Ray Liotta è stato una star silenziosa, ma ci ha regalato oltre 80 film e altrettanti ruoli importanti, tra cui ovviamente il leggendario Henry Hill di Godfellas
odfellas (Quei bravi ragazzi) per me è stato un film davvero importante, che ho apprezzato tantissimo pur avendolo recuperato – per ovvie ragioni anagrafiche – soltanto in adolescenza, a cavallo del nuovo secolo.
Ricordo che all’epoca facevo i recuperi per regista, scandagliando nella filmografia quelli che ancora non avevo visto e provvedendo subito, così quando arrivò il “turno” di Martin Scorsese, Quei bravi ragazzi fu uno dei primi della lista.
Una cosa va detta di questo film: nonostante si tratti di una grande opera corale, realizzata da un formidabile regista e con un cast d’eccezione in cui spiccano performance come quelle di De Niro e Pesci, in un certo senso Quei bravi ragazzi è Ray Liotta.
È stato il film che l’ha reso una leggenda, in cui l’interpretazione sbalorditiva del suo Henry Hill conquistò il pubblico e lanciò l’attore nello star system.
“Che io ricordi, ho sempre voluto fare il gangster”, esordiva il giovane Hill presentandoci il suo personaggio, che pure era tutto meno che semplice e stereotipato, ben lontano dall’immagine del mafioso e del criminale tipo onnipresente nei film di Scorsese e non solo.
Henry Hill, come ha affermato anche il regista intervistato dopo la recente scomparsa di Ray Liotta, “aveva moltissime sfaccettature, una grande complessità di livelli differenti, e in più era presente praticamente in ogni scena”.
Fu incredibile come quell’Henry adulto riusciva ad essere così straordinariamente diverso da quello sbarbato e quasi puro conosciuto all’inizio del film. Quella saggezza e la capacità di usare ad esclusivo vantaggio la sua faccia d’angelo, si perse con il passare degli anni, mentre il viso si consumava e l’espressione era sempre più assente e vittima della spirale della droga e dei problemi ad essa collegati. E in questo Liotta era semplicemente perfetto.
Henry Hill era un criminale umano, che conosceva anche la paura, e poteva provarla persino di fronte un amico fraterno e un collega, se questi rispondeva al nome del folle Tommy De Vito (Joe Pesci).
Nell’arco di 140 minuti assistiamo a innumerevoli versioni di Henry Hill, ed è scioccante notare il radicale cambiamento di un uomo, che pian piano perde l’amore, quello per la moglie Karen, ma anche quello per il proprio “lavoro” e soprattutto per se stesso.
Dopo Godfellas Ray Liotta ha avuto diversi ruoli importanti, interpretando anche poliziotti seppur spesso corrotti (terribilmente spietato e inquietante, ad esempio, in Come un tuono), ma ben pochi come protagonista.
Liotta infatti non è mai diventato una star di primissimo piano; forse è nato nell’epoca sbagliata in cui lo star system pullulava di grandi attori, ma più probabilmente la causa è da ricercare anche in qualche scelta non del tutto felice negli anni ’90, dopo Godfellas. Eppure Liotta era un artista a tutto tondo, era un interprete eccezionale, eclettico, ma era anche fenomenale nel canto e nel ballo. Mi piace pensare allora che ha avuto la carriera che ha voluto fare, pur senza un Oscar o un Globe, pur senza candidature (e questo è grave), ma scegliendo i ruoli e i film che reputava giusti per se stesso.
In questo senso ho trovato meraviglioso l’articolo della giornalista del Guardian Hadleuy Freeman che racconta come, dopo una intervista a Liotta, ha percepito che probabilmente il motivo per cui l’attore non ha avuto una carriera stupefacente dopo Godfelass è proprio perché è sempre rimasto se stesso.
“Potrebbe sembrare una non risposta, dice la Freeman, ma è molto raro intervistare un attore che non ti prenda un po’ in giro. Dopotutto, sono allenati a recitare, a piacere, a ricevere applausi. Liotta era totalmente disinteressato a tutto questo”.
Non era un tipo che si vantava o si credeva una star, e forse questo ha ostacolato un po’ la sua carriera, impedendogli di essere il protagonista che tutti pensavano sarebbe diventato dopo quel film, restando invece una star silenziosa, quasi inconsapevole. Ma va bene così.
Va bene a lui e quindi va bene anche a noi, pure perché – e questo non dobbiamo scordarlo – ci ha comunque regalato oltre 80 lungometraggi e altrettanti personaggi a loro modo memorabili (a cui aggiungiamo la voce a Tommy Vercetti in GTA Vice City), che forse non resteranno scolpiti nella nostra memoria come l’eccezionale Henry Hill, ma ci restituiscono ugualmente una parte importante di un attore andato via prematuramente e che senza dubbio ci avrebbe potuto stupire con molti altri ruoli iconici e forse, prima o poi, ottenere anche i giusti riconoscimenti.
Buon viaggio Ray.