Da oltre trent’anni alberga nei nostri incubi. Arrivata dal Giappone ha colpito l’occidente per la sua caratterizzazione estetica al contempo semplice e terrificante. Ma da dove viene Sadako? Il nostro viaggio nel mondo degli yurei giapponesi ha inizio.
Nel 1998 il mondo ebbe modo di rabbrividire alla vista di una giovane vestita di bianco che usciva strisciando come un verme dallo schermo di una televisione, aveva sudici capelli lunghi che le coprivano totalmente il volto. Tutto ciò ovviamente accadde solo nei cinema e non nella vita reale, ma bastò quella scena per lanciare nell’immaginario collettivo una nuova terrificante icona horror. Al fianco di Freddy Krueger, Jason, chucky la bambola assassina, per la prima volta entrava nel pantheon degli spauracchi di cellulosa un’entità che non veniva dagli States ma dal Giappone.
Si tratta di Sadako, protagonista di Ringu (conosciuto in occidente come Ring): film horror diretto da Hideo Nakata e divenuto presto un cult, che segnò l’inizio di una saga cinematografica ancora in corso. Sempre sotto la direzione di Nakata infatti, il 24 maggio del 2019, è uscito nelle sale giapponesi l’ultimo film del brand, che si intitola semplicemente Sadako.
Sadako: una storia travagliata di un franchise immortale
Ring si ispira all’omonimo romanzo di Koji Suzuki, primo di una fortunata saga letteraria che ruota attorno al personaggio di Sadako, una ragazzina uccisa e gettata in un pozzo a causa della paura che incutevano i suoi poteri paranormali a chi gli stava attorno. Come accade spesso nelle storie di spettri giapponesi, il suo spirito tormentato non riuscì a trovare la pace e rimase sulla terra.
Lo spettro è riuscito poi a creare una maledizione attraverso un video presente su una videocassetta. Chi lo vedeva, dopo una settimana esatta, avrebbe ricevuto una visita della cara Sadako che se lo sarebbe portato con sé all’altro mondo. Unica possibilità di salvezza era quella di fare una copia del nastro e farlo vedere a un’altra persona, così da far ricadere la maledizione su di lui e così potenzialmente si sarebbe potuto andare avanti all’infinito.
Importante nella storia è anche la componente investigativa. Visto che i vari protagonisti di turno cercano, indagando sulla storia della giovane uccisa, di trovare il modo di dare pace al suo spirito e rompere la maledizione.
Sadako di Ring: al cinema tra top e flop
Che la trama del romanzo ben si prestava alla traduzione cinematografica, lo si capisce osservando la particolare attenzione che è stata messa dal regista proprio nel gioco di schermi. Diverse volte, e non soltanto nel primo film, lo spettatore si ritrova a guardare con i protagonisti il video maledetto, che spesso arriva quasi a sovrapporsi all’inquadratura. In pratica si sta guardando un film horror attraverso un altro film horror.
Con una buona dose di coraggio è stato deciso di mandare nelle sale, sempre nel 1998, anche il primo sequel di Ring (The Spiral), diretto da Joji Lida. Il film è ispirato a Rasen, il secondo libro del franchise e ripropone alcuni attori che hanno partecipato al primo titolo della saga. Mentre Ring conobbe presto un successo planetario, The Spiral fu un colossale buco nell’acqua e la produzione decise di ignorarlo e comportarsi come se non fosse mai stato prodotto.
Nel 1999 Nakata portò nelle sale un altro sequel che non si ispira a nessun romanzo di Suzuki, ma che ebbe molta più fortuna di The Spiral. Ring 2 è una storia originale che ripropone le stesse tematiche del primo film, con una regia però più psichedelica e con una maggiore attenzione agli effetti speciali. Ben riuscito è il personaggio del piccolo Yoichi, il figlio di Ryuji e Reiko (i protagonisti del primo film) che in questo capitolo sviluppa, oltre a una forma di mutismo, poteri simili a quelli di Sadako.
Inoltre mentre Ring si muove solo sull’aspetto esoterico, in questo sequel si tenta anche l’approccio scientifico al problema. Al posto di un monaco buddista o di un sacerdote shintoista, come accadeva nelle storie di fantasmi giapponesi del passato, a tentare un esorcismo per liberare Yoichi da Sadako sarà il Dottor Kawajiri. Lo scienziato utilizzerà attrezzature scientifiche per incanalare l’energia negativa dello spettro, o almeno ci proverà.
Nel 2000 è poi uscito il prequel Ring 0: Birthday, ambientato trenta anni prima del primo film. La pellicola racconta la vita che Sadako conduceva quando aveva 19 anni ed è ispirata al romanzo breve di Suzuki Lemonheart. Nel 2012 è invece uscito lo spin-off Sadako 3D, seguito da Sadako 3D 2, dove si racconta la nascita di un nuovo video maledetto, mentre Sadako è impegnata nella ricerca di un nuovo corpo per poter tornare così in vita.
Un ultimo ritorno del famoso spettro nei cinema del Sol Levante c’è stato nel 2016 con Sadako vs Kayako, un crossover del 2016 diretto da Koji Shiraishi che vede il demone di Ring alle prese con il fantasma di Ju-on (conosciuto anche come The Grudge). Kayako è una donna, protagonista di un altro franchise horror giapponese di successo, uccisa dal marito insieme al figlio perché l’uomo credeva che lei lo tradisse. Il suo spirito rimase allora in quella casa, infestandola e uccidendo tutti i malcapitati che vi entravano.
Prima di Sadako vs Kayako sono usciti altre due pellicole simili: Hikiko-san vs Sadako, Bunshinsaba vs Sadako, come la maggior parte dei crossover horror (da ricordare Freddy vs Jason) anche questi film lasciano il tempo che trovano.
Da Sadako a Samara, l’incubo Ring arriva negli USA
Particolare successo ha avuto anche il remake americano, The Ring, diretto da Gore Verbinski con Naomi Watts come protagonista. Il film è riuscito a superare i 250 milioni di dollari di incasso in tutto il mondo, mentre il più grande contributo che ha saputo dare all’arte cinematografica consiste nel fatto di aver fatto scoprire a milioni di occidentali il mondo dell’horror giapponese.
Sulle differenze tra l’originale e il remake ci si potrebbe dilungare in una noiosa lista di elementi, il tutto però può essere riassunto enunciando la principale, e forse unica, differenza tra l’horror nipponico e quello statunitense. E cioè che nei titoli americani ci spaventa ciò che vediamo, mentre in quelli giapponesi a farci paura è ciò che non vediamo. L’uso del contro campo, della suspense, che diventa vera e propria angoscia, fanno sì che sia la nostra mente a generare i mostri, attingendo dalle nostre paure nascoste, piuttosto che gli addetti agli effetti speciali.
Mentre in The Ring la scena cult in cui Sadako (diventata Samara) esce dallo schermo per uccidere la sua vittima si presenta come l’apice del terrore, in Ring la sequenza appare quasi liberatoria, almeno il mostro si è visto e finisce la tensione che il film riesce ad arte a creare.
Per il resto The Ring si presenta come il classico adattamento americano di un prodotto asiatico: si usano attori occidentali, un’ambientazione americana e si modificano diversi elementi per rendere il titolo più fruibile agli amanti del genere in occidente. Lo stesso sistema che ha trasformato i GoRanger nei Power Rangers e gli esempi potrebbero essere tanti altri.
Sadako e Ring 2
The Ring nel 2005 ha avuto anche un sequel (The Ring 2), che però non è il remake di Ring 2 ma una storia originale. La sorpresa principale è stata che a dirigerlo è arrivato dal Giappone Nakata, padre del franchise cinematografico, che però ha saputo bene interpretare i gusti del pubblico americano, distaccandosi dai suoi primi lavori.
In questo titolo si evidenziano le principali differenze tra lo spirito giapponese e lo spettro americano, Sadako è una vittima mentre Samara appare come un essere maligno già da quando era in vita e chi l’ha uccisa viene addirittura giustificato.
Così la storia è stata stravolta fin dal profondo, rendendo Samara simile alle tante altre icone del cinema horror americano come Freddy Krueger o Chucky (anche loro tornano dalla morte, ma criminali erano prima e criminali sono rimasti). C’è stato anche un terzo sequel nel 2017, The Ring 3, che vede tra i protagonisti Johnny Galecki: l’attore che interpreta Leonard in The Big Bang Theory. Questo è l’aspetto più interessante dell’intero film.
Chi è Sadako, lo Yurei che ormai terrorizza il mondo
Entità fantastica assolutamente originale in occidente, in realtà Sadako in oriente richiama chiaramente una figura conosciutissima del folklore Giapponese: lo yurei, un fantasma comunemente dall’aspetto femminile (ma esistono anche yurei maschi) che compare di solito con i capelli davanti al viso e vestito di bianco. Gli abiti che indossa sono quelli che vengono messi alle salme durante i funerali e, anche se in vita erano bravissime persone, dopo la morte diventano entità spirituali malvagie. Lo stesso nome viene da yu (oscuro) e rei (anima), la loro aurea nera si espande nei luoghi dove si manifesta portando con sé maledizioni e negatività.
Come accade in molte società animiste anche in Giappone esistono forme di culto degli antenati, secondo la tradizione l’anima del defunto (reiko) dopo aver lasciato il corpo resta in attesa dei funerali in una specie di limbo. Se i riti vengono eseguiti bene, il caro estinto raggiungerà i suoi antenati e diventerà uno spirito protettivo per tutta la famiglia. Si ricongiungerà, una volta l’anno, con i propri cari ancora in vita durante la festa dell’obon, nel corso della quale è tradizione accendere delle lanterne per aiutare i propri estinti a ritrovare la strada della casa dei loro parenti.
Se però i funerali non vengono fatti oppure la persona muore di morte violenta, magari in una condizione di sofferenza causata da una forte ingiustizia, allora lo spirito potrebbe non lasciare mai la terra. Il Reiko si trasforma in uno yurei, il quale può infestare un luogo, un oggetto o una persona. Esistono dei soggetti che attraverso rituali di esorcismo possono liberare luoghi o persone dall’oscura presenza che comunque, al contrario de Il Corvo di James O’Barr, non cerca vendetta contro chi gli ha fatto del male. Si comporta invece in maniera più democratica, riversando la sua negatività su chiunque si imbatta in lei senza discriminazione alcuna.
Nella cultura pop nipponica la figura dello yurei entrò prima nel teatro kabuki, per poi arrivare (anche grazie all’iconologia dello spettro nata in quest’ultimo) nei manga e negli anime. Normalmente appare fluttuante nell’aria, senza arti inferiori, con le braccia piegate e le mani protese in avanti; le quali però rimangono cadenti, come se fossero senza vita. Spesso, oltre alla classica veste bianca, hanno anche una specie di fazzoletto triangolare legato alla fronte e vengono accompagnati da fuochi fatui (Hitodama) di colore azzurro.
Nei manga e negli anime tali figure sono state usate spesso principalmente per sketch comici, una scena classica è quella in cui un personaggio, all’improvviso, assumeva le sembianze di uno yurei per rimarcare il fatto che in quel momento il suo umore non era al massimo.
Tra le varie fonti di ispirazione che hanno portato Nakata a scrivere Ring c’è sicuramente la celebre leggenda Bancho Sarayashiki, di cui esistono diverse versioni. Le più conosciute sono ambientate nel castello di Himeji (noto anche come il Castello dell’Airone Bianco), famosissimo monumento giapponese situato a 50 chilometri da Osaka e dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
All’interno di esso, vicino all’edificio dedicato al seppuku (dove i samurai si squarciavano il ventre da soli per espiare una colpa o sfuggire a una morte disonorevole) è possibile ancora ammirare il celebre pozzo di Okiku. Secondo la credenza Okiku era una ragazza al servizio del signore del castello (in altre versioni di un samurai) e tra le sue mansioni c’era anche quella di custodire dieci piatti pregiatissimi. Un giorno ne perse uno (i motivi cambiano a seconda delle tante varianti di questa storia, che per secoli è stata tramandata oralmente), per punizione la donna è stata seviziata, violentata e poi gettata nel pozzo.
Ogni notte il fantasma di Okiku usciva dal pozzo, contava fino a nove e poi scoppiava in un pianto disperato. Fino a quando un monaco buddista, chiamato per risolvere il problema visto che quella presenza aveva già fatto impazzire e portato al suicidio qualcuno, ebbe l’idea di esclamare “dieci” quando il conteggio dello spettro era arrivato a nove. Allora il fantasma si inchinò per ringraziare il monaco e sparì per sempre.
“Nell’acqua salmastra gli spiriti fanno festa”
Tra le tante cose che accomunano la storia di Sadako alle ghost story del XVIII secolo (come quella di Okiku) c’è il significato che alcuni elementi si portano dietro. Il pozzo per esempio da sempre è visto come un qualcosa che unisce due mondi (quello terreno e l’aldilà) e non solo nella tradizione giapponese ma anche in quella cattolica. Da ricordare per esempio il Pozzo di San Patrizio, una grotta irlandese situata sotto l’isola di Lough Derg, che secondo la leggenda arrivava fino agli inferi. Nel video maledetto del film si vede Sadako risalire dal pozzo e comunque a questo elemento viene dato molto spazio in ogni capitolo della saga.
Nel folklore nipponico anche l’alba viene vista come momento in cui due dimensioni potevano entrare in contatto, ecco perché spesso i fantasmi apparivano all’incirca poco prima dell’aurora. Si può dare per certo quindi che ogni elemento che in un modo o nell’altro può essere o sembrare liminale (o che in un certo qual modo traccia un confine) finisce per avere una valenza esoterica, diviene un luogo di passaggio tra due mondi.
In Ring tanti elementi, oltre al già citato pozzo, possono avere tale valenza. Il primo, e più importante, è lo schermo televisivo da cui possiamo vedere anche un pezzo di aldilà e che viene utilizzato da Sadako per arrivare nel nostro mondo. Anche lo specchio, in cui nel video la madre di Sadako si osserva mentre si spazzola i capelli, assume questa valenza.
Rimane impossibile infine non citare l’elemento acqueo che, sia nel primo che nel secondo capitolo, ricorre continuamente attraverso inquadrature angoscianti dell’acqua del pozzo in cui giace Sadako, ma anche dell’acqua del mare. In Ring 2 compare anche una grotta in cui i bambini non voluti venivano lasciati per poi essere portati via dalla marea, anche l’acqua viene quindi vista come un passaggio tra due mondi anche perché da lì nasce la vita. Il padre di Sadako decide di uccidere la figlia gettandola nel pozzo, un tentativo folle di ridare alle acque ciò che da loro era nato.
Tali simbologie si ritrovano nei manga di Kitaro dei cimiteri, il capolavoro creato nel 1959 da Shigeru Mizuki che racconta le vicende di un ragazzo-spirito nato in una tomba dal ventre della madre morta. Capace di vedere il mondo degli spettri e di scendere negli inferi, Kitaro vive nei cimiteri ma normalmente aiuta gli esseri umani quando hanno un problema con gli yokai (termine generico che indica qualsiasi entità paranormale, dai mostri ai fantasmi). La J-PoP ha da poco pubblicato una raccolta di storie autoconclusive che consiglio a tutti di recuperare (Le spaventose avventure di Kitaro), soprattutto a chi vuole conoscere il variegato mondo esoterico del folklore giapponese leggendo belle storie con disegni unici nel loro genere.
La Paura è assenza di controllo
Ring non è solo una storia di uno spettro ma anche di una maledizione, un elemento che ricorre spesso nell’horror giapponese. Basti pensare ai tanti capolavori creati dal maestro dell’horror giapponese a fumetti Junji Ito, uno degli autori che ha saputo sfruttare meglio il paranormale in chiave horror. Nelle opere del maestro eventi sovrannaturali creano alienazione nei protagonisti come nei lettori, si sente venir meno la comprensione della realtà in cui si vive, così come il presunto controllo che pensavamo di avere su di essa. Da qui scaturisce il terrore puro, non da uno sbudellamento o da una testa mozzata.
Non sorprende che Ito abbia più volte dichiarato di essere stato profondamente influenzato da HP Lovecraft. La paura dell’ignoto, il terrore che scaturisce anche solo dal sospetto che, nell’oscurità più profonda dello spazio o nelle profondità degli abissi, possano esistere mostri orrendi è un marchio di fabbrica del celebre scrittore horror. Sicuramente lo stato di tensione e paranoia in cui diversi personaggi lovecraftiani sprofondano nei suoi racconti ha aiutato Ito a disegnare i suoi capolavori.
Nelle storie horror, giapponesi e non, che hanno come tema una o più maledizioni troviamo spesso persone intente a indagare su queste per scoprire il modo di liberarsene e tornare in uno stato di normalità. Anche in Ring accade la stessa identica cosa e lo spavento finale (classico del cinema horror, anche occidentale) sta nella saga in esame proprio nel rendersi conto che il tentativo è fallito e la maledizione continua.
Sadako sta per tornare
Anche se la maledizione continua pare arrivato il momento di capire cosa questa saga abbia ancora da dire. E per farlo abbiamo a disposizione due trailer e poche indiscrezioni riguardo Il nuovo capitolo che il 24 maggio arriverà nelle sale Giapponesi. Anche questo film prende ispirazione da un romanzo di Suzuki, Tide, sesto capitolo della saga letteraria.
Protagonista del nuovo film sarà la psichiatra Mayu Akikawa, la donna si imbatterà in Sadako a causa dell’avventatezza di suo fratello minore Kazuma: uno youtuber che risveglierà la maledizione dello spettro. Nei trailer possiamo vedere elementi classici della saga, tra cui ovviamente Sadako, il pozzo, la madre dello spettro, le cinque dita del fantasma che restano impresse sulla pelle quando tocca un umano. Unica particolarità: lo yurei si vede parecchio, in diverse scene. Altro elemento che non è sfuggito ai fan è la presenza, sempre nei trailer, di un’inquietante bambola che assomiglia a Sadako.
Alla fine dell’americano The Ring 3 si capisce che la maledizione sta per passare dalla videocassetta al digitale, infine al web. Ovvio che chiunque conosca Ring si sarà chiesto più di una volta quanto distruttivo potrebbe essere il video maledetto se diventasse virale, soprattutto al giorno d’oggi in cui ognuno di noi gira perennemente con piccoli schermi sempre in tasca e connessi a internet h24.
Uno dei personaggi è uno youtuber, ma certo non basta questo per capire se in questo nuovo capitolo Sadako entrerà nel web o troverà altri modi per terrorizzarci. Con la speranza di riuscire presto a vedere questo nuovo capitolo anche in Italia, vi lascio con un consiglio: se trovate una vecchia videocassetta senza titolo, anche se in soffitta avete ancora un videoregistratore funzionante, fatevi gli affari vostri e lasciatela dove è.