Da oltre 40 anni vola tra le vette delle classifiche di vendita mondiali, è stata incoronata a furor di popolo la regina dei manga, ha creato icone pop tra le più famose e amate.
Ma qual è il segreto del successo di Rumiko Takahashi? In realtà i motivi sono tanti e in questo articolo cercheremo di approfondirne qualcuno. Shonen e Shojo, due parole giapponesi traducibili come ragazzo e ragazza, sono entrate da anni nel nostro linguaggio di tutti i giorni per contraddistinguere i due macrogeneri principali del fumetto mainstream giapponese. Gli shonen sono i manga indirizzati a un pubblico giovane e maschile, di solito hanno il combattimento al centro della storia, i protagonisti sono quasi sempre maschi ma, spesso, è presente anche almeno un’eroina avvenente. Al contrario gli shojo si rivolgono a un pubblico di ragazze e ragazzine, il romanticismo è spesso l’elemento trainante della trama, il protagonista è un’adolescente e la storia gira attorno a due persone attratte l’una dall’altra. Di frequente vengono inserite anche storie d’amore di coppie secondarie.
Di sicuro i due generi sono più vivi che mai e continuano, ancora oggi, a spartirsi la fetta più grande del mercato fumettistico giapponese. C’è da dire però che tali categorizzazioni hanno ampliato da tempo il loro target. Da anni ormai gli shonen sono letti da tantissime ragazze e anche la media dell’età di lettori e lettrici si sta alzando sempre di più. Lo stesso discorso anagrafico lo si può fare per lo shojo, che comunque invece resta un genere con un pubblico a prevalenza femminile.
Un percorso del genere è stato portato avanti dai manga grazie a una serie di contingenze, tra le quali è impossibile trascurare il contributo che singoli mangaka hanno dato con titoli innovativi che hanno supportato il cambiamento. Tra questi spicca la regina dei manga, Rumiko Takahashi, che fin dalle sue prime opere ha saputo rompere ogni schema attingendo dal folklore giapponese, mescolando i generi e riuscendo a conquistarsi un pubblico di ogni età, genere e nazione. Il tutto conservando uno stile, soprattutto nei disegni, unico e immediatamente riconoscibile, anche grazie a diversi azzardi come quello di rifiutare di usare le penne (utilizzatissime dai mangaka) per realizzare i suoi disegni solo con il pennello.
Dopo aver creato capolavori ormai evergreen, che ancora oggi riescono a conquistare anche il pubblico dei giovanissimi, la Takahashi è ancora attivissima. L’otto maggio 2019 è iniziata la serializzazione in Giappone, sulla rivista Weekly Shonen Sunday, del suo ultimo lavoro Mao. Il manga ripropone la storia di un ragazzo ed una ragazza che si trovano in un luogo che incrocia i loro mondi, una tematica cara all’autrice che ritroviamo in diverse sue opere, anzi in quasi tutte.
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Lamù e i rompiscatole del pianeta Uru
Lamù è l’opera che nel 1978 ha portato la Takahashi al successo internazionale. E già da qui emerge la sua tendenza a entrare nel fumetto pop nipponico di prepotenza, ispirandosi agli schemi narrativi predominanti ma, contemporaneamente, frantumandoli per mescolarne i pezzi e produrre così dei mosaici unici. Tanto che l’opera arrivò ad aggiudicarsi, nel 1981, il celebre Premio Shogakukan per i manga sia nella categoria shojo che nella categoria shonen.
Il titolo originale è Urusei Yatsura, non traducibile in italiano, o per lo meno dalla traduzione molto approssimativa. Esperti della lingua, dopo attente e contrastanti analisi, sono arrivati a sostenere che più o meno potrebbe voler dire “Quei rompiscatole del pianeta Uru”… anche se tale astro non viene mai nominato nel corso del manga. Non è da escludere, ma prendetela come una semplice congettura, che in corso di produzione possa essere successo qualcosa di simile a quello che accadde con Marmalade Boy (conosciuto in Italia come Piccoli problemi di cuore). Rumiko Takahashi, Wataru Yoshizumi, lo aveva chiamato così perché inizialmente il protagonista era un maschio ma gli editor le consigliarono di cambiargli il sesso, visto che il manga era uno shojo classico (anzi forse il più classico tra tutti gli shojo). Lui diventò una lei ma il titolo rimase quello iniziale, perché comunque incuriosiva e suonava bene. Forse inizialmente il pianeta di Lamù doveva chiamarsi Uru, ma niente di ufficiale è stato mai detto in tal senso dai diretti interessati. Il perché di questo titolo resta ancora un mistero.
Meno misteriosi sono invece i motivi del successo del manga, a cominciare dalla protagonista. Esteticamente Lamù nasce da un restyling in chiave sexy di un oni, demoni del folklore giapponese, nel fumetto diventati una specie aliena. Pur avendo i due cornetti classici da oni ad adornarle il capo, le sembianze di Lamù sono quelle di una bellissima ragazza vestita solo con un bikini e un paio di stivali alti tigrati. Tra le fonti di ispirazione che hanno aiutato l’autrice a plasmare il personaggio, sia nel nome che nell’estetica, c’è la modella di costumi da bagno Hawaiana Agnes Lum, popolarissima negli spot della televisione giapponese degli anni 70. Anche questo elemento ci suggerisce che la Takahashi abbia voluto creare un personaggio che sapesse incarnare alla perfezione le fantasie erotiche maschili.
Grazie alla sua forza estetica Lamù divenne presto un’icona pop a livello mondiale, subito riconoscibile da chiunque. Comics convention di tutto il mondo pullulano, ancora oggi dopo 40 anni, di cosplayer che la interpretano e il suo successo non accenna a diminuire neanche in Italia, dove è in uscita una nuova edizione del manga targata Star Comics.
Classica eroina da majokko (sottogenere dello shojo, dove alle tematiche romantiche si affianca l’elemento magico), Lamù è un’abitante del pianeta degli Oni arrivata sulla Terra per conquistarci. Unica speranza per il nostro pianeta sarà Ataru, un normale studente delle superiori, che avrà pochi giorni di tempo per toccarle le corna e così vincere lo strano duello che gli invasori hanno imposto alle autorità mondiali.
Tra siparietti e incomprensioni Lamù si innamorerà di Ataru e si trasferirà a casa sua, pur se forte e dotata di una personalità dominante saprà anche essere dolce e romantica. Il giovane però si comporta da sbruffone donnaiolo, apparentemente dell’altro sesso ciò che sembra interessargli è solo l’aspetto fisico. La gelosia di Lamù e il suo potere di folgorare chiunque con scariche elettriche saranno un bel guaio per il povero malcapitato.
Il manga si sviluppa attraverso episodi autoconclusivi fruibili anche in modo casuale, attraverso i quali però vedremo una crescita dei personaggi e del rapporto che li lega. Elementi sia fantasy che fantascientifici offrono una buona varietà alle storie che mai risultano ripetitive, con gag comiche che riescono sempre alla perfezione. Tema centrale del manga comunque rimane la faticosa crescita personale di Ataru, che da ragazzino imbranato ed egoista (per non parlare delle sue lievi tendenze alla perversione) dovrà diventare un uomo e imparare a non aver paura di legarsi. Scopo di Lamù sarà invece quello di coronare il suo sogno d’amore e far sì che Ataru la smetta di notare solo le sue forme, ma che inizi ad apprezzarla anche per i suoi pregi caratteriali.
Lamù è una donna che, pur volendo rimanere provocatrice e sensuale, intende superare l’oggettivazione femminile e diventare per il maschio un soggetto con il quale condividere emozioni e sensazioni. Ogni riferimento a un certo machismo (non solo giapponese) è difficile che sia puramente casuale, anche perché Ataru sembra la pantomima dell’aspirante maschio alpha che finisce però solo col sembrare un concentrato di egoismo e stupidità.
Maison Ikkoku
Autrice instancabile e poliedrica, nonostante fosse ancora impegnata con Lamù, nel 1980 la Takahashi realizza il seinen malinconico Maison Ikkoku. Un affresco disincantato ma mai cinico di un umanità vista dalla società giapponese come fallita: studenti che non sono riusciti ad accedere all’istituto scolastico prestigioso, casalinghe trascurate dai mariti che alzano un po’ troppo il gomito, ragazze che girano mezze nude e non si capisce quale lavoro facciano, approfittatori e scrocconi. Tutti risiedono in questo alberghetto preso in gestione da Ikkoku, in cui con le loro festicciole notturne si sorreggono e si consolano a vicenda. La storia segue comunque le vicende sentimentali di Ikkoku, bella e corteggiata padrona di casa.
Ranma ½
Subito dopo la conclusione di Lamù sul tavolo da disegno della regina dei manga compare un nuovo soggetto, protagonista di quello che presto sarebbe diventato un altro successo planetario. Per essere precisi però pur avendo la storia un solo il protagonista, i personaggi disegnati dalla Takahashi che lo ritraggono sono invece due: un ragazzo atletico e una bella ragazza dai capelli rossi. Da quei due disegni inizia la storia di Ranma ½ , un artista marziale che durante un allenamento tenutosi in Cina è caduto in una fonte maledetta attirando su di sé una maledizione: ogni volta che, da allora in avanti, si sarebbe bagnato interamente con acqua fredda avrebbe assunto le sembianze di una ragazza, per tornare normale avrebbe invece dovuto usare dell’acqua calda. Una sorte simile era toccata al padre, che si stava allenando con lui in quelle stesse sorgenti e che da quel momento a contatto con l’acqua fredda si sarebbe trasformato in un panda.
In quest’opera il genere shonen e lo shojo entrano, definitivamente, in corto circuito divenendo una cosa sola e non solo perché il protagonista è sia un ragazzo che una ragazza. Ma perché, nel corso di tutta l’opera, le strutture narrative dei due generi procedono in contemporanea senza mai che una finisca per prevalere sull’altra.
Ranma è in tutto e per tutto uno shonen da combattimento. Il protagonista è il classico eroe abilissimo nelle arti marziali, il cui unico pensiero è quello di allenarsi, combattere e diventare sempre più forte. Come per Lamù anche questo manga va avanti per episodi autoconclusivi, che ruotano quasi sempre attorno a un nuovo e temibile avversario da affrontare e sconfiggere. La storia trae ispirazione dal sottogenere action a tema arti marziali, incentrandosi quindi sugli stili di combattimento, che in Ranma divengono davvero pittoreschi visto che si va dalla ginnastica ritmica marziale alle arti marziali legate alla cucina, e sugli scontri.
Fin dai primi capitoli compare anche il classico rivale, Ryoga, fortissimo quanto Ranma e desideroso di battersi con lui fin dalle elementari. Anch’egli è caduto nelle sorgenti maledette, assume le sembianze di un porcellino e nel manga è un’ottima spalla comica visto che è assolutamente privo di senso dell’orientamento.
Ranma però contemporaneamente è in tutto e per tutto anche uno shojo, visto che il tema amoroso appare di primaria importanza già dal primo capitolo. Nel corso del quale vediamo il padre, erede del celebre dojo (scuola di arti marziali) Saotome, costringere il figlio a un fidanzamento ufficiale con la figlia del capo dell’altrettanto rinomato dojo Tendo: la bella Akane, anche lei esperta di Karate. Grazie a Tale matrimonio, e alla conseguente fusione delle due palestre, sarebbe nato il più grande dojo del Giappone.
I due promessi sposi non la prendono benissimo, sembrano detestarsi, ma tra i due nasce subito un’attrazione che segnerà l’inizio di un rapporto che vedremo crescere pagina dopo pagina. Nel corso della serie arriveranno personaggi strambi e formidali combattenti, moli dei quali finiranno per:
innamorarsi di Ranma versione maschile finendo per diventare rivale di Akane (non solo in amore, spesso anche nelle arti marziali); innamorarsi di Ranma versione femminile, finendo per diventare rivale di Ranma versione maschile (come accade alla bella guerriera cinese Shampoo, innamorata del Ranma maschio e decisa a uccidere il Ranma donna); innamorarsi di Akane, finendo per rivaleggiare con Ranma ragazzo; innamorarsi sia di Ranma ragazza che di Akane, divenendo anche in questo caso rivale di Ranma maschio (che infatti passa la maggior parte del tempo a combattere).
Questo chiassoso e belligerante polverone di intrecci amorosi rimane uno degli elementi che più caratterizzano la serie e che l’hanno resa uno dei manga più amati al mondo. La dualità del protagonista viene, inoltre, usata alla perfezione per costruire continui equivoci e incomprensioni che fanno finire Ranma ogni capitolo in guaio diverso. A sorreggere il tutto è inoltre l’abilità dell’autrice nella caratterizzazione sia estetica che psicologica di ogni personaggio, che fa sì che anche il soggetto più secondario rimanga nei cuori dei lettori.
Inuyasha
Una storia di odio e amore, ambientata in un’epoca Sengoku in chiave fantasy, è invece il capolavoro che Rumiko Takahashi regala ai suoi fan, attraverso una lunga serializzazione, a partire dal 1996. L’opera porta il nome del suo protagonista, Inuyasha: un ragazzo mezzo uomo e mezzo demone indeciso se seguire l’amore, e quindi la sua natura umana, o l’odio, cioè la sua natura di demone. Tali sentimenti contrastanti vengono incanalati verso la sacerdotessa Kikyo, di cui Inuyasha è innamorato e per stare con lei deciderà di usare un antico talismano (la Sfera dei Quattro Spiriti, custodito dalla stessa Kikyo) per diventare umano. La sacerdotessa, che gli aveva fatto credere di amarlo e aveva acconsentito a cedergli la Sfera, invece lo attaccherà con una freccia sacra sigillandolo in un albero millenario per mezzo secolo. Quel giorno Kikyo morirà, proseguendo con la lettura si scoprirà che dietro questa drammatica storia c’era un inganno orchestrato da Naraku (l’antagonista della storia).
Al contrario di Kikyo Inuyasha avrà una seconda occasione, in suo aiuto arriverà dal Giappone contemporaneo (attraverso un pozzo) la giovane e bella Kagome che libererà il mezzo demone dal sigillo che lo intrappolava. I due insieme partiranno alla ricerca dei frammenti della Sfera dei Quattro Spiriti, i lettori inoltre scopriranno presto che Kagome altri non è che la reincarnazione di Kikyo. Inuyasha vorrebbe diventare un demone completo, ma lentamente nascerà con Kagome un rapporto, litigioso e complicato, che lo porterà a riprovare sentimenti che era intenzionato a non provare mai più.
La dualità di Inuyasha però non si riduce a una scelta tra bene e male, ma appare invece come una prova di equilibrio. Il sangue di demone permette all’eroe di proteggere chi ama, mentre il sangue umano gli consente di amare e di provare empatia per il prossimo. Il protagonista si ritrova quindi a gestire un equilibrio tra eros e thanatos. Questi due istinti, la cui contrapposizione era vista da Freud come uno degli elementi fondativi della psiche umana, vengono descritti in modo metaforico anche dalle due spade che il Grande Demone Cane (padre del protagonista) dona ai suoi due figli: Tessaiga, la spada del regno degli uomini, forgiata per uccidere e Tenseiga, la spada del mondo degli dei, capace di riportare in vita i morti. La prima viene affidata a Inuyasha, mentre la seconda al fratellastro Sesshomaru.
Durante le loro avventure a Kagome e Inuyasha si affiancheranno altri compagni di viaggio, tutti ben caratterizzati ma che resteranno sempre sullo sfondo. Nessuno di loro avrà una particolare crescita personale e anche durante gli scontri, nonostante siano tutti guerrieri, per lo più se ne staranno in disparte a guardare Inuyasha che combatte da solo. In conclusione è giusto ricordare che anche questo titolo può essere considerato la perfetta fusione tra lo shonen e lo shojo, esattamente per le stesse ragioni di Ranma ½
Rinne
Nel 2009, Inuyasha era finito da appena un anno, arriva nelle fumetterie di mezzo mondo una nuova opera in cui la Takahashi continua ad affrontare il mondo esoterico del folklore nipponico; ispirandosi questa volta alle storie di fantasmi (Yurei) nate per lo più nel diciottesimo secolo e tramandate (spesso oralmente) fino ai giorni d’oggi. Queste fiabe horror avevano sempre lo stesso elemento in comune, ruotavano attorno alle apparizioni continue di uno spettro in un luogo preciso. L’anima tormentata normalmente apparteneva a una persona sofferente morta in una condizione di profonda ingiustizia. Veniva chiamato quindi un monaco buddista o un sacerdote shintoista che, in un modo o nell’altro, riusciva a dare pace al povero estinto.
Secondo tradizione anche i giapponesi credono nell’immortalità dell’anima (reiko), la quale dopo la morte resta sospesa in una sorta di limbo in attesa dei riti funebri, per poi raggiungere gli antenati nell’aldilà. In alcuni casi, di solito legati a una morte violenta, si crede che lo spirito possa rimanere sulla terra divenendo però uno yurei. Un’entità spirituale maligna che porta con sé sciagura e maledizioni.
Intorno a questi spiriti ruota la storia di Rinne, anche questa serie prende il nome dal suo protagonista: mezzo ragazzo mezzo shinigami (dio della morte giapponese), che non si presenta affatto come un eroe ma più come la divinità protettrice dell’istituto superiore che frequenta. Gli studenti gli lasciano delle offerte di cibo in una capannina meteorologica e lui in cambio li libera dagli spiriti che gli danno noia. Quando un fantasma però diventa uno spirito maligno Rinne allora dovrà combattere. Ad accompagnarlo nelle sue avventure ci sarà Sakura Mamiya, una ragazza che vede gli spettri e che quindi riesce a vedere Rinne anche quando questo si rende invisibile agli esseri umani.
La regina dei Manga
Pur non essendo un’opera così innovatrice come le precedenti, anche attraverso Rinne la Takahashi riesce a dimostrare la sua grande maestria come mangaka. Forse nessun altro autore è mai riuscito a mescolare i generi più diversi all’interno di una serie con tanta naturalezza. Sarebbe riduttivo esaltare però solo le sue capacità tecniche visto la passione che traspare in ogni suo disegno. Parlando del successo internazionale delle sue opere una volta ha detto: “Mi fa pensare che le persone nel mondo sono simili, e ciò che le fa ridere è comune a tutti. Questo mi rende molto felice”.