La nascita del “bivio” nei fumetti
lzi la mano chi, da bambino (ma anche da adulto) non ha sfogliato almeno una volta le pagine di un numero qualsiasi di Topolino. Prima o poi un po’ tutti si ritrovano ad ammirare le colorate pagine del settimanale dedicato al topo più famoso del mondo e dei suoi numerosissimi amici. Proprio su Topolino negli anni ’80, in Italia, venne ideato un nuovo “genere” di storie: le storie a bivi. Il concetto di fondo sta nel dare al lettore la libertà di scelta nel decidere come la storia debba proseguire, presentandogli i cosiddetti “bivi”, ossia delle vere e proprie scelte sulle azioni che i protagonisti della trama debbano prendere, influenzandone così sia lo sviluppo che il finale. È uno dei primi esempi di gamification all’interno del fumetto, che diventa così un medium interattivo, anche se si tratta di tentativi ancora lineari e semplici, non a livello dei libri game che nello stesso periodo avevano preso piede ma il cui concetto di base era molto simile. Le storie a bivi hanno sempre avuto un ottimo riscontro da parte dei lettori, spinti a rileggere e sperimentare più volte per percorrere le varie opzioni e scoprire tutti i finali, tuttavia col passare degli anni questo paradigma è stato proposto con poca frequenza.
Libertà o inganno?
In totale, dall’introduzione dei bivi fino ad oggi, su Topolino sono state pubblicate una trentina di storie a bivi, molto poche se si pensa a quanti anni sono passati dalla loro nascita, eppure il successo del format è stato tale da essere adottato anche fuori dal Bel Paese, sempre sulla testata del Topo. Negli ultimi anni però sembra che la verve sia andata persa e nonostante l’apprezzamento da parte di grandi e piccini, i bivi hanno anche un “lato oscuro”, se così vogliamo chiamarlo. Molte storie infatti nonostante l’intreccio si sviluppi effettivamente in maniera differente a seconda delle scelte prese, portano a dei finali molto simili fra loro. Il lato “romantico” delle storie a bivi sta nel focalizzarsi di più al come arrivare a conclusione piuttosto che alla differenziazione del finale vero e proprio.
Sicuramente questo approccio è dato anche dal target narrativo delle storie, che mantengono dei percorsi narrativi semplici, in quanto i primi lettori sono i più piccini, ma è pur vero che complicare un pizzico l’intreccio avrebbe dato un po’ di pepe in più. Questo approccio è stato sfruttato infatti anche in altri campi, con grandi risultati, soprattutto negli anni più recenti. Stiamo parlando delle avventure grafiche, soprattutto quelle create da Telltale.
Il sistema di scelte, tipico dei titoli della software house statunitense, è diventato un vero e proprio marchio di riconoscimento, insieme allo stile grafico in cell shading che richiama molto il mondo dei fumetti. Non a caso, tra l’altro, molti titoli della Telltale traspongono opere a fumetti quali Batman e The Wolf Among Us (tratto da Fables, di Bill Willingham). Anche nelle storie riproposte dalla Telltale ci si trova davanti a numerose opzioni di scelta, sia nei dialoghi che nelle azioni da intraprendere, e queste avranno un peso sia nel finale che nei rapporti che intercorrono fra i protagonisti dell’intreccio. Qui il target è chiaramente più maturo ed i finali, anche se potenzialmente simili, vengono differenziati, anche se non a livelli esagerati, oltre al fatto che le scelte intraprese avranno degli effetti, sia nel mondo di gioco che nei rapporti interpersonali. Al contrario delle storie a bivi però, il filone dei videogame ha avuto molte più proposte, tanto che anche Dontnod, dopo il successo delle opere di Telltale, ha deciso di tuffarsi nella mischia, dando alla luce Life is Strange, uno dei più famosi esponenti del genere. Il videogioco, a differenza del fumetto, è già in partenza più facilitato nell’immedesimazione di chi ne fruisce, in quanto questi partecipa in modo attivo: ai titoli Telltale e Dontnod (o meglio a buona parte di esse) va però dato il merito di riuscire ad essere immersivi in modo particolare, in quanto gli autori hanno saputo toccare le corde giuste dei giocatori. Diciamocela tutta, se non avete pianto sul finale della prima stagione di The Walking Dead siete un po’ delle brutte persone.
Destini amari e rinascita
Così come i bivi su Topolino, anche la Telltale purtroppo ha avuto poca fortuna: l’azienda infatti ha dichiarato il fallimento nel 2018 dopo più di 30 titoli a episodi pubblicati. Le ragioni del fallimento sono molteplici. Da parte di chi scrive i motivi sarebbero da imputare sia a Telltale, la quale non ha saputo rinnovare più di tanto il core dei suoi titoli nel corso degli anni, che all’avvento degli streamer che con i loro gameplay hanno trasformato questo genere di titoli in una sorta di “serie TV” che gli utenti seguono senza portare attivamente a termine il gioco. Col passare del tempo sia i videogame, che i fumetti che i libri game (caro vecchio Lupo Solitario) sembrano quindi esser ormai scesi dalla cresta dell’onda che a lungo li ha visti protagonisti.
Fa dispiacere vedere un filone multimediale che ha fatto dell’interattività, all’interno delle storie, perdersi in questo modo perché ciò che coinvolge, in una storia, è anche sentirsene parte in maniera attiva, immedesimarsi e diventarne, in qualche modo, i protagonisti. Influenzare le scelte compiute non fa altro che avvicinare la storia immaginaria, in un certo senso, in un contesto più reale, rendendola simile alla vita reale, dove ad ogni azione corrisponde una reazione. Per i media del genere, la soluzione al problema sta sicuramente nel sapersi reinventare, nonostante gli appassionati del genere non siano affatto scomparsi, in modo sia di riconquistare quest’ultimi che far avvicinare al genere anche nuove leve. È ciò che speriamo succeda con The Wolf Among Us 2, titolo della rinata Telltale, e con il prossimo fumetto interattivo Batman: Arkham Asylum – Comic Edition, riedizione di Batman: The Road to Arkham, che diano nuova linfa al genere, continuando a raccontare storie e a renderci protagonisti.