Robert Zemeckis: una carriera che ha attraversato ogni genere, per un cinema che non ha mai tenuto a bada la fantasia
Ci sono due macro categorie di registi: gli autori e i narratori. Gli autori sono coloro che aggiungono il proprio carattere, la loro personalità, la loro ottica su una visione d’insieme in cui a predominare è un gusto estetico ben delineato, una direttiva stilistica che perseguono e rimane, negli anni, la stessa, stabilendosi come marca distintiva del loro tipo di cinema, per un tocco impareggiabile che rimarrà sempre lo stesso.
Poi ci sono i narratori, registi che non hanno mai avuto bisogno di far sentire in maniera pressante la propria mano, che hanno saputo affidarsi primariamente a ciò che aveva da dire la sceneggiatura, unico vero fulcro della loro opera, su cui andare a costruire e, per l’appunto, narrare. È innegabile che, spesso, capita che le due tipologie vadano inevitabilmente congiungendosi, con il predominare di un’identità sull’altra, ma nonostante questo controbilanciandosi sempre in funzione di un cinema per se stessi unico e, per il pubblico, universale.
Non c’è, tra i due insiemi, competizione o supremazia, nulla denota che gli uni siano più interessanti o artistici degli altri, bensì solamente una divisione per comprendere meglio tutte le sfumature che il cinema possa offrirci, scegliendo di stupirci con la meraviglia dei suoi effetti visivi o con la potenza interiore di una storia.
È per questo che è imprescindibile riconoscere a Robert Zemeckis la maestria con cui è stato in grado di essere per gli spettatori, per i più grandi e per i più piccoli, uno dei più completi narratori. Nell’esorbitante carrellata di film che compongono la sua carriera, il regista di Chicago ci ha portato nel futuro-passato, in un universo dove uomini e cartoon potevano vivere in condivisione, su di un treno per il Polo Nord, in una leggenda epica inglese e nel mondo in miniatura di un uomo maltrattato.
Robert Zemeckis e il regime che va dall’ordinario allo straordinario
Scorrendo solamente la filmografia che va formando un corpus invidiabile per l’impatto che queste pellicole hanno avuto e l’importanza reiterata negli anni che ha fatto di Robert Zemeckis uno dei più lungimiranti cantastorie, si rivela con evidenza la gratitudine che dovremmo provare verso questo cineasta così aperto verso tutto, che ha preso i racconti che gli venivano offerti e si è fatto carico di riempirli della fantasia di cui, per fare cinema, è necessario avvalersi.
È sempre stata proprio questa dualità a fare in modo di spingere le opere di Zemeckis fino all’attenzione dello spettatore, a un’apertura che il pubblico si ritrova ogni volta a dover riconoscere come appagante pur nel proprio sorprendere, come qualcosa che sentiamo possa rimanerci per tantissimi anni vicino e che allo stesso tempo possa continuare a sorprenderci ogni volta.
La doppiezza tra reale e magnifico assume quindi nel regista americano la possibilità di contaminare le proprie storie pur quando queste vogliono riservarsi la capacità di poter parlare a ogni tipo di spettatore. Abilità che tiene presente i sentimenti che vanno instaurandosi nell’umano e, dunque, il collegamento immediato con ciò che possiamo ritrovare come più conosciuto e immediato, ma al contempo anche il voler comunque credere che quella dimensione, quella bolla di magia che stiamo osservando, possa essere possibile, possa appartenere a qualcosa che sarà pur difficile vedere a occhio nudo, ma a cui potremmo sempre aggrapparci.
Il possibile e, soprattutto, una normalità che nel cinema di Robert Zemeckis diventa straordinaria, di cui sentiamo fortemente di voler far parte, pur nella sua natura più assurda e inverosimile – e, si potrebbe dire, proprio in virtù di questa.
Da uomini seduti su di una panchina, a leggende epiche fino a conigli parlanti
È per questo che nell’accostarci alla storia di un uomo particolare, seduto su di una panchina a dispensare cioccolatini, non possiamo che rivolgere cuore e orecchio alle sue parole e alle sue quotidiane eppure all’apparenza improbabili avventure, che andranno ad assemblare il completo assetto di una storia americana filtrata attraverso lo sguardo di un personaggio ingenuo.
O che scegliamo di trascorrere nell’incertezza e nella precarietà del tempo indefinibile su di un’isola deserta, da soli se non che insieme a un protagonista precipitato da un aereo, a imparare i rudimentali strumenti di sopravvivenza, tentando disperatamente di poter fuggire.
Nella sua grandiosità, nell’essere tra i più celebrati e vitali narratori del cinema, Robert Zemeckis fa coincidere l’inconciliabile per rivelare mondi in cui certo vorremmo vivere, ma che ancor più ci piace vedere, ascoltare, di cui godiamo della guida di un occhio come quello del regista per permetterci di addentrarci in universi che, altrimenti, non avremmo mai saputo come accordare.
E, infatti, senza Zemeckis non avremmo mai potuto veder fuso lo spazio-tempo per vivere in avanti e indietro un universo di citazionismo e illuminazioni cult come quello della trilogia di Ritorno al futuro, non avremmo mai saputo come un sarebbe scoordinato, ma senza dubbio imprevedibile il mondo se gli umani dovessero rapportarsi ai cartoni animati come con Chi ha incastrato Roger Rabbit?, continueremmo ancora a chiederci come sarebbe digitale il corpo degli attori non godendo dell’interazione tra tecnologia potenziata e umano indagata con Polar Express, La leggenda di Beowulf e A Christmas Carol.
Immaginazione, presa che solo quei narratori predisposti riuniti nella loro categoria sanno contorcere, allungare, stridere e far roteare. Il bisogno di un cinema che possa spalancarsi alle porte dell’infinito dove ad aspettare ci sono mille e una più opportunità, che Robert Zemeckis ha cercato ogni volta di esplorare, donandoci alcuni dei più bei racconti dell’intero cinema.