cartastraccia è il magazine mensile “usa & getta” di Stay Nerd dedicato al fumetto underground, alternativo e alle autoproduzioni.
questo secondo appuntamento è dedicato al ritorno agli appuntamenti, le fiere e gli eventi che hanno come protagonisti autoproduzioni e fumetto underground
IN THE WAITING ROOM, I DON’T WANT THE NEWS
Quando qualcosa che viene pensato come seriale va oltre la sua prima iterazione, generalmente, arriva anche il momento dei bilanci, del comprendere quali cose ripetere e mantenere come ricorrenti nelle differenti uscite. Contrariamente a quel che si può pensare, però, a me di fare bilanci e raccogliere dati per cartastraccia interessa relativamente. Non per eccesso di zelo da parte mia, ma perché trovo abbastanza incompatibile con il tema dei contenuti che stanno alla base di questo progetto.
Se si vuole parlare di underground a tutto tondo, con un focus particolare sul fumetto, le arti visive e tutto ciò che gravita intorno a queste realtà, trovo sia poco coerente ragionare in termini quantitativi e utilitaristici. Sarebbe un po’ contro la natura stessa del contesto ragionare un qualcosa che ne parla in funzione statistica, numerica o “di mercato”. Questo non significa che non serva farlo, generalmente nell’informazione, ma che al contrario trovo più utile per questa rubrica un approccio più lento e che renda giustizia a ciò di cui parla senza curarsi troppo di fare bilanci su di sé.
Ho già avuto modo, infatti, di spiegarvi nel precedente appuntamento cosa trovo debba venir fuori con cartastraccia: raccontare delle storie di marginalità e di opposizione, che usano il fumetto come mezzo per intraprendere questo percorso. Vi ho raccontato quanto mi prema nell’underground la spinta punk e diy di contrarietà alle logiche di mercato, di eccellenza, di decoro e di regolamento che queste due realtà contengono al loro interno. Ciò non significa che questo mio magazine non abbia una sua identità ricorsiva o che si ripeta, anzi avere un carattere riconoscibile è certamente nella direzione di cui sopra. Per questo motivo, come per il precedente, anche l’articolo che state leggendo si apre con un ragionamento apparentemente slegato dall’argomento scelto per questo numero 2.
Questa volta affronteremo insieme il grande tema delle fiere di settore, ovviamente rapportato al solo argomento di interesse di cartastraccia. Sapere che si può tornare a vedersi, toccare con mano la scena e capire come chi ne fa parte ha reagito ad anni di restrizioni e chiusure. Sperare che il sotterraneo sia ancora popolato come ce lo ricordiamo. Tutto questo, però, coerentemente con quello che è questo mondo. Proprio come la strofa di Waiting Room dei Fugazi che apre questo paragrafo non è importante sapere come sono andati gli eventi, perché la notizia lascia poco nella memoria delle persone e tende a scomparire appena ne arrivano delle altre. Piuttosto gli appuntamenti dedicati alle autoproduzioni e all’underground possono aiutarci a comprendere che scia possono lasciare. Non fare bilanci e contare quante persone sono passate, ma ragionare su quanto e in che modo hanno segnato la strada da proseguire.
“non è importante sapere come sono andati gli eventi, perché la notizia lascia poco nella memoria delle persone“
don’t care what they may do, we got that attitude
Nel loro brano Attitude i Bad Brains descrivono il loro processo creativo come il manifestarsi di un’attitudine positiva in contrapposizione con il materialismo, l’opportunismo e l’individualismo della società contemporanea. Sì lo so da me: parlare oggi di PMA (positive mind attitude) riecheggia un mondo fatto di autoaiuto, life coach e approcci per lo più tossici (e individualisti). Preferisco di gran lunga credere che possa ancora esistere una mentalità positiva ed energetica di approccio alle cose che sia distante dall’eccellere, dall’affermazione personale; proprio come quella suggerita nella canzone. Perché positività vuol dire consapevolezza collettiva, realizzazione comunitaria.
Quando per la prima volta ho varcato la soglia di un evento di fumetto underground, nel 2014 al primo Borda, ho in qualche modo percepito che questa spinta collettiva alla positività come motore di contrapposizione a tutta una serie di sistemi fosse il principale sentimento diffuso in tutte le persone che popolavano. Una direzione contraria proposta direttamente nel centro nevralgico del mainstream che collettivamente veniva promossa con orgoglio della propria posizione. In contrasto attivo e netto ma propositivo di un modello alternativo promulgato con positivismo rabbioso. Dentro Lucca ma fuori da Lucca Comics & Games: opposto e contrario ma pronto a dichiarare che altre strade possono essere intraprese, senza scendere a patti con logiche che non ci rappresentano.
Sono passati otto anni da quella volta, e questo mondo ha cambiato forma diverse volte. Espandendosi, modificandosi ma quasi sempre mantenendo la sua integrità positiva promossa e portata avanti collettivamente. Si sono aggiunti tanti appuntamenti, tante realtà e persone hanno piazzato i loro banchetti sgangherati in case occupate, centri sociali, contesti fortunosi oppure hanno deciso (legittimamente) di entrare come dei virus nelle roccaforti attraverso le self area delle varie fiere di settore.
“una direzione contraria proposta direttamente nel centro nevralgico del mainstream, che collettivamente veniva promossa con orgoglio della propria posizione“
DOPO LA TEMPESTA
Esattamente come nel primo numero di cartastraccia anche questa volta la seconda parte del magazine è dedicata al ragionamento su come in questo preciso ed esatto momento viene vissuto l’argomento dell’articolo. Riferendoci al presente è ovviamente impossibile non riferirci all’era pandemica che stiamo vivendo, alle restrizioni che hanno soffocato ogni diramazione alternativa di cultura. In queste rientrano anche gli eventi dedicati alle autoproduzioni e all’underground, indistintamente dal fatto che siano interni o esterni al resto degli appuntamenti dedicati al fumetto.
Una realtà, questa, che forse più di ogni altra ha fatto fatica a recuperarsi e rialzarsi ma ne è uscita collettivamente con un grande interrogativo: ha ancora senso dichiararci alternativi? Serve ancora considerarci indipendenti? Quali spazi e quali momenti possiamo rivendicarci per affermare questa strada, ora che attraverso la velocità delle informazioni e la connessione più o meno chiunque può arrivare in queste dimensioni?
Si è parlato di questo a Monza al FOA Boccaccio, in occasione del GRANE (Gran Raduno di Autoproduzioni Non Eccessivamenteserie), in una chiacchierata dedicata proprio all’argomento e al come affrontarlo, ancora una volta, insieme. Purtroppo non ero presente né all’incontro né al resto dell’evento ma sono certo che questo possa essere un nuovo punto sulla strada tracciata in precedenza da cui ricominciare, mettendo prima di tutto in discussione il valore stesso delle cose che si fanno. Recupererò a metà giugno con il SUCA Fest, qui a Torino, il giro tra robe scorrettissime e deliri punk (o anche proprio in questi giorni al ToFu, sempre in terre sabaude).
E l’altra faccia della medaglia? Quella che ha deciso di intrufolarsi? Anch’essa ha ricominciato a far capolino, proprio nello stesso weekend a Roma durante ARF!. Qui c’ero, ed è stato bello rivedere comparire eccellenze italiane che si occupano di diffondere il fumetto underground internazionale come JustIndieComics e Inuit, così come percepire che direzione vuole prendere chi fa autoproduzione con un occhio più puntato al grande pubblico o ancora riviste che stanno facendo un gran bene all’underground come LÖK ZINE .
Una ripartenza tutta rose e fiori dunque? Quasi. Perché la compattezza e la condivisione di spazi con obiettivi comuni va riportata sul piatto delle priorità, in generale e nell’underground nello specifico. Non è una gara a chi sta più ai margini e ha meno privilegi delle altre persone, non in questo ambiente dove anzi l’essere ai confini è un vanto collettivo che va portato con orgoglio condiviso e mentalità positiva nella sua opposizione. Per questo credo che dovremmo concentrarci sulla contrarietà e sull’alternativa, più che sulla misurazione di quanto essa possa essere coerente (spoiler: l’incoerenza serve).