The Rock prende a pugni anche i terremoti
Non so voi, ma a me i film catastrofici non fanno più l’effetto come una volta, sarà probabilmente che ormai di palazzi che crollano e disastri di varia natura ne ho visti parecchi al cinema e anni di effetti speciali hanno anestetizzato i miei occhi. Ovvio che tutto ciò non basta più oggigiorno, che bisogna andare oltre in qualche modo, inventarsi un linguaggio visivo coinvolgente, come ha fatto Mad Max Fury Road, se si vuole puntare solo ed esclusivamente sulla potenza delle immagini, o in alternativa avvicinare lo spettatore ai protagonisti raccontando una storia degna di essere seguita fino al suo epilogo. L’ultimo film del regista Brad Peyton, San Andreas, ahimè, fallisce miseramente in entrambi i casi.
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Ray Gaines (interpretato dal massiccio Dwayne Johnson) è un pilota di elicottero da soccorso, un uomo tutto di un pezzo, coraggioso onesto e con la capacità di non cambiare mai espressione qualsiasi cosa accada, il film seguirà il suo viaggio per recuperare la famiglia in pericolo rimasta bloccata nelle zone terremotate. Gli altri protagonisti sono la classica ex moglie fin troppo accomodante “segiochibeneletuecartetornoconte” Emma (Carla Gugino) e la figlia perfetta “tivogliotantobenepapàseigrande” Blake (la bellissima Alexandra Daddario). In realtà ci sono un altro paio di personaggi “chiave” all’interno delle vicende, ma sono talmente inutili e fastidiosi che parlarne mi pare solo una gran perdita di tempo. La trama è semplicemente questa: nel suolo californiano si nasconde una faglia che provocherà il più micidiale e potente terremoto della storia dell’umanità che colpirà prima Los Angeles e poi San Francisco. Ovviamente, per i motivi più superficiali, la moglie si troverà in una città e la figlia nell’altra. Che culo! Inutile dire che il buon Ray cercherà di salvare entrambe con il suo bel elicotterino e il suo sangue sempre freddo al punto giusto.
Il film non parte nemmeno male a dire la verità, e il primo salvataggio che ci introduce il personaggio di The Rock, prima che si presenti la calamità sismica, non è costruito male: una frana travolge un veicolo per strada guidato da una ragazza, che finisce ruzzolando giù dal dirupo incastrato in maniera precaria in una delle pareti di questo burrone. Perché mi soffermo su una scena introduttiva del film? Perché a conti fatti risulta l’unica vagamente credibile. Quando infatti le proporzioni delle problematiche aumentano a dismisura, mostrando l’apocalisse provocata dalla natura stessa in un territorio sconfinato, il film fallisce miseramente nell’immedesimarti nella drammatica situazione raccontata. Innanzitutto perché un terremoto che spacca la terra a questo modo facendo crollare grattacieli e ponti, visto quasi completamente per tutta la durata del film a volo d’uccello, non coinvolge. La regia infatti, probabilmente pensando di spettacolarizzare al massimo l’azione mostrando più casino possibile in ogni inquadratura, finisce inesorabilmente per allontanarti da essa. Non c’è empatia, non si riesce a percepire lo spirito di sopravvivenza dei personaggi che per troppo tempo paiono farsi una scampagnata panoramica per contemplare una città che frana su se stessa. Gli effetti speciali, sicuramente assolutamente ben fatti, perdono molto di potenza per questo, esaurendo in fretta il loro impatto scenico.
Un buco nell’acqua in tal senso, significa decisamente il fallimento di ogni obiettivo di un film del genere, visto che oltre alla sua funzione di intrattenimento, altri scopi non ha. Dialoghi e narrazione sono quasi a misura di teen movie: non esiste drammaticità, non esiste spessore nei personaggi, non esiste pathos ne alcun espediente che crei la MINIMA tensione. Tutto è terra-terra, edulcorato da un costante occhio puntato su “roba che crolla” e sulla superficialità con la quale viene affrontata la situazione. Tanto c’è sempre un elicottero, un aereo, un mezzo per rendere le cose agevoli e -furbamente ma non troppo- panoramiche. Non parliamo poi degli imbarazzanti tentativi di dare un background più “oscuro” al povero The Rock, evidentemente incapace di fornire ad una pellicola del genere molto più che un physique du rôle, con la storia di un’altra figlia morta in tragiche circostanze. Dettagli inutili visto lo stile totalmente “chiassoso” su cui il film vira praticamente subito. Stesso dicasi per i personaggi come il nuovo compagno della moglie, riccone ipocrita e vigliacco che molla Blake in difficoltà alla prima occasione, o come il classico professore che sa tutto ma nessuno lo caga. Ma questo non sarebbe stato necessariamente un problema insormontabile, in fondo il cinema di puro intrattenimento esiste fin dalla sue origini, quando alla fine dell’800 la gente si esaltava solo guardando un treno che arrivava alla stazione. Il cinema-attrazione fa parte della natura del media stesso, non va rinnegato e ne rappresenta una ramificazione importante. Solo deve essere fatto bene, come tutte le cose.
In un film come San Andreas la chiave sarebbe stata forse un punto di vista più “umano”, una regia a portata di persona, un punto di vista più coinvolgente, creare il dramma dentro il dramma quanto meno a livello scenico. Cosi assistiamo solo al volo di Super Dwayne che con la chiara consapevolezza di essere l’action hero di turno che tutto può e nulla teme, osserva lo spettacolo della distruzione naturale di gigantesche metropoli creando la stessa emotività che susciterebbe un castello di carte che crolla, o al massimo la torre del Jenga. Non a caso, gli ultimi venti minuti circa sono i più riusciti, quando tutto diventa più a misura di essere umano, quando finalmente si scende a terra, quando la trama lascia spazio a un po’ di debolezza e ai limiti umani. Ma a quel punto è davvero troppo tardi.