La bellezza e la violenza di A Plague Tale: Innocence, in una Francia perduta tra ratti, guerre e Inquisizione
Fare una recensione di A Plague Tale: Innocence mi pone un problema non da poco, che vi riassumerò con un esempio: ho giocato il gioco praticamente tutto di fila in un giorno. Come spiegarvi secondo criteri oggettivi che in undici ore consecutive non mi sono mai annoiato, e che anche nelle pause caffè non vedevo l’ora di riprendere il pad in mano per continuare? Di The Plague Tale si possono dire tante cose belle, si può parlare dell’eccellente qualità artistica, del lavoro tecnico eccezionale, dei toni della storia, e della storia stessa, di un’efficacia disarmante, ma quello che più colpisce è il ritmo, la perfetta taratura della progressione, che riesce a non annoiare mai anche se si affronta il gioco tutto d’un fiato.
A Plague Tale è un videogioco che colpisce, diverte e intrattiene in molti modi diversi, e questo dovrebbe essere chiaro dal fatto che la presente recensione l’ho iniziata dalla fine, come avessi smania di parlarvene ma non sapessi esattamente da dove iniziare, tanto se ne potrebbe dire.
A Plague Tale è un racconto toccante e delicato, ma è ancor di più il racconto di un’epoca brutale
Cerchiamo quindi di mettere le cose in ordine, iniziando dalla storia: siamo nel 1349, in Francia. la Peste nera, una delle più grandi epidemie dell’epoca medievale è già in corso da un paio d’anni, così come la Guerra dei cent’anni, che vede contrapposte la Francia e l’Inghilterra. La nostra avventura inizia in un bosco meraviglioso, e subito si prende il controllo della protagonista, Amicia De Rune, figlia di un nobile. Poco dopo l’Inquisizione farà irruzione nella tenuta della famiglia, dando inizio a un massacro a cui Amicia riuscirà a sfuggire con il fratellino, Hugo. Da questo punto i due saranno costretti a scontrarsi con gli orrori della guerra e della peste, in una campagna francese flagellata, cruda e violenta.
Senza fare spoiler, è interessante notare diversi aspetti della narrazione di A Plague Tale: Innocence. Il primo è certamente il rapporto tra i fratelli De Rune e il rapporto di questi con gli altri personaggi. Asobo abbandona quello che è l’approccio più classico dell’adventure di questo tipo, ovvero il protagonista e il suo compagno soli contro una minaccia enorme, e lo fa in due modi tutt’altro che scontati, con un’esecuzione così naturale da non rendere neanche così semplice accorgersi della rottura. Il primo di questi elementi è il rapporto tra i protagonisti. Per semplificare, prendiamo come esempio The Last of Us, titolo a cui certamente A Plague Tale deve molto. In The Last of Us, fatto salvo l’intermezzo in cui si controlla Ellie, Joel è il protagonista, e Ellie è la comprimaria. Questa impostazione genera anche scene poco credibili, in cui Ellie passeggia di fronte ai nemici senza che questi si accorgano di nulla. Motivazioni di gameplay, certo, ma il risultato non è dei migliori.
Nel gioco di Asobo invece i due fratelli si tengono sempre per mano, e questo ha una doppia valenza che trova espressione anche nel gameplay. La prima è che non capita mai di trovarsi nelle già descritte situazioni di The Last of Us. La seconda invece fa sì che ad un certo punto ci si accorga di come non sia Amicia la protagonista, ma che i protagonisti effettivamente sono due, Amicia e Hugo, mettendo da parte il classico rapporto personaggio principale – comprimario.
Come già accennato di personaggi secondari ce ne sono però anche in A Plague Tale, e il fatto che ci seguano e ci aiutino nell’esplorazione delle mappe smonta la classica impostazione dei due personaggi contro una cosa più grande di loro, suggerendo che da soli è impossibile farcela. Il cast è ampio, e ogni personaggio ha le sue peculiarità e la sua utilità all’interno del “party”. Nondimeno, anche questi personaggi possono essere scoperti dai nemici e attaccati, suggerendo che è possibile realizzare un gioco corale senza cedere alle necessità di gameplay.
I rapporti tra i personaggi sono ovviamente più curati quando interessano i due fratelli protagonisti. Hugo ha una rara malattia, e la madre lo tiene praticamente chiuso in casa, senza che la sorella lo abbia quasi mai visto. I due praticamente non si conoscono prima degli eventi scatenanti la loro fuga, e proprio nella situazione limite in cui si trovano loro malgrado si scopriranno. È interessante notare come i personaggi crescano e si sviluppino senza mai cedere il passo a forzature. Amicia non passa da essere un’indifesa nobile di campagna a massacrare interi eserciti. Si induriscono, devono fare cose che non vorrebbero per sopravvivere, ma non c’è mai un passaggio così netto come ad esempio avviene nel primo reboot di Tomb Raider. Nondimeno si evolvono, in modo più credibile.
L’ambientazione poi è perfetta per mettere in scena i personaggi e la loro crescita. La Francia mostrata nel gioco è ridotta allo stremo, la crudeltà umana viene a galla e le orde di ratti inferociti divorano le persone, oltre a portare la peste. La messa in scena è estremamente cruda, non solo sotto il profilo visivo. Questo non significa però che Asobo intendesse fare una rappresentazione storica, nonostante di storia ce ne sia molta. Oltre ai già citati eventi si pesca anche nel passato della storia europea per abbozzare una vena esoterica, in modo da contestualizzare gli eventi nella realtà dando però quel guizzo in più che solo un accenno di “magia” può dare. Non parliamo di draghi chiaramente, ma di quella che ora consideriamo magia, l’alchimia, ma che all’epoca degli eventi era una “scienza”: eretica ed esoterica, ma pur sempre come scienza trattata.
Il tratteggio del mondo di gioco è eccezionale, e non se ne può non rimanere affascinati, anche grazie a un aspetto tecnico da gioco tripla A. Le scelte cromatiche, le animazioni dei volti dei personaggi più importanti, le atmosfere, ma anche la realizzazione di borghi, campagne e castelli o gli effetti meteo riescono a costruire un’atmosfera eccellente, ma anche nuova e fresca, che non ha mai il sapore del già visto nonostante di fantasy medievale nei videogiochi ce ne sia molto. Come è facile intuire dai trailer, grandissima cura è stata riposta nella realizzazione delle orde di ratti famelici che si muovono come un’unica, grande massa infestando le vie cittadine e le campagne.
A gioco concluso la pulsione è quella di volerne ancora, di voler vedere altri posti di quella bellissima Francia di cui si ha la sensazione di aver toccato solo una piccolissima parte. La speranza è quindi quella che esca un sequel, o magari un’altra storia ambientata nello stesso universo.
Un ritmo perfetto
Passiamo ora a questioni più pratiche: che tipo di gioco è A Plague Tale: Innocence? Si tratta di un’avventura molto lineare, estremamente improntata alla narrazione, che per certi versi ricorda The Last of Us. C’è molto crafting, gli oggetti vanno creati sul posto utilizzando le risorse che si trovano, e c’è anche la possibilità di potenziare l’equipaggiamento del personaggio spendendo le stesse risorse utili al crafting. Sotto questo punto di vista non c’è davvero nulla di nuovo. Spesso però questo tipo di giochi, lineari e fortemente improntati alla narrazione, diventano dopo un po’ ridondanti sotto il profilo ludico, lasciando al giocato la costante reiterazione delle stesse meccaniche, in aree da superare in modi sempre simili (non farti vedere – crafta il diversivo per distrarre l’avversario).
Anche sotto questo punto di vista Asobo ha fatto un ottimo lavoro, e nella mia mente ho un’immagine molto romantica: c’è il team attorno a un tavolo, che cerca di pensare come strutturare il gioco. Dopo tre volte che per superare un gruppo di nemici è necessario tirare un sasso su un oggetto metallico, gli sviluppatori capiscono che il povero giocatore si sarebbe rotto le palle nel continuare a fare la stessa cosa. Così aggiunge qualcosa per rendere la situazione successiva un po’ più fresca, un nuovo oggetto da utilizzare o una nuova interazione con un personaggio secondario. A Plague Tale: Innocence è tutto così.
Durante tutte le undici ore che ho impiegato a terminare il gioco, c’è sempre stato qualcosa di nuovo, che fosse appunto un oggetto o una nuova possibilità offerta da uno dei diversi personaggi secondari. Questo approccio, unito a una difficoltà tarata verso il basso, rende l’avventura estremamente scorrevole, e permette di concentrarsi sulla narrazione e le atmosfere, che appunto sono il perno del gioco. Nondimeno il gameplay rimane funzionale e divertente, senza mai diventare un accessorio utile a fare minutaggio tra un filmato (o un dialogo) e l’altro, ma anche senza mai essere di inciampo allo scopo dello sviluppatore: raccontare una storia.
Questa struttura che cerca (e riesce) sempre a rinnovarsi è bilanciata così bene che il gioco non viene mai a noia, come detto in apertura. Si avanza in modo scorrevole, tra un gruppo di soldati dell’inquisizione, un’orda di ratti affamati e un puzzle, richiedendo una giusta dose di reattività, riflessi e ragionamento, senza mai risultare frustrante. Sicuramente se si cerca una sfida ardua A Plague Tale non è il gioco adeguato, ma lo scopo di Asobo non era certamente quello di offrirla, ma quello di costruire un mondo affascinante per farci vivere dentro una bella storia.
Perché A Plague Tale: Innocence è un gioco che dovrebbero provare tutti
Se non fosse ancora chiaro dopo circa 1500 parole, A Plague Tale è un gioco eccezionale. Divertente da giocare, ben ritmato, porta sullo schermo un racconto piacevole con personaggi e ambientazioni eccellenti. Il comparto tecnico, artistico e musicale sono di primo piano, ma parlare dei singoli elementi lascia un po’ il tempo che trova quando ci si trova di fronte a un titolo che riesce a farci venire voglia di prendere e riprendere il pad in mano, lasciando con il fiato sospeso fino alla sua conclusione. Se c’è un gioco da giocare questo aprile, è certamente A Plague Tale: Innocence.
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