Housemarque porta su PlayStation 5 un’esclusiva atipica, che apre un nuovo ciclo di discorsi sul game design rendendo Returnal un gioco da non sottovalutare, mai
Qualche mattina fa un collega di lavoro mi contatta su Facebook e mi chiede, senza mezzi termini, se deve comprare o meno Returnal. La domanda di per sé non mi stupisce: grazie al meraviglioso momento storico in cui viviamo, la mia passione videoludica viene vista come qualcosa di molto nobile, soprattutto quando si lavora nel ramo tecnologico dove i videogiocatori sono la norma. La risposta, invece, tarda un po’ ad arrivare: so che è un fan PlayStation, non soltanto a livello console ma soprattutto per il tipo di titoli che da sempre caratterizza le esclusive Sony: avventure generalmente equilibrate di stampo action, con un occhio di riguardo alla narrativa. In questa ottica Returnal è un titolo decisamente atipico rispetto al solito, al punto che anche Lorena Rao, durante il nostro podcast recappone di Aprile, ha giustamente chiesto se ci sono delle motivazioni particolari dietro questo cambio di prospettiva della casa nipponica che, come esclusive, ha proposto titoli non solo differenti dal paradigma esposto, ma anche coriacei come gameplay e difficoltà generale, leggasi Demon’s Souls.
Non vi svelo la risposta (e se non ci avete ascoltato, vi autorizzo ad abbandonare la lettura per un’oretta per recuperare il podcast, ndr), resta però il fatto che l’osservazione è sicuramente interessante e che, con Returnal, risulta ancor meno scontata. L’opera di Housemarque, studio finlandese da diversi anni accasato su console Sony, ha infatti l’onore e l’onere di sbarcare su PlayStation 5 con un roguelike con meccaniche TPS, shoot ’em up e con una narrazione intimista che fa dell’essenza stessa del gioco il suo perno centrale.
Selene, la protagonista dell’avventura, è un’astronauta che diretta sul pianeta Atropo per investigare su una trasmissione misteriosa. La semi distruzione della sua nave dopo un impatto ed un atterraggio di emergenza la costringe ad esplorare il pianeta, che mostra i segni di una civiltà forse caduta in declino, nella speranza di poter contattare il suo quartier generale. Non serve però molto tempo prima che si accorga della presenza di fauna sul pianeta, di quella che non si vorrebbe mai incontrare e puntualmente ci catapulta tra gli anelli deboli della catena alimentare. Nonostante l’impegno profuso, Selene soccombe: la sua mente mostra flash, ricordi sparsi, l’avvicinarsi alla leggendaria luce in fondo al tunnel. E poi si sveglia di soprassalto a terra, con la pioggia battente sull’elmetto e lo sguardo perso. Sa di essere morta eppure è di nuovo lì, su quel pianeta, come se non fosse successo nulla, una sorta di brutto sogno causato dalla stanchezza. Lo sarebbe se, prima di morire, non fosse incappata in un cadavere, il suo per la precisione. Avvolto dall’erba, a testimoniare una morte tanto brutale quanto vecchia, quasi antica.
Le ore iniziali di Returnal sono cruciali per entrare in sintonia con la protagonista, consapevole tanto quanto il giocatore di essere intrappolata in un loop teoricamente infinito, ma anche prendere la mano con le diverse componenti dell’avventura. Ogni novità viene centellinata con attenzione, cercando di andare di pari passo con la narrazione e mettendo a suo agio il giocatore, soprattutto quello non avvezzo a giochi del genere. Nonostante i roguelike siano ormai un genere decisamente affermato tra i videogiocatori, al punto da poter competere e vincere come gioco dell’anno ai BAFTA, la loro difficoltà basata su abilità e quel pizzico di fortuna che non manca mai può rivelarsi estremamente punitiva. Returnal in tal senso offre biomi di media grandezza dove l’esplorazione attenta degli ambienti si rivela spesso foriera di bonus, senza però trascurare gli amanti del rischio: molte delle meccaniche si basano sul gioco puro e la raccolta di power up, come l’indicatore di competenza che si riempie gradualmente man mano che uccideremo nemici su schermo ma che può essere aumentato anche con degli oggetti, i calibratori, grazie ai quali potremo trovare armi più potenti durante la nostra esplorazione.
Le stesse armi offrono un fuoco secondario ed un certo numero di caratteristiche passive casuali, alcune delle quali si sbloccheranno sparando, così da renderle disponibili anche sulle eventuali versioni successive. Come contraltare, invece, il gioco cercherà sempre di spronare il giocatore ad azzardare scelte apparentemente negative, come nel caso dei parassiti: oltre ad essere l’unica forma animale che non vuole farci a pezzi, i parassiti offrono bonus passivi molto interessanti, ma anche dei malus da non sottovalutare.
Per fare un esempio pratico, uno dei parassiti che è capitato in una delle mie ultime run permetteva di guadagnare integrità della tuta (una metafora elegante della vita nel gioco) uccidendo i nemici e raccogliendo obliti, valuta di gioco utile anche per acquistare perks; di contro, non avrei potuto più usare silfio (xenofungo autoctono che permette di recuperare integrità). Averlo trovato nelle prime battute della partita è stato sicuramente determinante per rendere la prima mezz’ora di gioco tutto sommato semplice, almeno finché i nemici che mi si sono parati davanti non sono diventati pochi e grossi come palazzi.
Come spesso accade in giochi del genere, il giocatore ha l’arduo compito di soppesare cause ed effetti, consapevole che non sarà sempre possibile prevedere cosa ci si ritrova ad affrontare e valutando più variabili possibili per cercare di sopravvivere il più a lungo possibile nonostante una pesantissima spada di Damocle sopra la testa che ci ricorda che, alla morte, il ciclo ricomincerà da zero. Nonostante ciò, Housemarque ha provveduto a rendere Returnal molto accessibile anche ai neofiti, grazie ad una mappa di gioco molto dettagliata e spiegazioni puntuali di ogni caratteristica: ogni secondo perso a leggere descrizioni sarà un aiuto prezioso per giocare al meglio delle proprie possibilità.
I più avvezzi del genere sicuramente non si lasceranno spaventare da questo contesto apocalittico ma in questi giorni di gioco non ho potuto fare a meno, complice l’uscita del gioco già avvenuta, di leggere i tanti feedback dell’utenza legati al suo sistema di progressione e, soprattutto, il suo sistema di salvataggio, ammesso che si possa chiamarlo in questo modo. Se infatti è vero che ad ogni ciclo i nostri progressi verranno cancellati è altrettanto vero che, superate alcune sezioni, il gioco mette a disposizione delle shortcut che ci permettono di tornare rapidamente in un punto più avanzato del ciclo, oltre a dei bonus che permettono di essere già adeguatamente competitivi. Questa sorta di aiuto tuttavia comincia a venir meno nelle fasi intermedie dell’avventura, dove il complesso gameplay del gioco diventa sempre meno permissivo e severo (sempre in modo totalmente casuale), abbastanza da rendere molto più intelligente fermarsi ad esplorare cercando di recuperare più upgrade possibili.
Come ho già detto prima, però, ad ogni cosa buona ce n’è sempre una cattiva: in Returnal non si può salvare. Al di là delle shortcut menzionate prima, non è possibile ad esempio uscire dal gioco e ricominciare dall’ultima stanza completata al prossimo riavvio: se lo fate, all’avvio il gioco ricomincerà da zero, come fosse un game over. Housemarque ha consigliato un workaround, ovvero mettere la console a riposo, ma non è comunque possibile chiudere il gioco pena la fine della run. Devo dire che personalmente mi sento di poter empatizzare con il pubblico più inviperito, magari composto da persone che condividono la console o vorrebbero cambiare gioco per allentare la tensione.
D’altro canto vi ho già detto come la narrazione sia profondamente intrecciata con la ripetizione dei cicli: ogni morte infatti permette lo sblocco di reperti, oggetti legati tanto ad Atropo quanto alla vita della protagonista, ma anche registrazioni passate e future che ampliano la lore e la trama stessa, paradossalmente la cosa meno casuale dell’intero titolo. Non so dire se Housemarque provvederà a creare una fix specifica per questo “problema” senza snaturare eccessivamente il gioco: parliamo di una scelta di design ben precisa, sicuramente non facile da digerire che tuttavia sta anche oscurando, purtroppo, l’ottima qualità del gioco.
Giocare Returnal è infatti una sfida adrenalinica e appassionante: le meccaniche roguelike di cui ho parlato prima si mescolano ad un gameplay frenetico in terza persona, con una spruzzata di meccaniche shoot ’em up che ricordano, come esempi recenti, le appassionanti battaglie di Nier Automata (ma anche il recente Replicant) e Control, arrivando anche a toccare vette da bullet hell tecnico. Alcune sezioni particolari, a volte, sembrano quasi ingestibili con il solo controller, portando a desiderare una combo mouse e tastiera per aumentare le chance di sopravvivenza: in tal senso non mi stupirebbe una futura pubblicazione su PC, dove i roguelike godono di un’ottima fama.
Tuttavia non si può ignorare l’eccezionale feedback fornito dal Dual Sense: il nuovo controller Sony si rivela un periferica eccellente per ampliare l’immersività del gioco: ogni nostra azione nel gioco crea un feedback aptico specifico, oltre ogni aspettativa, dall’effetto della pioggia che cade sulla nostra tuta picchiettando i nostri palmi avvinghiati al controller alle numerose vibrazioni dedicate alle singole modalità di fuoco secondario delle nostre armi. Anche i nuovi grilletti adattivi fanno il loro lavoro: una pressione a metà del tasto L2 permette di mirare con precisione ai nemici, mentre la pressione completa attiverà il già citato fuoco secondario. Al tasto R2 spetta invece il compito di replicare i grilletti delle nostre armi, con diverse resistenze di pregevole fattura.
Sul versante tecnico Returnal è tutto sommato inattaccabile: il livello di dettaglio generale è molto buono e convincente, anche se non abbastanza da far gridare alla next gen: a fronte di una risoluzione upscalata, l’hardware svolge comunque un ottimo lavoro nel rendere ogni effetto d’impatto, con colori vibranti ed un utilizzo del ray tracing volto a rendere combattimento ed esplorazione al meglio, ma soprattutto nel rendere il gameplay il più stabile possibile. L’ottimizzazione del software è ottima e permette al titolo di girare nella quasi totalità del tempo a 60 frame per secondo senza cali, eccezion fatta per alcuni caricamenti e sezioni di battaglia particolarmente piene di proiettili. Ho riscontrato durante alcune partite anche degli artefatti sonori, un’anomalia curiosa capitata occasionalmente con alcune combo di nemici e fuoco secondario capace di spaventarmi a dovere nelle mie sessioni notturne, nonché una serata di progressi buttata alle ortiche a causa di una patch che creava problemi con i salvataggi (ad oggi la problematica è rientrata, ndr).
Per quanto concerne il sonoro, anche qui nulla da dire: ogni effetto sonoro e musica è funzionale ad ogni porzione di avventura, inclusi i molti silenzi che contribuiscono molto all’atmosfera opprimente del gioco. Un lavoro ben fatto soprattutto grazie ad alcune composizioni dedicate ai boss molto interessanti e un aiuto hardware prezioso come l’audio 3D, che rende l’esperienza in cuffia davvero notevole.
Alla resa dei conti Returnal potrebbe non essere l’esclusiva perfetta per i possessori di PlayStation 5 alla ricerca di quei titoli che hanno plasmato l’immagine delle produzioni Sony, ma resta un gioco di indubbio valore, un esponente del genere roguelike in un contesto mainstream che potrebbe fare la differenza non solo tra i giocatori, ma anche in una produzione di esclusive più diversificato e appassionante per tutti.