Nella Shanghai degli anni ’20, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, camminano armati di pistola e orecchini di diamanti Roma Montagov e Juliette Cai, rispettivamente figli ed eredi dei Fiori Bianchi e degli Scarlatti, due bande criminali che da decenni di spartiscono il dominio della città
rmai l’appuntamento in cui affrontiamo il fortunatissimo genere del retelling sta diventando puntuale. Fino adesso ci siamo imbarcati nell’analisi di opere che hanno preso a piene mani dall’epica greca e dalla leggenda, scritte da mani più o meno sapienti, che hanno saputo risollevare la genialità della storia originale a cui attingevano, dandole nuova vita, oppure che hanno semplicemente proposto una tiepida reinterpretazione, un’ombra sfocata di quella che è la fonte da cui l’idea del libro nasce. Dopo mostri celeberrimi come Dracula e personaggi epici come Achille e Circe, per la prima volta ci troviamo di fronte ad un retelling tratto da un’opera della letteratura schiettamente immortale, impressa nella mente di ognuno di noi, a prescindere dalle nostre conoscenze letterarie. Insomma, chi non ha mai sentito parlare di Romeo e Giulietta?
La storia d’odio e d’amore destinata a diventare leggenda, costruita per il palcoscenico da William Shakespeare nel 1597, torna sotto i riflettori, per così dire, tramite la mano di Chloe Gong, una giovanissima autrice (classe 1998), di origini cinesi che ha costruito una duologia destinata a diventare un best seller. Cavalcando l’onda commercialmente vertiginosa del genere della “riscrittura”, Gong ci presenta Queste gioie violente: una reinterpretazione pop della tragedia di Romeo e Giulietta.
Dalla Verona del ‘500 alla Shanghai degli anni ’20
Nella Shanghai degli anni ’20, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, camminano armati di pistola e orecchini di diamanti Roma Montagov e Juliette Cai, rispettivamente figli ed eredi dei Fiori Bianchi e degli Scarlatti, due bande criminali che da decenni di spartiscono il dominio della città. La loro gente si uccide per le strade e i loro genitori non vedono l’ora di contare la morte dei nemici sulle punte delle dita, ma per Roma e Juliette è diverso, o almeno lo era quando avevano quindici anni. Prima che Juliette partisse per l’America. Prima che Roma diventasse la mano destra di suo padre. Mentre nella torbida Shanghai serpeggiano voci su un mostro che vive nel fiume Huangpu, una terrificante malattia inizia a mietere vittime, le quali appartengono sia alla gang Scarlatta che ai Fiori Bianchi. Nell’indifferenza dei loro genitori, saranno proprio Juliette e Roma a dover scoprire da dove proviene il morbo e riuscire a sconfiggerlo prima che sia troppo tardi.
Quanto Queste gioie violente contiene dell’opera originale di William Shakespeare?
Ora che abbiamo delineato la fattura del romanzo, edito Mondadori e uscito nelle librerie italiane il 10 maggio 2022, possiamo addentrarci nel succo della questione: quanto Queste gioie violente contiene dell’opera originale di William Shakespeare? Il mio parere è lapidario: assolutamente niente. La storia stessa prende molto le distanze da quello che è l’originale, perché Shakespeare non ha mai nominato nella sua tragedia mostri fluviali e morbi contagiosi; se è per questo non è neanche mai comparso che Giulietta Capuleti fosse una criminale armata di pistola. Eppure non trovo che la sostanziale distanza tra il libro di Gong e la celebra vicenda amorosa si annidi nei dettagli della trama. Pensandoci bene, un’opera in cui un ragazzo e una ragazza appartenenti a famiglie rivali che tuttavia si innamorano già esiste ed è stata scritta nel ‘500 dal più grande drammaturgo di tutti i tempi; quindi perché mai il pubblico odierno vorrebbe leggerne una copia “rimodernata”?
Cosa distingue un re-telling riuscito da una sciapa imitazione?
Ogni retelling valido d’attenzione che abbiamo affrontato in precedenza prendeva un aspetto dell’opera originaria e lo approfondiva, in una riscrittura che aveva tuttavia palesemente un legame intimo con la sua musa ispiratrice. Madeline Miller con i suoi La canzone d’Achille e Circe sicuramente prende una via che si discosta dal punto di vista narrativo dai grandiosi racconti omerici, ma sostanzialmente tenta (e, secondo me, riesce) a vitalizzare la scrittura con l’anima sostanziale dei personaggi omerici. Come nell’Odissea e nell’Iliade troviamo epicità, drammaticità, pianto e adrenalina, eleganza e ferocia, così li ritroviamo (in una chiave certamente meno imperiosa) nei romanzi di Miller. La trama e le vicende narrate prendono pieghe sicuramente diverse, ma sono scritte con un’intensità che almeno ci prova ad avvicinarsi a quella delle opere originali. Anche Le nebbie di Avalon ci ha dato lo stesso esempio, grazie alla mano più che sicura di Marion Zimmer Bradley, la quale ricrea un mondo magico e leggendario che è quello della vita di Re Artù e dell’isola di Avalon dandogli nuovo smalto, ma trattando con estremo rispetto l’allure impresso nell’origine dei miti.
L’approccio di Gong non mi sembra della stessa pasta. Prendendo in mano Queste gioie violente senza sapere di avere davanti un “ufficializzato” re-telling di Romeo e Giulietta, penserei di star leggendo una semplicissima storia d’amore, certamente ripetitiva e con le sue banalità, ma tutto sommato “originale”. Perché del background culturale e lirico lasciatoci da Shakespeare qui non ce n’è nemmeno l’ombra. La scrittura di Gong è piatta e generica; i personaggi hanno uno spessore minimo, basato su luoghi comuni e formalismi; impera il “tell, don’t show”, per cui ogni aspetto della vita e della personalità dei personaggi è raccontato a parole ma nei fatti non assistiamo praticamente a nulla. Un libro che si basa su una reputazione solida che forma al cento per cento due personaggi di cui, alla fin fine, noi non abbiamo visto niente. Non c’è tono drammatico, non c’è una reale coscienza del sentimento amoroso, ridotto a formulette da young adult di scarsa qualità. Tutte queste critiche, che mi rendo conto possano suonare piuttosto salate, derivano dal semplicissimo dettaglio che questo libro si proponga come una riscrittura di Romeo e Giulietta. Se si fosse trattato di uno young adult come se ne vedono tantissimi in giro, tra l’altro esordio dell’autrice, sarei stata di più buon cuore.
Qualche esempio meglio riuscito
Voglio dire che costruire una storia pop sulla base di un classico sia sbagliato? Per carità! Non mi assumo il ruolo di bacchettona. Abbiamo tantissimi esempi vincenti di questo genere, partendo dal più lontano Cappuccetto Rosso e gli insoliti sospetti (cartone animato che trasforma la favola di cappuccetto rosso in un giallo noir) al più affine Romeo+Juliet con Leonardo DiCaprio e Claire Danes. Ma questi due esempi hanno in comune un tratto fondamentale: il barlume di genialità. Stravolgere una storia rimanendo fedeli alle radici è possibile e la fila di titoli che l’hanno fatto è lunga.
Superando il fattore re-telling: ci troviamo di fronte ad un buon libro?
Facendo buon viso a cattivo gioco potremmo dire che, per lo meno, distaccandolo dalla sua natura decisamente incerta di re-telling, Queste gioie violente sia un libro appassionante, perfetto per una lettura sotto l’ombrellone, eppure mi trovo nuovamente a mettere il dito nella piaga. I fatti in questo romanzo che vorrebbe essere una specie di giallo/mistery paranormale sono diluiti fino all’ossesso, meccanici, programmati con una tabella di marcia tanto rigida quanto inverosimile. Ai personaggi serve scoprire una pista? Eccola lì, in bella mostra, nello stesso capitolo in cui è saltato fuori che la pista sarebbe stata necessaria alla risoluzione del caso. Serve loro un indizio? Non temete, arriverà prima che i protagonisti mettano piede fuori di casa. Il ritmo in questo modo diventa serrato, ma cade subito dopo nel terribile tranello della noia. In una trama in cui ogni cosa dovrebbe essere pericolosa, farraginosa e cruenta (perché sono queste le carte che “a parole” l’autrice mette in tavola) il lettore perde interesse trovandosi davanti solo facilitazioni, cliché e nodi che vengono al pettine dopo appena una spazzolata.
Mossa di marketing o ingenua inesperienza?
Volendo giungere ad una conclusione riassuntiva: è possibile chiamare un libro “re-telling” limitandosi ad una (quasi ridicola) assonanza tra i nomi dei protagonisti (Roma Montagov/Romeo Montecchi, Juliette Cai/Giulietta Capuleti)? È possibile spacciare un libro come cugino di un capolavoro della letteratura usando come scusante solo una dinamica lontanamente simile? Serve davvero specificare di trovarsi davanti ad un re-telling di Romeo e Giulietta quando all’interno del romanzo troviamo a malapena un accenno all’opera originale? Questa spinta puzza terribilmente di mossa di marketing, che non ha nulla di sbagliato in sé, ma dev’essere per lo meno giustificata. Persino la formazione della storia d’amore tra i due personaggi è diversa dall’originale! Dov’è l’amore a prima vista, la sfida contro la rivalità familiare, la poesia e la bruciante passione? Tutto in Queste gioie violente è noiosamente tiepido.
Che il volume numero 2 riservi grandi sorprese per il pubblico? Lo scopriremo in libreria.