Anima di Sale
Quella dei Ska Studios è una “storia bella” del panorama videoludico, nati come team indipendente sotto il nome di Totally Screwed Software, questi due ragazzi hanno conquistato nel corso degl’anni, grazie ai loro lavori, una certa fama non solo nel panorama indie ma anche tra giocatori, critica e i major dell’industria. Prima del recente Salt and Sanctuary di cui parliamo oggi, Ska Studios ha rilasciato piccole perle come The Dishwasher, Charlie Murder e, andando un po’ più indietro nel tempo, Blood Zero. Forse questi nomi risulteranno sconosciuti ai più, ma fareste bene a colmare la vostra ignoranza perché si tratta di giochi che, benché realizzati da un gruppo indipendente, non hanno nulla da invidiare a titoli Tripla A. Tutt’ora The Dishwasher: Vampire Smile (il secondo capitolo delle serie) è uno degli action bidimensionali migliori a cui, chi vi scrive, abbia mai giocato. Terminata questa breve parentesi, tuffiamoci in questo mare di sale con Salt and Sanctuary.
Salt and Sanctuary lo si potrebbe facilmente riassumere così: Dark Souls in 2D. Per quanto questa semplificazione non renda completamente giustizia al titolo sviluppato da Ska Studios, si tratta di una descrizione che calza a pennello e che, qualora non aveste mai sentito parlare del titolo, vi mette nel mood adatto per proseguire in questa recensione. Salt and Sanctuary si apre in maniera abbastanza laconica: ci troviamo sopra una nave e il nostro compito è quello di scortare una principessa al suo matrimonio. Il mondo è devastato da una guerra centenaria e questo matrimonio politico dovrebbe finalmente riportare un po’ di pace e tranquillità nel regno. Finora nulla di troppo complesso (ma nemmeno di tanto interessante). Tant’è che nella più lunga tradizione videoludica di sempre, le cose si metteranno male già dall’inizio: la nave verrà approdata da un gruppo di nemici non meglio identificati, capitanati da un’essere che, proprio come nei Souls, ci darà subito una bella batosta facendoci capire qual è la nostra posizione all’interno di un’ipotetica “catena alimentare”. Non preoccupatevi troppo di questa prima inevitabile disfatta, il gioco riprenderà subito su un’isola nebbiosa, il vero Salt and Sanctuary è appena iniziato.
Fatti i primi passi sull’isola inizieremo realmente a prendere confidenza con i comandi di gioco e soprattutto con il gameplay di combattimento. Le similitudini con i Souls in questa componente di gioco diventano ancora più evidenti: scudo ben alzato per proteggerci, roll per schivare i colpi e ovviamente fendenti veloci o forti a seconda dell’occasione. Un sistema ben oleato, conosciuto da molti giocatori e che in questa incarnazione in due dimensioni non sfigura ma anzi si amplifica, vivendo di una nuova forza e tingendosi di un’aura rétro incredibilmente ben riuscita. I combattimenti sono semplici, ma al contempo esaltanti. Il sistema è pressoché perfetto e complice gli sprite (tutti disegnati a mano) in due dimensioni, assume come detto una nuova forma: più veloce e talvolta anche più spregiudicata, eppure al tempo stesso incredibilmente funzionale. Il ritmo di gioco è sempre piuttosto serrato, anche quando la situazione ci sembra apparentemente tranquilla, dal nulla può sbucare un nuovo nemico e farci a pezzi in due secondi. Salt and Sanctuary si mostra, proprio come i Souls, incredibilmente punitivo ma mai gratuitamente sadico, andando a minare la nostra autostima solo quando realmente serve e mettendoci in difficoltà sempre nella giusta maniera, senza mai esagerare o richiedere un impegno che va al di là del semplice e puro divertimento. Tutto è ben calibrato, preciso, essenziale. Ska Studios ha preso il puzzle di un videogioco amato da milioni di videogiocatori e ne ha ricomposto uno nuovo, aggiungendo pezzi diversi e togliendone alcuni reputati superflui. Praticamente la versione videoludica del Vaso di Rubin, guardando Salt and Sanctuary ci vedrete sicuramente un Souls a caso, ma al tempo stesso ci vedrete anche qualcosa di completamente inedito.
Sistema di combattimento (e di esplorazione) che gode di nuova linfa vitale proprio grazie alla bidimensionalità, ecco appunto che Ska Studios prende Dark Souls e lo accoppia ad un capitolo qualsiasi di Castlevania, creando un ibrido incredibilmente ben riuscito e che non lascia spazio a problemi di sorta; questa formula, intatti, funziona alla meraviglia. Combattimenti aerei, uniti ad un platforming sempre ben studiato e mai eccessivo, fanno si che Salt and Sanctuary proceda senza intoppi, lasciandosi scoprire poco alla volta e, accompagnandoci in questo viaggio, folle e perverso, senza mai essere scontato o banale. Esplorare l’isola è stupendo, grazie non solo ad una realizzazione artistica eccezionale (chi conosce Ska Studios riconoscerà sicuramente il loro stile) ma anche grazie ad un level design attento e preciso. L’isola si contorce labirinticamente su stessa, riuscendo nel difficile compito di essere non solo credibile topograficamente ma anche in quello di soddisfare il giocatore più navigato e desideroso di scoprire ogni segreto; ogni location si snoda sempre in diverse ramificazioni secondarie, allo scopo non solo di connettersi ad altre zone attraverso shorcurt ma anche per terminare, per così dire, in zone segrete ove reperire oggetti secondari e potenziamenti. Il tutto si amplia se considerate la presenza di alcuni potenziamenti chiamati Marchi capaci di dotare il nostro personaggio di abilità particolari indispensabili per esplorare alcune aree. Vedi il doppio salto sulla parete, lo scatto aereo e la possibilità di invertire la gravità in determinati punti. Salt and Sanctuary pesca a piene mani dall’immaginario Metroidiano, per creare un’esplorazione dalle mille sfaccettature, che non si limita nel fornirci un percorso prestabilito ma si apre, per così dire, a stella permettendoci – sempre entro certi limiti – di girovagare come vogliamo e di obbligarci di tanto in tanto a ritornare sui nostri passi per scoprire zone prima inaccessibili. Un po’ di sano backtraging insomma che, grazie alle ghiotte ricompense, instaura nel giocatore la mentalità adatta ad affrontare questo tipo di progressione, riuscendo – come già detto – a non essere mai banale o eccessivo, grazie ad un sapiente lavoro sul level design e più in generale su ambientazioni affascinanti e ben costruite. Girovagando per la mappa di gioco, non ci imbatteremo solo in aberranti creature ma anche in diversi NPC.
Parlare con questi personaggi ci darà modo di capire meglio la lore del gioco e del mondo in cui ci troviamo, i discorsi – sempre e comunque ermetici – scadranno a volte nel nonsense, a volte nel citazionismo videoludico, talvolta sfonderanno leggermente la quarta parete, ricordandoci che seppur arrivati sull’isola con un obiettivo ben preciso (ricordate la principessa?) finiremo ben presto per essere travolti dall’esplorazione e dal volere scoprire sempre cose nuove. Un po’ come nell’introduzione di Dark Souls 2 in cui, riferendosi al Castello di Drangleic si profetizzava così: “But one day, you will stand before its decrepit gate. Without really knowing why”. E in effetti è vero, travolti da questo intricato meccanismo ludico è facile perdersi, ma la cosa non è di per sé un difetto, e proprio come ci dice uno dei personaggi di Salt and Sanctuary, non siamo forse chiamati a vivere per l’avventura, esplorando castelli e decimando mostri? Non è forse questa la parte migliore del gioco?
Che siate o meno accaniti lettori e desiderosi nel conoscere ogni aspetto della lore, dovrete comunque concentrarvi sulle battaglie e sullo sviluppo del vostro personaggio. Esclusa la scelta della classe iniziale, il gioco ci da completa libertà, permettendoci di sviluppare il personaggio come vogliamo.
Il sale servirà da moneta di scambio per salire di livello all’interno dei vari santuari sparsi sull’isola (da qui il nome del gioco), una volta effettuato un level up, tramite un albero abilità molto simile alla Sferografia di Final Fantasy X, si potrà decidere quale casella sbloccare e di conseguenza quale caratteristica potenziare. Scegliendo un percorso determinato, proprio come accadeva in Final Fantasy X, si preferirà, per forza di cose, potenziare ad esempio le nostre abilità nel combattimento con la spada oppure, scegliendone un altro diametralmente opposto, si diventerà più bravi nelle arti magiche. Ciò ovviamente non toglie la possibilità di affrontare parallelamente i due sentieri, creando un personaggio versatile ed eccentrico. Questa soluzione, pur non brillando come originalità, è sicuramente azzeccata e ben integrata nel contesto di gioco. Come dicevamo bisognerà accedere al santuario per aumentare di livello, queste aree ricordano molto da vicino il Nexus di Demon’s Souls, qui infatti oltre che aumentare di livello è possibile, utilizzando delle pietre apposite, richiamare degli NPC come fabbri, chierici, alchimisti e così via. Non volendo scendere troppo nel dettaglio, ognuno di questi avrà delle funzioni particolari, indispensabili per arricchire il nostro armamentario e proseguire senza troppe difficoltà nel gioco.
Salt and Sanctuary si presenta come un titolo, seppur di “piccole dimensioni”, solido e ben costruito. Il richiamo alla serie Souls è evidente, inutile girarci attorno, tuttavia non ci troviamo di fronte solo ad una bella copia, piuttosto ad un tributo non solo al lavoro From Software ma anche a tutti quei titoli 2D che abbiamo amato qualche generazione videoludica fa. Concludiamo giusto con una nota a margine sulla traduzione italiana: evitatela. Per stessa ammissione degli sviluppatori, la localizzazione nella lingua nostrana è frutto di un lavoro approssimativo e mal realizzato, per tanto se vi approcciate – e ve lo consigliamo – a questa piccola perla del mercato videoludico, vi esortiamo a cambiare le impostazioni della lingua per non rovinarvi, a causa della traduzione, molti dei bei dialoghi e delle descrizioni presenti nel gioco.