Potrebbe essere un’ottima puntanta di Black Mirror, ma si tratta invece del nuovo film dei talentuosi autori di Mine.
Il 6 settembre arriva al cinema Ride, l’ultima fatica degli sceneggiatori Fabio Guaglione e Fabio Resinaro (con la collaborazione della penna di Marco Sani) che in questo caso abbandonano la regia per affidarla all’esordiente Jacopo Rondinelli, finora attivo soprattutto nel settore dei video clip.
Ride raccota la storia di Max (Lorenzo Richelmy) e Kyle (Luddovic Hughes), due youtuber dediti agli sport estremi che cercano di sfondare sulla piattaforma immortalando le proprie imprese estreme sulle biciclette. Kyle è un giovane padre di famiglia combattuto tra l’istinto di seguire la sua passione e la necessità di mettere la testa a posto per sostenere adeguatamente compagna e figlia, mentre Max è un tipo disilluso che vive alla giornata tra party e gioco d’azzardo. Vizio che lo metterà presto in difficoltà con la malavita.
I due hanno un estremo bisogno di soldi chi per un motivo chi per l’altro. Ecco quindi che accettano (loro malgrado) di partecipare ad una pericolosa competizione di downhill tra le vallate europee ( il film è stato girato in Trentino) organizzata da una società segreta che promette loro una grossa vincita in denaro in caso di vincita. Con l’espediente diegetico di una gara costantemente monitorata dai suoi organizzatori attraverso decine di telecamere, droni e go-pro inserite in diverse zone dell’equipaggiamento dei due riders, la storia della coppia Max e Kyle viene raccontata tutta attraverso questi dispositivi, rinunciando quindi ad una regia classica. Questa formula non solo richiama visivamente i veri video sportivi di questo tipo, che donano una spettacolarità e un punto di vista “reale” agli stunt dei ciclisti, ma si presta bene all’estetica generale del film.
Chi si aspettasse infatti un Fast and Furious su due ruote e pedali, rimarrà deluso, o meglio, probabilmente felicemente sorpreso. C’è molto di più nell’ultima opera di Fabio&Fabio che un po’ come già visto in Mine, utilizzano un soggetto apparentemente semplice per portare avanti uno dei leitmotiv della loro filmografia: raccontare le fragilità e complessità psicologica di figure apparentemente ed esternamente forti e solide. Ride però fa anche di più. Innesta nella location naturalista delle futuristiche tecnologie, come enormi monoliti neri che fanno da checkpoint tra un “livello” e l’altro raggiunto dai due riders, utilizza spesso e volentieri le immagini mostrate da smartphone e derivati come determinanti chiavi di volta della trama, mette sempre al di sopra al centro dell’attenzione l’incessabile e morboso occhio tecnologico di misteriosi individui al potere, ed infine esalta nella sua massima forma estetica l’esibizionismo come caratteristica dell’indole umano. Con tutto questo il film muove anche una critica, forse non originale ma efficace, alla nostra società e alle dinamiche di cui spesso è schiava.
E lo fa attraverso il cinema di genere, anzi “di generi”. Le corse forsennate e le acrobazie sono presenti, ma si va oltre il film d’azione basato sullo sport. Ben presto misteriosi personaggi che ostacoleranno i due prenderanno posizione sugli equilibri della trama trasformando Ride in un interessante ibrido, che mescola thriller, horror, survival; il tutto declinato in una struttura che chiaramente prende l’immaginario estetico del videogioco come motore trainante per i ritmi del film, con decine di riferimenti al linguaggio di questo media (non a caso abbiamo parlato prima di checkpoint e livelli) che vanno perfettamente ad innestarsi in quel calderone culturale contemporaneo che rappresenta le fondamenta su cui è stato costruito il film.
In tutto questo, i due attori protagonisti, quasi sempre protagonisti unici della scena, si trovano senza dubbio a svolgere un ruolo più “muscolare” che altro, ma grazie a diversi dettagli più o meno impliciti con cui gli sceneggiatori hanno scritto i loro personaggi, trovano comunque terreno per rendersi interessanti e spazio per dimostrare un barlume di complessità. Certo, parliamo senza dubbio di un film dal ritmo spesso schizofrenico prevalentemente votato all’intrattenimento, ma seppur non c’è forse ragione di far lavorare il cervello più di tanto, qualche stimolo per una lettura su più livelli di personaggi ed eventi, è presente. Possiamo dire che “l’interpretabilità” nel cinema è sempre uno strumento pericolo, spesso in bilico tra buco di trama e narrazione più funzionale. Ma dire che in questo caso ci si è mossi abbastanza bene.
Infine, come nel caso di qualche mockumentary più riuscito, o di film in soggettiva forse più attinenti ai toni di Ride quale Hardcore!, la variabile dell’occhio “documentaristico e diegetico” delle telecamere si rivela un limite registico gestito bene.
C’è da dire che il fatto di trovare il modo di utilizzarne cosi tante contestualizzandole nella storia, ha dato anche un margine molto ampio di libertà al regista, e perciò le prospettive sono comunque numerose. Le inquadrature esterne degli spazi e degli attori (che non si comportano affatto male) sono quindi presenti quando serve e sono coadiuvate da quelle soggettive o inquadrature dalle spalle che, per tornare in tema, prelevano dal videogioco uno dei suoi più preziosi fattori che creano coinvolgimento e immedesimazione: proprio il punto di vista.
Verdetto
Ride è un film che al suo interno presenta molte diverse idee, fatto per piacere ad un pubblico più vasto possibile, dalla chiara ed esibita vena internazionale. Si tratta di un progetto coraggioso che va ad inserirsi perfettamente in quella evoluzione che il cinema italiano porta avanti da diverso tempo, che parte da una scena underground ma estremamente talentuosa di filmmaker italiani, desiderosa di esplorare terreni mai battuti prima nelle produzioni nostrane. È un film divertente e scorrevole, al fronte di qualche limite produttivo che forse non lo rende tecnicamente brillante sotto tutti i punti di vista (il lavoro fatto è comunque buono). Seppur si presenta come un mosaico di generi, riferimenti, tecniche narrative e temi già esplorati in passato più e più volte, riesce anche a far emergere una sua personalità. Che dire quindi ancora di Ride? Si tratta di una buona opera indie che speriamo avrà seguito e che va sostenuta, anche solo per smuovere le acque stantie di un cinema nostrano che ha bisogno di trovare nuovi sbocchi e non rimanere sempre incartapecorito sui soliti circoli viziosi produttivi.