Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, dove l’universo tornò a vivere…

Attenzione: questo articolo contiene spoiler

Al giorno d’oggi è cosa ben nota che fare un prodotto con alla base un fandom sconsideratamente vasto è una di quelle operazioni che ti può lanciare o stroncare la carriera sul nascere. Non importa quanta esperienza tu abbia alle spalle, quanti film o serie tv tu abbia fatto, il fandom sarà sempre giudice, giuria e boia, e non lascerà passare nulla.

Figuriamoci quello di Star Wars che, dopo l’ultima disastrosa trilogia, analizza con ancor più minuziosa cura qualsiasi elemento all’interno di ogni nuovo prodotto che vede i propri eroi come protagonisti.

La gestazione di The Acolyte, d’altronde, è stata a dir poco travagliata già dalle prime fasi di scrittura, con orde di depensanti che attaccavano il prodotto ancor prima della sua uscita con review bombing e fiaccolate contro le tematiche “woke”.

Una storia già vista sì, ma alla quale non ci abitueremo mai.

Il prodotto, però, diciamocelo subito senza dover arrivare alla fine dell’articolo, è valido, anche se presenta numerosissimi problemi. The Acolyte è una serie che, a fronte di 8 episodi complessivi, tarda moltissimo a partire concretamente. E non ci riferiamo solamente a ritmo e scrittura, ma anche all’effettivo elemento narrativo che deve arrivare come chiave di lettura allo spettatore.

Iniziare uno show con il freno a mano tirato è normale, soprattutto in un’epoca dove si è soliti diluire sempre più le trame delle serie in favore delle stagioni future, ma in questo caso dobbiamo attendere il quinto episodio per poter finalmente gustare il vero sapore di questa pietanza.

Leslye Headland, mamma della produzione, aveva già anticipato che il climax sarebbe arrivato dopo un crescendo di emozioni, complice anche l’inanellarsi di numerosi eventi che avrebbero visto delle risoluzioni solo sul finale. Però, The Acolyte, pecca nel non farci vedere mai questi reali eventi, o meglio, ce li mostra, per poi farli dissolvere dopo pochi attimi.

L’ultima creatura di Disney è una serie che infatti non ha una propria identità.

Parte come un possibile giallo, ma si risolve dopo qualche minuto. Ci mette davanti un’ipotetica avventura, ma è priva delle dinamiche capaci di creare un effettivo viaggio volto alla conquista di un obiettivo. The Acolyte, in sostanza, sa solamente quello che non è, e per poterlo capire, dobbiamo attendere la fine della stagione, lasciandoci con tanti punti interrogativi che nascono non dallo script, ma bensì da una scrittura che si svuota da sola.

Il ché è un peccato perché i presupposti erano tutti molto affascinanti. Mettiamo da parte l’aver sacrificato inutilmente un’attrice quale CarrieAnne Moss (uccisa malamente e troppo facilmente), ma i vari elementi che omaggiano quello che avevamo solo potuto intravedere in opere passate e nel “Legend” ci hanno da subito – o quasi- catturato.

The Acolyte d’altronde vive di questi elementi dell’Universo Espanso.

Vive di easter eggs e di personaggi interessanti, ma anche di una scrittura profonda e contemporaneamente asciutta (le risoluzioni sono un pizzico frettolose) come se la Headland avesse unicamente il desiderio di porre le basi per una seconda stagione ben più solida. Le maschere in scena cercano di guardare unicamente ai propri interessi, senza offrirci la possibilità di capire il reale obiettivo finale. Tra chi vuole tornare a casa, chi vuole vendetta e chi (quasi tutti) vuole un allievo o accolito che sia, i personaggi di The Acolyte sembrano incastrarsi tra di loro forzatamente, compromettendo la narrazione finale.

Seppur pochi, alcuni personaggi riescono a risollevare totalmente le sorti della serie, nonostante il dualismo delle protagoniste non ci abbia mai realmente catturato. Osha e Mae (interpretate da Amandla Stenberg), nate da un fenomeno più unico che raro quale la “Vergenza nella Forza” sono una versione cheap del tema già visto di due che compongono l’uno, e viceversa. Il problema di queste due gemelline non è tanto la loro nascita o il loro sviluppo, ma l’incapacità della Stenberg di suscitarci empatia per un personaggio che è vittima costante degli eventi. Due sorelle che vagano per la galassia compiendo azioni senza una vera volontà propria.

Emblematico è il momento in cui Osha uccide Sol, durante il quale vediamo uno strangolamento della forza privo di qualsiasi pathos, ma il tutto poi immediatamente rielevato grazie alla prima volta su schermo di un cristallo kyber che sanguina (grazie ad un geniale espediente narrativo).

Ma se le due sorelle non ci catturano, a tener banco, fortunatamente, sono le azioni dei veri protagonisti di questa serie: Sol e Qimir.

Se il secondo ci appare un perfetto indiziato per poter dar vita all’Ordine di Ren, anche complice una presenza scenica che ci offre finalmente un force user del lato oscuro capace di sedere al tavolo dei Sith più affascinanti del canone (e i riferimenti a Maul sono tanti), è il Jedi quello che ci dona più spunti.

Sol è tutto ciò che i cavalieri hanno rappresentato in questi secoli. Uomini che provano a sacrificare tutto quello che hanno in favore di una bene superiore, ma incapaci di sopprimere realmente i propri sentimenti. Un miscuglio di luci ed ombre che comportano un lento inabissarsi dell’ordine della galassia e dell’Ordine stesso (perfettamente mostratoci successivamente dalle scelte di Vernestra).

The Acolyte, in attesa di sapere se vedrà una seconda stagione, ci ha donato finalmente degli elementi che i fan attendevano da anni come lo stile trakata, il cortosis, Darth Plagueis (sul quale non mi soffermo per evitare un papiro di considerazioni), e alcuni riferimenti all’Alta Repubblica, mostrandoci un lavoro certosino nel recuperare elementi fondamentali per poter condire adeguatamente gli sviluppi futuri.

Quello su cui però dovrà lavorare fortemente sarà il ritmo e lo script. Non basteranno nuovamente due o tre combattimenti con stunt e coreografie eccezionali per poter distogliere lo sguardo da tutte le lacune in termini di dinamismo e sviluppo di scrittura, complice anche una modesta caratterizzazione di alcuni personaggi che finiscono per diventare mero contorno (sacrificare un Wookiee Jedi per così poco time screen è delittuoso).

In una galassia lontana lontana, dove le serie che nascono sono sempre più interessanti, ma anche problematiche, The Acolyte ci offre spunti affascinanti, omaggi al passato e un consolidamento delle radici sulle quali si basa Star Wars. Lo show compie numerosi errori, ma non soffre la pressione del “grande salto”, donandoci qualcosa di godibile, seppur con tanti momenti what if. Riuscirà a sorprenderci in futuro e a dissipare ogni dubbio?

La rotta è tracciata e questa volta bisognerà tenere più saldamente il timone, perché gli asteroidi, dopo un inizio tortuoso, ma affascinante, saranno numerosi e il rischio di precipitare è dietro l’angolo.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.