Ripercorriamo insieme i particolari mesi della primavera 2020, attraverso i migliori album usciti in questo periodo
Il secondo trimestre dell’anno in corso è probabilmente destinato a rimanerci in testa in modo peculiare per tanti anni a venire. L’emergenza sanitaria mondiale, il periodo d’isolamento e la recente ondata di manifestazioni anti-razziste in tutto il mondo sono sicuramente eventi che ci porteremo dietro e che verranno scolpiti nella storia del nostro tempo. Come spesso, l’arte risente moltissimo del periodo in cui viene prodotta e la musica non si risparmia questo onore. Quella che state per leggere è una lista sommaria, parziale e assolutamente personale di chi vi scrive dei migliori album della primavera 2020.
Mai come in questo periodo, quindi, il settore musicale si prende in carico la responsabilità di raccontare i tempi in cui stiamo vivendo e abbiamo vissuto. Un fardello svolto, come vedremo, in modi molto differenti tra di loro. Ne è un esempio il video che trovate qui sopra, un singolo che per il momento non è stato ancora inserito in un’uscita raccolta insieme ad altre tracce.
Lockdown dell’artista afrocoreoamericano Anderson Paak è un ovvio e preciso riferimento tanto alle quarantene a cui ci siamo dovute e dovuti sottoporre quanto alle rivolte legate al movimento Black Lives Matter. I nomi delle donne e degli uomini che hanno subito abusi da parte della polizia, nel video, si uniscono in un pugno chiuso e alzato al cielo mentre la musica evoca sensazioni rilassate ma non per questo esenti da rabbia. Un sintomo, quest’ultimo, di come i moti si stanno evolvendo e mutando la loro forma.
Yves Tumor – Heaven to a Tortured Mind
Seguito di Safe in the Hands of Love, il nuovo disco di Sean Bowie – vero nome di Yves Tumor – prosegue la strada che il musicista ha tracciato con l’album precedente. Forte della sua provenienza harsh noise e sperimentale, Tumor contamina blues contemporaneo e psichedelia con suoni graffianti, distorti e droni pesantissimi. Una miscela esteticamente evocativa e potente, che crea suggestioni molto precise in chi ascolta; che viene catapultata o catapultato in un inferno glamour, pieno di borchie e carico di delay.
Yaeji – WHAT WE DREW 우리가 그려왔던
La produttrice, rapper e cantante sudcoreana Yaeji aveva convinto critica e pubblico nel 2017 con due brevi ep in cui mescolava kpop, house e rap in maniera liquida e limpida, a ribadire la reciproca e fondamentale influenza che i tre generi hanno sia nel suo paese di origine che nel mondo.
What We Drew, primo album vero e proprio della musicista, è una sorta di suo diario segreto all’interno del quale lascia una serie di appunti alla sua migliore amica ormai lontana circa il vivere negli Stati Uniti e la distanza dagli affetti e da quella che definisce casa. Una confessione intima, profondamente armonica, durante la quale l’artista si sveste del successo e si abbandona a una serena e felice malinconia. Quasi come se stesse sul balcone di casa sua in California, con lo sguardo rivolto verso ovest attraverso l’oceano, pensando alla sua Corea cercando il pensiero della sua amica, Yaeji traccia una connessione in musica fervida e brillante.
Thundercat – It Is What It Is
Stephen Bruner è un bassista incredibile, e questo se bazzicate un po’ il sottobosco musicale contemporaneo probabilmente lo sapevate senza che io ve lo confermassi. Dal lungo sodalizio con Flying Lotus – che ha portato alla fondazione dell’etichetta Brainfeeder co-gestita dai due – , passando per le collaborazioni con Kendrick Lamar e concludendo con il suo Drunk! il curriculum musicale di Thundercat parla da sé e non ha bisogno di presentazioni.
It Is What It Is è ancora una volta un disco di jazz contemporaneo purissimo, distillato e con quella carica di follia lirica a cui il musicista ci ha abituato in anni di carriera. Le tracce si susseguono tra assoli complicatissimi e esilaranti testi su quanto la bandana di Dragonball che Thundercat indossa lo faccia rimorchiare. Un esperimento pazzo come solo un artista di questo tipo poteva regalarci, per uno dei migliori album della primavera 2020.
Fiona Apple – Fetch the Bolt Cutters
A otto anni di distanza da The Idler Wheel… torna a farsi sentire Fiona Apple, con un album che sembra quasi anticipare ciò che sarebbe successo nel mondo da lì a poco (che in realtà da noi stava già accadendo). Ovviamente mi riferisco al periodo di isolamento che abbiamo vissuto fino a poco tempo, e che in Fetch the Bolt Cutters viene ipotizzato in modo quasi profetico.
Il folk da camera della cantante americana, qui, si fa ancora più rarefatto e minimale. Agli strumenti si affiancano posate, pentole e altri accessori domestici quotidiani che chiunque di noi ha in casa. Il risultato è un disco di cantautorato perfetto per raccontare la quarantena, registrato come se ci si trovasse tutte e tutti un tinello senza preoccuparci troppo dello sgambettare del cane (citato come collaboratore ufficiale nel disco) di sottofondo.
Charli XCX – How I’m Feeling Now
Rimanendo in tema di lockdown e isolamento, arriviamo quindi alla britannica Charli XCX. Il tanto atteso seguito dell’acclamatissimo Charli – realizzato in collaborazione con il collettivo di produttrici e produttori PC Music – era vociferato da moltissimo e la stessa cantante non si è mai risparmiata aggiornamenti e anticipazioni.
E poi? Poi è arrivato il COVID-19, e le cose sono iniziate a diventare ovviamente più complicate, difficili e quasi irrealizzabili. Così Charli e la sua squadra hanno capito che era giunto il momento di gettarsi in una sfida che solo un periodo come quello appena passato poteva offrire: realizzare il disco in quaranta giorni, registrandolo dislocati in giro per il mondo e dando la possibilità alle e ai fan di ricevere piccoli teaser attraverso videochiamate, stories su Instagram e tutto quello che si sarebbe potuto utilizzare.
How I’m Feeling Now è un disco che parla proprio di questa situazione vista dagli occhi della popstar più millennial che ci possa essere. Quella che è cresciuta da quando cantava I Love It insieme alle Icona Pop, quella che ha rincorso il successo per troppo tempo ma che ha capito di non aver bisogno di snaturarsi, quella che ha fatto esplodere il bubble gum pop contaminato e più sperimentale portandolo nello spettro del mainstream. Un disco personale e intimo, che racconta di un mese e mezzo pensatissimo per chiunque ma in cui – alcune persone – hanno trovato il coraggio tra di loro e hanno portato a casa un album decisamente denso.
The 1975 – Notes on a Conditional Form
Matt Healy e compagni hanno un dono incredibile: la capacità di smarcarsi dal concetto di band pop rimanendo totalmente affini e inclini alla tendenza. La loro musica è un continuo avvicinare la classifica al loro stato d’animo momentaneo e la visione che hanno del mondo e di come questo sta andando via via verso l’autodistruzione per mano di chi lo abita. Lo era nello splendido A Brief Inquiry into Online Relationships e lo è oggi con il nuovo Notes on a Conditional Form.
Forse un po’ meno a fuoco del precedente, questo nuovo disco della band britannica prosegue però lo stesso filone andando anche a esplorare territori forse ancor più estremi. Continua il fortissimo legame con l’attivismo politico, con grandissima attenzione verso la questione ambientale e l’antropocene che sono i veri e propri cardini del pacchetto proposto. Un viaggio che esplora territori nuovi per il gruppo, e per cui certamente dobbiamo rendere loro omaggio. Ambient, hardcore punk e tanto pop si uniscono in quello che, sempre più, è quanto più vicino idealmente e di intenti – più che di suoni – ai Radiohead post-Ok Computer abbiamo in questo momento(e non lo nasconde neanche per sbaglio).
Freddie Gibbs & The Alchemist – Alfredo
Se siete un po’ appassionati di hardcore rap, quello di Freddie Gibbs – soprattutto in accoppiata con il collega Madlib – è certamente un nome che vi sarà balzato agli occhi almeno una volta. Se avete scavato un pelo più in giù, probabilmente, vi sarà anche capitato di vedere il suddetto Gibbs affiancato al nome del produttore The Alchemist.
Seguito diretto di Fetti, pubblicato sempre in coppia, e pubblicato a sorpresa senza annunci in pompa magna, Alfredo è un disco rap come ci si aspetterebbe essere un disco rap: tante rime, produzioni taglienti e stile in ogni angolo. I due, qui, mostrano reciprocamente i muscoli senza mai essere forzati o fuori luogo ma anzi proponendo un’eleganza espositiva che funziona dal primo all’ultimo minuto di durata dell’album, che senza dubbio è tra i migliori della primavera 2020.
Run the Jewels – RTJ4
Rimaniamo sul rap, e ancora su quello più duro e invasato. Se avete già letto l’articolo con i dischi che ho preferito la stagione scorsa avrete intuito che l’ultima fatica dei Run the Jewels è ciò che più mi è piaciuto tra quanto è uscito negli ultimi tre mesi. Capitemi: ho un debole per quello che amo definire “la risposta rap-duo a un action buddy movie anni ’80 à la Arma Letale, solo con la politica e tanta marijuana in più” ed era molto facile che il quarto capitolo di questo super-gruppo del rap schizzasse in alto alla mia classifica.
Ogni singolo secondo di RTJ4 sembra urlare nelle orecchie di chi ascolta “squadra che vince non si cambia”, proponendo una versione potenziata e ancor più agguerrita della formula solita di El-P e Killer Mike. Le produzioni sono da spaccarsi il collo, le rime sono un’altalena al cardiopalma tra tematiche sociali – tra cui un riferimento diretto al Black Lives Matter – e utilizzo ironico e sarcastico del mezzo lirico e l’alternanza verso/verso tra i due viene ancor più enfatizzata rendendo di fatto il gruppo un’entità terza che esiste al di là dei due suoi componenti. Non stupisce, sentendolo, che i rapper abbiano voluto anticiparne l’uscita a ridosso dell’omicidio di Geroge Floyd per – parole loro – dare ai manifestanti “una bomba con cui andare a fare guerriglia”.
Perfume Genius – Set My Heart on Fire Immediately
Il quinto disco di Mike Hadreas e, per adesso, anche il suo lavoro migliore. Non che l’uomo dietro allo pseudonimo Perfume Genius, prima, avesse tradito aspettative o fatto lavori anche solo mediocri, anzi.
Set My Heart on Fire Immediately però è un disco incantevole in ogni sua traccia, contemporaneamente delicato e violentissimo nel come descrive e parla del corpo umano. Una lettera d’amore carnale e appassionata verso la forma con cui ci presentiamo alle altre persone, ai movimenti e ai gesti con cui comunichiamo. Un trattato sul come la sinuosità è insita nei nostri corpi e nulla c’entra con apparenze, linee e normalità (?) fisica.
Arrivati fin qui – ovvero alla fine di questa lista dei migliori album della primavera 2020 – vi starete chiedendo, probabilmente, dov’è il disco nuovo di Arca. Facendo un gigantesco mea culpa ammetto di non averlo ancora sentito ma, dato l’entusiasmo che sto leggendo in giro per la rete, mi sento di consigliarvelo a priori. Sono sicuro che la musicista venezuelana Alejandra Ghersi abbia svolto per l’ennesima volta un lavoro egregio di composizione e progettazione del suono, come poche altre persone ci hanno abituato in tempi recenti. Se a questo, poi, aggiungiamo collaborazioni del calibro di Bjork, Sophie e Rosalia il consiglio diventa quasi obbligatorio.