Rapiniamo il duce conferma lo stile di Renato De Maria, un regista che sa dare personalità ai suoi film anche quando non si tratta di opere impeccabili
opo la presentazione alla Festa del cinema di Roma, Rapiniamo il duce di Renato De Maria arriva su Netflix, e quando si tratta di questo regista, personalmente, le aspettative sono sempre discretamente alte. Non parliamo di uno con una filmografia lunghissima, e tutto sommato nemmeno costellata di capolavori, ma i suoi film hanno sempre una marcata personalità, riescono ad allontanare la banalità di cui purtroppo il panorama cinematografico italiano è intriso, e De Maria ci regala prodotti che in fondo ogni volta sono piacevoli da guardare.
Chi ha ormai qualche anno ricorderà bene la serie Distretto di Polizia, ma soprattutto il film Paz! che, per quanto forse anche sopravvalutato in certi ambienti, è un’opera ammirevole, in grado di rendere omaggio in modo ammirevole al lavoro del compianto Andrea Pazienza. Il recente Lo Spietato, per quanto imperfetto a livello di script, era eccezionale nel suo ricordare il poliziottesco anni ’70 con i molteplici riferimenti e con la sapiente fotografia del suo uomo di fiducia, Gian Filippo Corticelli.
Ecco, proprio il lavoro di quest’ultimo è uno dei primi pregi che notiamo in Rapiniamo il duce, quella forte saturazione capace di accoglierci immediatamente nel racconto. La storia poi, come il titolo preannuncia, trasuda originalità pur senza farci togliere dalla testa una sorta di Bastardi senza gloria alla buona, una versione cacio e pepe del capolavoro di Tarantino, insomma.
E in effetti gli ingredienti ci sarebbero tutti. Nella Milano dell’aprile 1945 la Resistenza e gli alleati anglo-americani sembrano ormai prossimi a spazzar via ciò che rimane del fascismo, e così Pietro Lamberti detto Isola (Pietro Castellitto), insieme alla fidanzata Yvonne (Matilde De Angelis) si mette in testa di rubare l’oro del duce.
Provate quindi a immaginare un Pietro Castellitto in versione Aldo Raine; una Matilda De Angelis che ammicca a Shosanna; il “nostro” Hans Landa traslato nei panni dell’Achille Borsalino di Filippo Timi; un accigliato Tommaso Ragno a replicare un po’ il sergente Hugo Stiglitz; e soprattutto il folle Orso ebreo rimpiazzato da un ancor più bislacco Maccio Capatonda. In effetti, non riuscivo a pensare ad altro durante diverse sequenze del film, e questo mi faceva sorridere. Perché a conti fatti Rapiniamo il duce è sostanzialmente una commedia intelligente, che sa pescare nel modo giusto dall’action movie, dell’heist e dagli altri generi, in pieno stile De Maria.
Il minutaggio è perfetto: poco più di un’ora e trenta minuti. Quello giusto per non annoiare e non permettere un calo di ritmo, che in effetti non c’è mai, anche grazie al supporto di una colonna sonora indovinatissima pur non essendo del tutto adatta all’epoca rappresentata. Per il resto ovviamente si prova a cucinare con gli ingredienti di cui si dispone. Castellitto Jr non è ineccepibile, e lo sapevamo già, infatti va bene fin quando non si toglie di dosso i panni del burlone, ma risulta a tratti imbarazzante quando cerca di essere serio, mentre Matilda De Angelis non ha spazio a sufficienza per emergere. Il migliore, tolto naturalmente Ragno che è una spanna sopra gli altri per esperienza e spessore artistico, è quel fenomeno di Maccio Capatonda.
In fondo Rapiniamo il duce non cerca di prendersi mai troppo sul serio, non rischia di uscire eccessivamente dal confine dell’intrattenimento e questa è un’altra scelta giusta operata da De Maria. Una delle tante che continua a fare di lui un regista forse non impeccabile ma davvero intelligente.