri del nostro Jack. E cosa è capace di fare Jack Joyce? L’esplosione del reattore della macchina del tempo ha fatto si che il suo corpo sia stato contaminato dalle particelle di Chronom, il che gli permette di manipolare il tempo a suo piacimento. Attraverso la pressione di un tasto saremo in grado di creare un campo di stasi, capace di risucchiare i proiettili e di esaurirsi in una deflagrazione devastante. Saremo poi capaci di eseguire delle schivate fulminee, al limite del teletrasporto oppure creare un campo energetico che ci tenga al riparo dai proiettili o ancora eseguire degli scatti temporali, muovendoci liberamente mentre intorno a noi il mondo rimane fermo a qualche secondo prima. Tutte queste capacità rendono gli scontri a fuoco di Quantum Break spettacolari, emozionanti e divertenti, soprattutto perché dovremo prepararci ad affrontare molti nemici alla volta, alcuni dei quali dotati dei nostri stessi poteri o di macchinari in grado di bloccarli.
Il risultato è che ogni battaglia non sarà mai uguale a quella precedente e necessiterà di un minimo di tattica e pianificazione per essere risolta. Dopo qualche ora, infatti, sarete in grado di padroneggiare i vostri poteri (upgradabili attraverso un semplice menu di potenziamento) e concatenare vari attacchi in sequenza, cercando di rimanere costantemente in movimento e di sfruttare adeguatamente le coperture in fase di ricarica (di armi e poteri). E’ un gioco divertente, molto divertente, seppur le meccaniche, col passare delle ore, non si evolvano ed il gioco si limiti nell’offrire al giocatore una sfida sempre crescente, mantenendo inalterate le sue capacità. Starà a noi diventare dei perfetti “signori del tempo”, imparando a sfruttare i nostri poteri e anche l’ambiente circostante contro i nemici. Il rischio che il titolo, dopo diverse ore, possa risultare ripetitivo c’è ed è tangibile ma, come abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, anche le parti giocate sono state studiate per essere un’integrazione della narrazione. In tal senso Quantum Break, nelle sue 10 ore abbondanti necessarie per il completamento, è un gioco senza compromessi. E’ un gioco consapevole dei propri punti di forza e paradossalmente anche delle sue debolezze.
Tecnica spazio-temporale
Il rinvio aveva fatto un po’ storcere il naso ai fan ma indubbiamente ha fatto bene alla versione finale del gioco. Se si guardano i primi video di presentazione, infatti, si possono notare delle differenze qualitative abissali con il titolo che ci siamo trovati a giocare. Il livello di dettaglio di Quantum Break, la sua qualità prettamente visiva, a tratti, è impressionante, soprattutto per la mole di effetti e poligoni che il gioco si trova a gestire. Remedy ha saputo sfruttare il motore Havok alla perfezione, mascherando numerose magagne (tipo la pulizia non propriamente esaltante di alcune texture) con un filtro opaco che restituisce un convincente effetto blur. In tutto questo il gioco si muove costantemente sui 30fps ed anche sul versante audio il lavoro di campionamento svolto è stato impeccabile. Come al solito di altissimo livello anche il doppiaggio in italiano, miracolosamente anche sincronizzato con il labiale. Se dovessimo muovere un paio di critiche lo faremmo per la colonna sonora, piuttosto anonima (ed è una novità per Remedy) e sul doppiatore scelto per dare la voce al protagonista, ma sono gusti personali.