La stagione 5 di Rick & Morty fatica a trovare l’equilibrio tra assecondare i desideri dei fan e rendersi indipendente da loro
Rick & Morty è uno show self-aware, e la stagione 5 lo è più di ogni altra. Fin dal pilot del 2013, all’interno degli episodi non sono mancati i riferimenti al fatto che la serie è, appunto, una serie, che va in onda su un canale e si rivolge a un certo pubblico. È soprattutto Rick a dimostrare questa consapevolezza, ma a volte anche altri personaggi rivelano di conoscere la natura televisiva del loro universo. La stessa cosa si ritrovava anche in Community, la precedente sitcom scolastica di Dan Harmon, uno dei creatori di Rick & Morty insieme a Justin Roiland, e anche lì era interpretata principalmente dal personaggio più intriso di cultura pop. Ma la self-awareness di Rick & Morty e la sua relazione tossica con il fandom, alla lunga sta diventando sfiancante per gli autori.
Rick & Morty stagione 5: siamo solo a metà
Fino alla terza stagione, Rick & Morty ha dovuto subire come molti altri show la snervante attesa dei rinnovi di Adult Swim (il canale di animazione che produce e trasmette la serie), ma nel 2018 le cose sono cambiate: la rete ha ordinato un blocco di settanta episodi da spalmare presumibilmente in sette stagioni di dieci puntate l’una. Questo significa che dopo la stagione 5, Rick & Morty continuerà per altrettante stagioni. Se da una parte questo impegno di Adult Swim permette agli autori di lavorare con più regolarità e serenità, dall’altra si può pensare che abbia anche un effetto opposto: adesso Rick & Morty deve produrre dieci episodi ogni anno.
Questo ha inevitabilmente costretto il team della serie a lavorare su ritmi più serrati, visto che in precedenza trascorrevano in media due anni tra una stagione e la successiva. E forse l’effetto si può notare in una diffusa perdita di originalità e unicità nelle storie proposte, soprattutto in questa quinta stagione. È fisiologico che una serie che si avvicina ai cinquanta episodi inizi a perdere freschezza, poiché le situazioni che si possono creare a partire da un certo set di personaggi sono per forza di cose limitate, a meno di non stravolgere completamente la natura dello show. In questo caso però, l’impressione è che gli autori si siano accontentati in molti casi di sviluppare storie pigre, basate su concept che probabilmente sarebbero stati perfetti per i soliti sketch post-credit, ma che stirati alla dimensione di episodi interi risultano piuttosto fiacchi.
Per esempio un’intera puntata basata sull’invasione di spermatozoi giganti, la cui unica caratteristica è quella di essere spermatozoi e quindi di evocare risatine da terza media, o la battaglia contro tacchini umanoidi che anche in questo caso non hanno niente di significativo a parte il fatto di essere tacchini, oppure l’abuso delle famiglie Smith alternative (che siano copie di sicurezza o di universi paralleli) e anche di personaggi ricorrenti come il Presidente degli USA: sembrano tutti segnali di una serie che ha bisogno di sfornare nuove puntate, e quindi si tiene stretta ogni spunto, per quanto poco immaginifico e ambizioso. Lo stesso Rick appare in numerose puntate “nerfato”, sembra quasi che si sia dovuto ridurre le sue capacità proprio perché apparisse davvero in pericolo in situazioni che non dovrebbero rappresentare il minimo rischio per l’uomo più intelligente dell’universo.
Niente più archi narrativi, ma anche sì
Un’altra cosa che alla fine della terza stagione gli autori hanno voluto ribadire proprio in una di quelle sequenze che rompono la quarta parete e parlano direttamente al pubblico, è che Rick & Morty sarebbe tornato a una struttura episodica, con avventure autoconclusive piuttosto che archi narrativi e continui riferimenti a una lore profonda che unisce tra loro più stagioni. E in effetti la stagione 4 ha seguito in buona parte questa strada, e anzi ha quasi del tutto demolito il concetto di continuity e archi narrativi nel meta-episodio La Morty-a infinita… salvo poi tornare nel season finale all’arco del clone di Beth.
Sembra quindi che gli autori non riescano proprio a fare a meno di costruire una continuity, e nella stagione 5 di Rick & Morty questo è ancora più evidente. Già nella prima puntata, con la comparsa di Mr. Nimbus come nemesi di Rick, vengono fatti alcuni riferimenti al suo passato, prontamente interrotti con la frase “non forzare il canon su di me!”. La continuity avviene addirittura all’interno della stagione stessa, con un elemento introdotto nell’episodio 4 che ritorna con una funzione determinante (quindi non solo come una citazione) nell’episodio 7. E naturalmente, i tre episodi finali si possono considerare una sorta di trittico che ha proprio l’obiettivo di esplorare e risolvere tutta la backstory che finora era stata solo accennata nella serie.
Questi due impulsi contrastanti trascinano la serie in direzioni opposte: da una parte le singole avventure autoconclusive, pensate forse per il pubblico più generico, che però come abbiamo visto non sempre si dimostrano soddisfacenti; dall’altra gli episodi ad alto contenuto di lore, pensate per i fan di lunga data che al contrario non risulterebbero comprensibili agli spettatori occasionali (tanto che nell’episodio finale si è inserito anche un rimando esplicito alla puntata della prima stagione a cui ci si riferiva). Il problema quindi rimane il solito: Rick & Morty ha bisogno dei suoi fan, oppure li detesta?
Siamo tutti Evil Morty
Il rapporto di Rick & Morty con il suo fandom è sempre stato… “complicato”. All’apice del suo successo, durante la terza stagione, la fanbase ha dimostrato in molti casi di essere parecchio sgradevole, chiusa e spesso anche misogina. Il caso è diventato così popolare che la frase “in effetti per capire Rick & Morty devi avere un QI molto elevato” è diventata praticamente un meme. Certo questo non è un fenomeno nuovo, perché molte fanbase si sono rivelate tossiche e ostili al mondo esterno, ma forse proprio per prendere le distanze da questa situazione la serie ha dichiarato che non avrebbe più dato spazio alle pressioni dei fan. E invece, come abbiamo visto, nella stagione 5 di Rick & Morty siamo tornati proprio lì.
Il punto forse è che per una serie con potenzialità così vaste, accontentarsi della formula episodica è riduttivo. Quindi hai in scena protagonisti così caratterizzati, personaggi secondari già di culto, e dinamiche conflittuali innescate a più livelli, è un peccato dal punto di vista narrativo, prima ancora che da quello produttivo, non sfruttarli. E infatti nella stagione 5 Rick & Morty cerca di portare avanti (negli episodi più riusciti) proprio il conflitto principale della serie, ovvero il rapporto tra i due protagonisti del titolo. E nel trittico delle ultime puntate si arriva alla deflagrazione proprio di quel conflitto tra Rick e Morty che sta alla base della serie fin dall’inizio, tornando di nuovo alla Cittadella, per un ultimo confronto (ma sarà l’ultimo davvero?) con quel Morty Malvagio che ricompare in una singola puntata in ogni stagione dispari.
Così mentre nell’ottavo episodio Rick è tornato nei ricordi di Persuccello e ha potuto confrontarsi con il sé stesso passato, nell’episodio dieci dopo la separazione di nonno e nipote, arriviamo finalmente a conoscere tutto quanto era mancato finora: la origin story di Rick, della Cittadella, di Morty (non solo questo Morty, ma tutti quelli di tutti gli universi) e anche del Morty Malvagio. Adesso quindi le carte sono sul tavolo, gli autori hanno dato al loro pubblico tutto quello che avevano richiesto: volevano conoscere il passato di Rick? Volevano sapere com’è nata la Cittadella? Volevano sapere qual era l’obiettivo di Morty Malvagio? Ecco le risposte, adesso non sono rimaste domande da fare.
Eppure questa delicata e importante svolta nella mitologia di Rick & Morty viene messa in scena in modo forzato, quasi doloroso. La sensazione è che gli autori abbiano solo voluto togliersi un peso, dare soddisfazione a quella parte di pubblico più ossessiva e fastidiosa che non li avrebbe mai lasciati in pace a dedicarsi alle avventure più spensierate. E proprio perché questa è stata sempre una serie con elementi meta-narrativi, è facile scorgere dei paralleli tra i personaggi nella storia e le controparti nell’eterno conflitto autore-spettatore: una relazione tossica in cui uno dei due è sempre costretto a cedere, pur rendendosi conto di essere vittima e capro espiatorio dei difetti dell’altro. In quest’ottica, il progetto di vendetta e fuga di Morty Malvagio assume una valenza ulteriore, e il suo sospiro finale, quando si è lasciato tutto alle spalle, sembra quasi rappresentare il sollievo di Harmon e Roiland, che finalmente hanno rivelato tutto quanto il fandom si aspettava, e possono muoversi in un universo in cui non devono più sottostare alle pretese dei loro Rick scostanti, infantili e arroganti.
La stagione 5 di Rick & Morty ci consegna quindi un potenziale punto di reset per la serie, che è soprattutto una ripartenza per il rapporto tra gli autori e il loro fandom: niente più fanservice, niente più lore, niente più misteri da svelare. Ma sarà davvero così? Forse Rick & Morty vuole liberarsi delle pressioni di chi ne ha decretato il successo, ma è difficile che ci riesca davvero, con altri cinquanta episodi che aspettano di andare in onda. Il fandom è lì che aspetta di poter continuare con le sue teorie, le speculazioni, le richieste, le pretese, e non basterà distruggere ancora la Cittadella per liberarsi. Perché noi che siamo qui pronti a giudicare, siamo tutti Morty Malvagi, da questa parte dello schermo.