Schim è un platform piacevole, esteticamente eccezionale, ma con tanto potenziale sprecato
Schim è un gioco che certamente colpisce. Sarà la direzione artistica, sarà il fatto che si tratta di un platform in cui salta tra le ombre o il fatto che la promessa è quella di raccontare tante storie, di osservare la vita dalla posizione privilegiata di chi non può essere visto. Schim mette sul tavolo suggestioni e intuizioni interessanti per poi incespicare quando si tratta di dargli corpo e struttura, di fargli fare quel passo in più portando tutto a un compimento in grado di restituire le effettive intenzioni che erano evidentemente alla base della realizzazione del gioco.
In Schim interpretiamo uno schim (non nel senso in cui intenderebbero la frase gli amici partenopei), ovvero uno spirito che vive nelle cose o nelle persone, rappresentato come una sorta di ranocchietta nera. All’inizio del gioco il nostro protagonista perderà il legame con la persona a cui era legato, e passeremo così il gioco a inseguirlo nel tentativo di ricostruirlo.
La premessa è molto semplice, ma apre a moltissimi scenari. L’avventura ci porterà a esplorare località urbane che richiamano l’Olanda dell’autore del gioco, e mentre ci sposteremo all’interno di queste città nel tentativo di trovare il nostro essere umano incontreremo altri Schim da ricollegare ai loro oggetti (e questi sono i collezionabili del gioco) sia piccole situazioni di vita.
Quello che non riesce bene a Schim è comunicare con il giocatore in maniera ordinata, costruendo su tutte le intuizioni iniziali, e quindi in definitiva non riuscendo a dire tutto quello che vorrebbe.
Il mondo (i mondi) di Schim sono pieni di dettagli, tra persone che si muovono e interagiscono e cose che avvengono. Sono dei piccoli diorami colorati in pochissimi colori a volte accecanti, altre volte spenti e calmi. Un terreno perfetto per costruire teatrini che raccontano piccole storie. Invece, quasi ogni volta che ci avviciniamo a un gruppo di persone, non succede niente. Certo, riusciamo a carpire degli scampoli di funzionamento di questo mondo (che poi è il nostro mondo), ma è come se in Schim ci fosse tantissimo di non raccontato, di assente, ma assente laddove tutto ci suggerirebbe che dovrebbe esserci qualcosa.
Il fatto che tutto questo avvenga all’interno di scenari artisticamente eccezionali è ancora più “triste”, perché veramente il tratteggio delle ambientazioni, da solo, vale il prezzo del biglietto. Si diceva prima che si tratta di piccoli diorami, ma sono anche dei diorami eccezionali, pieni di dettagli, a volte anche piuttosto estesi in ampiezza, con tante piccole parti mobili che il nostro Schim dovrà sfruttare per arrivare a destinazione. È eccellente l’uso dei colori ed è eccellente il modo in cui tutto funziona all’interno di questi piccoli mondi, e anche come le persone e le cose reagiscono ad alcune azioni compiute dallo Schim.
Le azioni che potremmo compiere, per disturbare le persone o per andare avanti, sono uno dei due perni attorno a cui ruota il gameplay di Schim assieme al platforming, rendendolo di fatto un puzzle-platform. La meccanica principale di Schim è il salto, che però può essere eseguito solo tra un’ombra e l’altra (con, nella modalità base, la possibilità di farne un alto anche toccando terra). Questi splendidi ambienti di cui si diceva quindi sono tutto un alternarsi di zone di luce e zone di ombra che vanno a costruire il livello all’interno del quale il nostro Schim può navigare, e inframezzano ai salti piccoli momenti puzzle.
Il platforming di Schim è interessante nel suo essere a volte un po’ troppo esigente e altre volte un po’ approssimativo. In entrambi casi comunque ci troviamo di fronte a un gioco dai controlli puntuali e precisi, che è piacevolissimo giocare e che penso ne avrebbe solo guadagnato dall’essere un pochino più cattivo. Poco male in realtà, perché le opzioni per renderlo più duro ci sono, anche se non sono quelle di default. Allo stesso modo i livelli sono a volte troppo, troppo grandi, davvero difficili da mappare a mente, e altre volte troppo piccoli e lineari, quasi a servire da riempitivo.
E Schim è un po’ tutto così, un po’ ingenuo. Sembra che tutte le buonissime idee non siano riuscite a prendere la forma che avrebbero voluto, suggerendo più volte delle potenzialità enormi e altre volte perdendosi in un bicchier d’acqua. Resta comunque, al netto di queste critiche, un’eccellente direzione artistica e un platform che ad ogni modo funziona bene. Non sempre, ma questo non significa che non valga la pena provarlo. Rimane un peccato perché sarebbe Schim sarebbe potuto essere molto, molto di più.