Il tema della realtà simulata si presenta in molti libri, in bilico tra ipotesi scientifica e complottismo
“Benvenuto nel mondo vero”: con queste parole nel 1999 Morpheus ci presentava il mondo post-apocalittico del futuro, ben diverso dalla confortante esperienza di Matrix in cui era imprigionata l’umanità. La rivelazione all’epoca fu sconcertante per gli spettatori, ma si inseriva in una tradizione consolidata di libri sul tema della realtà simulata, proposto dalla narrativa già da decenni.
Realtà simulata VS simulazione realistica
L’approccio più immediato al tema della realtà simulata nei libri è quella di uno spazio virtuale a cui è possibile accedere e in cui muoversi per compiere varie attività, come in una sorta di vita parallela. Questa idea si è sviluppata contemporaneamente ai primi accenni al cyberspazio, e si è affermata quando la possibilità di una Rete globale è diventata evidente. In questo caso chi accede al mondo virtuale sa bene che lo sta facendo, e può avere i motivi più vari per farlo: semplice svago, lavoro, o fuga dal “mondo reale”.
Per quanto apparentemente innocuo, anche questo tipo di simulazione ha in effetti alcuni potenziali aspetti oscuri. In prima battuta, il mondo simulato può rappresentare una confortante alternativa alla vita in quello vero, come succede ad esempio in Ready Player One di Ernest Cline, dove il mondo di Oasis si contrappone a quello esterno offrendo ai suoi partecipanti un condensato di nostalgia e intrattenimento. Non è un caso quindi che molte persone preferiscano passare il loro tempo nella simulazione piuttosto che nel mondo vero.
Ma ci sono anche casi in cui, per quanto virtuale, la realtà simulata influisce in modo pesante su quella esterna. È il caso ad esempio di Arresto di sistema di Charles Stross, in cui una rapina eseguita all’interno di un MMORPG fantasy provoca una crisi internazionale che rischia di affossare l’economia globale. Anche in Reamde di Neal Stephenson (autore che già in Snow Crash aveva usato un mondo virtuale come sua ambientazione principale) la storia inizia all’interno di un gioco multiplayer online, ma le azioni lì compiute permettono di far progredire un piano terroristico. Questo a dimostrazione che secondo quanto si legge in questi libri la realtà simulata non è mai del tutto isolata da quella vera, e che non è possibile muoversi in una senza conseguenze sull’altra.
Il mondo è una bugia…
Fin qui abbiamo parlato di libri dove la realtà simulata è concepita come tale, con gli utenti perfettamente consapevoli di accedere a un mondo “finto”. Ma già il caso di Matrix è diverso, perché si tratta di una simulazione creata apposta per celare il mondo vero, quello che Neo scopre dopo essere stato risvegliato. La domanda quindi diventa: e se il mondo in cui viviamo fosse una finzione progettata per illuderci? È questa la cosiddetta Ipotesi della Simulazione, alla quale si sono applicati matematici, programmatori, filosofi e teologi. Secondo la formulazione iniziale di Nick Bostrom, da un punto di vista prettamente statistico, sono più alte le probabilità di vivere in una simulazione piuttosto che in un mondo reale. Come si intuisce, le risposte a tale quesito sconfinano pericolosamente nel complottismo, e non è facile districarsi tra ipotesi serie e pseudoscienza, come quando si parla antichi astronauti e UFO. Ma fortunatamente, la narrativa non deve necessariamente fornire una risposta, quanto giocare con le possibilità implicite nella domanda.
Uno degli esempi migliori di mondo simulato è quello di Simulacron 3 di Daniel F. Galouye, da cui è stato adattato il film Il tredicesimo piano. In questa storia, i protagonisti vivono in un mondo virtuale, progettato per svolgere ricerche di mercato da parte di agenti del mondo esterno che si collegano alla simulazione. Di fatto quindi i protagonisti non sono nemmeno “persone” ma semplici “programmi”, individui composti soltanto di codice macchina. La loro scoperta è quindi più traumatica di quella di Neo in Matrix, che può consolarsi se non altro di avere un corpo fisico a cui fare ritorno, cosa invece impossibile per gli abitanti di Simulacron 3.
Una cosa simile avviene in I simulacri di Vernor Vinge. Qui gli ignari partecipanti della simulazione sono operatori di call center, e hanno per di più l’ostacolo di venire resettati e riavviati ogni giorno. Per loro quindi è ancora più difficile mettere insieme gli indizi che possono portarli a scoprire la loro condizione. Tra i fortunati scopritori della realtà virtuale troviamo anche Phaeton Prime Rhadamanth, il protagonista della serie dell’Età dell’oro di John Charles Wright: Phaeton è infatti una personalità originaria di una realtà simulata che ha dedotto i confini della sua prigione ed è per questo stato “promosso” al mondo esterno.
Questa prospettiva rispetto al problema della realtà virtuale è forse la più inquietante: se supponiamo che il mondo in cui viviamo sia una simulazione, cosa succede nel momento in cui qualcuno all’interno della simulazione arriva a comprenderne la natura? Potrebbe essere questo l’obiettivo finale dell’esperimento a cui gli ignoti programmatori ci stanno sottoponendo, e quindi provocare il termine dell’esperimento stesso? Siamo pronti ad affrontare la fine istantanea del mondo in cui viviamo, per quanto virtuale esso sia? C’è qualcosa di peggiore di questo tipo di incertezza? Oh, sì che c’è.
… e comunque la realtà non esiste
Anche nell’Ipotesi della Simulazione, si dà per inteso che una esista una sorta di “realtà superiore”, un mondo reale nel quale la simulazione viene eseguita. In genere si ritiene che il mondo esterno sia in qualche modo affine a quello simulato, perché è più semplice pensare che una specie senziente realizzi simulazioni di se stessa, piuttosto che inventi una forma di intelligenza alternativa. In sostanza, crediamo che a creare la simulazione del mondo siano altri umani, e che essi ne abbiano il controllo.
Ma non sempre siamo così fortunati. In Permutation City di Greg Egan, quella che è iniziata come una simulazione per contenere le copie di persone abbastanza ricche da permettersi l’immortalità, deraglia dal suo programma originario quando un nuovo tipo di intelligenza emerge da una delle sotto-simulazioni, dimostrando tutta la pericolosità di essere inclusi in un mondo di cui non si capiscono più i meccanismi. Qualcosa di simile avviene in Fall, or Dodge in Hell di Neal Stephenson, che riutilizza il mondo virtuale di T’Rain introdotto in Reamde per ambientare una storia in cui i protagonisti morti nel mondo esterno permangono solo nella simulazione. Un’altra simulazione con un esterno poco invitante è quella di Elysium di Jennifer Marie Brisset, dove i ripetuti tentativi di riprodurre l’umanità sono dovuti a una realtà piuttosto tragica.
Ma il vero campione di questa destrutturazione della realtà a più livelli rimane senza dubbio Philip K. Dick. La definizione e/o alterazione della realtà è uno dei temi cardine della produzione di Dick, e se ne trovano esempi in una quantità di romanzi, da La penultima verità a Scorrete lacrime, disse il poliziotto, e in molti casi la soluzione proposta dall’autore è tutt’altro che rassicurante, intrecciandosi spesso con l’idea del solipsismo e la presenza di entità inconoscibili. In Tempo fuor di sesto, per esempio un’intera città è costruita intorno alla vita di un singolo individuo (idea che ha ispirato The Truman Show), mentre in Ubik la realtà vissuta dal protagonista si sfalda davanti ai suoi occhi, fino a portarlo a scoprire cosa (chi?) c’è davvero fuori. Ma l’apice si raggiunge probabilmente in Valis, in cui Dick ipotizza che l’intera umanità sia sotto il controllo di un satellite/computer/divinità che sottopone tutto il mondo a un’illusione collettiva. Anche nei due sequel indiretti del romanzo quest’idea viene approfondita, così come nell’enorme, ponderosa e allucinatoria Esegesi dell’autore.
Il punto centrale dell’Ipotesi della Simulazione è proprio il fatto che, trovandosi all’interno di una realtà simulata di questo genere, sarebbe impossibile determinarlo. Perciò, addentrarsi in questo filone di ragionamento può portare a vere e proprie ossessioni paranoiche, come in effetti è successo per Philip Dick.
Come si diceva all’inizio, molte teorie complottiste si possono originare da questo assunto di base, per cui è sempre consigliabile affrontare l’argomento con una prospettiva squisitamente accademica, come un semplice esercizio di ragionamento. Meglio non soffermarsi troppo a razionalizzare le implicazioni esistenziali di questi problemi… perché potrebbe essere proprio quello l’obiettivo dell’esperimento, e a quel punto ci potrebbero spegnere.