Rifkin’s Festival di Woody Allen è finalmente su Prime Video
Le polemiche sulla distribuzione dell’ultimo film di Woody Allen, Rifkin’s Festival, sono ormai cosa nota e sulla quale ci teniamo a distanza per non scadere in noiose e trite osservazioni, ma ci limitiamo a sottolineare che, dopo esser giunto nelle nostre sale a maggio, adesso è finalmente disponibile anche su Prime Video (dal 19 agosto 2021).
Inizialmente, a dire il vero, il film fu presentato al Festival internazionale del cinema di San Sebastián 2020, e sarà stato senza alcun dubbio un’esperienza frastornante per gli spettatori, poiché Rifkin’s Festival è ambientato proprio in quella manifestazione.
Bislacco, ma nemmeno troppo, perché ancora una volta il terreno su cui si muovono i personaggi alleniani è un luogo indefinito e perfettamente inseribile in qualsiasi anno delle ultime 2 o 3 decadi, e che si nutre di tutta la filmografia precedente del regista, traendone ispirazione e forza.
I protagonisti sono Mort Rifkin (Wallace Shawn) e la moglie Sue (Gina Gershon), una coppia statunitense che si reca in Spagna per partecipare al già citato Festival cinematografico di San Sebastián, dato che Sue fa parte dell’ufficio stampa del giovane e affascinante regista Philippe (Louis Garrel), una sorta di Xavier Dolan dei poveri. Qui, chiaramente, entrambi iniziano a perdere la testa per altre persone, minando la loro duratura relazione.
Omaggi su omaggi
Ed ecco che, per chi conosce a menadito la filmografia alleniana, in particolar modo quella degli ultimi vent’anni, Rifkin’s Festival comincia a sembrare un continuum di rimandi e ammiccamenti, da Midnight in Paris a Basta che funzioni, da Vicky Cristina Barcelona a Un giorno di pioggia a New York e via dicendo.
Sostanzialmente Rifkin’s Festival è l’ennesima commedia di Allen sulla fragilità umana e coniugale, in un ambiente glamour e patinato in cui sembra normale che un uomo dica alla moglie che prenderà una macchina con autista per andare a fare un giro fuori città.
E allora, siamo stanchi di tutto questo?
La risposta è nì, perché a quella solita sensazione di assistere ad un prodotto visto e rivisto, che riprende e rimescola i precedenti in un formato estremamente similare fa da contraltare il fascino di ambientazioni irresistibili e una fantastica scorrevolezza che ci ammalia e, per meno di due ore, ci catapulta in un mondo quasi onirico, inframezzato da sogni in bianco e nero e omaggi al cinema d’autore, peraltro con una cura maniacale e certosina, grazie al solito prezioso lavoro di Vittorio Storaro.
Nel calderone di Rifkin’s Festival abbiamo dunque le solite borghesi chiacchierate in cui i protagonisti si scambiano idee insignificanti e riflessioni sull’arte, che diventano macchiettistiche quando il protagonista Mort inizia a sciorinare film giapponesi citandone i membri del cast tecnico come fossero suoi cugini, oltre al solito sarcasmo e cinismo che lo avvicina in rari momenti all’amato Boris Yellnikoff.
Quello che forse manca è una visione panoramica della città di San Sebastian, meno esplorata rispetto a quelle omaggiate nei precedenti film, ma è pur vero che qui il suo nome non compare nel titolo, e c’è invece quello del protagonista Rifkin.
In sostanza sì, è il solito film di Woody Allen, ma godiamoceli finché ci saranno, anche perché a chi altro può venire in mente di far reinterpretare a Christoph Waltz la Morte de Il settimo sigillo, se non al maestro newyorkese?