Sekiro è la conferma che From Software ha talento anche quando sperimenta cose nuove

Se facessimo un salto indietro, un bel salto in grado di portarci a cavallo tra i ’90 e il primo quinquennio dei 2000, ci accorgeremmo che From Software non è sempre stata quella che è oggi. Ora pensiamo alla software house come una delle migliori dell’industria giapponese, ma in realtà la sua produzione è sempre stata, fino a Demon’s Souls, piuttosto altalenante. C’erano gli splendidi Otogi e gli episodi sottotono di Armored Core, ad esempio. Certo, prima alla direzione non c’era Miyazaki, ma qualche timore sul primo titolo post soulslike era legittimo averlo, e non per sfiducia, semplicemente per la naturale incertezza data dal passaggio da una formula rodata a una totalmente inesplorata. Questo dovrebbe già farvi capire una cosa: Sekiro non è un soulslike, seppure sia accostabile al genere in qualche dettaglio. Facciamo prima un passo indietro, e vediamo innanzitutto l’aspetto narrativo del gioco.

Un racconto più tradizionale

Quello che viene in mente pensando ai Souls, oltre alla difficoltà, è quella che potremmo definire la loro cifra stilistica: il particolare modo di raccontare di Miyazaki. L’autore giapponese ha sempre preferito portare avanti le sue storie in modo tutt’altro che lineare, lasciando il racconto ai tanti dettagli sparsi per il mondo, popolato da personaggi sopra le righe che tra le righe parlavano delle loro vicende.

Sekiro: Shadows Die Twice prende una vita diversa: quella del racconto lineare. La storia è chiara e narrata in modo diretto, attraverso canonici filmati: ci troviamo in Giappone, nell’epoca Sengoku, nel mezzo di una guerra. L’Erede Divino, nostro signore, si trova in pericolo e Sekiro, il protagonista, ha lo scopo di proteggerlo. La storia principale viene così raccontata in modo usuale, e allo stesso modo le subquest presenti sono molto meno criptiche rispetto al passato. Se il tono del racconto è inizialmente storico, ci vorrà poco perché alcuni elementi sovrannaturali e inquietanti cari a Miyazaki facciano capolino, dando spessore a una storia che altrimenti sarebbe risultata un po’ troppo canonica.

 sekiro soulslike

Attorno alla storyline principale c’è però tantissima lore, che viene costruita secondo la discontinuità e la frammentarietà tipica di Miyazaki. In questo modo Sekiro riesce a muoversi su due binari diversi, risultando più leggibile per quel che riguarda le vicende cardine del gioco, senza però rinunciare al gusto per la scoperta e la speculazione una volta perno narrativo dei soulslike.

Non è tutto oro quello che luccica, però, perché nonostante alcune situazioni e alcuni personaggi che certamente ricorderemo, Sekiro sembra complessivamente meno efficace e affascinante rispetto ai precedenti lavori di From Software. Il mondo di gioco, per quanto bello, è per la sua maggior parte standard, privo di quei guizzi geniali in grado di uscire dagli schemi tipici soprattutto di Demon’s Souls e del primo Dark Souls. Di posti incredibili e ispirati come potevano essere Anor Londo e Petite Londo non ce ne sono, a favore però di un’ambientazione più coerente e coesa sotto il profilo stilistico, oltre che meravigliosamente realizzata.

Probabilmente ci troviamo di fronte alla più bella rappresentazione del Giappone feudale mai vista in un videogioco: l’utilizzo dei colori nel tratteggio del mondo è splendido, le architetture credibili e maestose, nobilitate dalla possibilità di esplorazione verticale, ma rimane costante quel senso di già visto e di canonico, contrariamente a molte ambientazioni del primo Dark Souls che non potevano che lasciare sbalorditi la prima volta che ci si posavano gli occhi sopra.

sekiro soulslike

Discorso analogo va fatto per i personaggi secondari, in alcuni casi interessanti e con questline in grado di incuriosire; purtroppo però, nella maggior parte dei casi risulta difficile anche ricordarsi di averli incontrati. Non bisogna tuttavia essere tratti in inganno: il mondo di Sekiro è semplicemente diverso e a suo modo più “realistico” dei precedenti lavori di Miyazaki, e in questo senso le scelte operate dal team sono coerenti e sensate. Cionondimeno rimane un senso di limitatezza dell’offerta, o peggio ancora di eccessiva genericità in alcune situazioni e nella caratterizzazione di alcuni personaggi secondari.

*Suono di metallo che stride*

È venuto il momento di parlarvi di quello che è il cuore pulsante di Sekiro, e quindi della caratteristica che più lo differenzia dai precedenti giochi dello studio: il gameplay. Se l’esplorazione, nonostante sia molto più varia e stimolante rispetto ai Demon/Dark Souls, non è poi così dissimile da quella a cui siamo abituati, il sistema di combattimento e il sistema di crescita del personaggio fanno virare Sekiro dal genere dell’action RPG a quello dell’action più puro – ma non stylish.

sekiro soulslike

Partendo proprio dal sistema di crescita è importante notare come non siano più presenti le statistiche, e quindi come non sia più possibile costruirsi build ad hoc. In Sekiro c’è un solo protagonista predefinito, che combatte solo con la katana, senza la necessità di gestire l’equipaggiamento. Le uniche “concessioni al gioco di ruolo” sono gli skill tree, in cui è possibile acquistare nuove abilità, e le protesi shinobi, che sono particolari gadget da portare in battaglia e che possono essere migliorate investendo materiali e denaro. Le uniche caratteristiche del personaggio potenziabili sono la forza e la resistenza, ma gli oggetti necessari sono ottenibili solo uccidendo boss e miniboss, e così i punti da investire sono finiti e limitati dalla progressione all’interno dell’avventura principale, escludendo totalmente la possibilità di aumentare la propria forza prima di un combattimento particolarmente ostico.

Questo mette al centro l’abilità del giocatore in modo ancor più prepotente che nei soulslike. Qui è necessario aprire una parentesi: Sekiro è certamente un gioco difficile e impegnativo, ma non è assolutamente quell’esperienza folle o eccessivamente punitiva di cui si legge in giro. Non è un gioco sbilanciato, ma anzi è perfettamente affrontabile con il giusto impegno, senza neanche doversi scervellare con punti esperienza da distribuire, build e magie più o meno efficaci contro quel particolare boss e tutte quelle caratteristiche RPG che definivano i soulslike.

L’abilità è centrale come si è detto, e quindi le situazioni ostiche sono meno “aggirabili” che in passato, perché se volete vincere o imparate i pattern dell’avversario, e imparate a gestirli, oppure imparate i pattern dell’avversario e imparate a gestirli. Le protesi shinobi vi vengono in aiuto spesso, certo, e molti avversari sono più sensibili ad alcune alterazioni di stato che con queste gli potete infliggere rispetto ad altri, facilitandovi il compito, ma sicuramente l’unica cosa da fare è imparare i pattern dell’avversario. E imparare a gestirli.

sekiro soulslike

Il combattimento non si basa più sulla stamina, ma su un’altra barra che rappresenta la postura dell’avversario. Obiettivo dello shinobi è quello di riempire la barra di postura del nemico per poter poi sferrare un colpo mortale, preferibilmente evitando di riempire eccessivamente la propria e di subire quindi la stessa sorte che si spererebbe attendere i nostri avversari. Il combattimento diventa quindi quasi sempre particolarmente aggressivo e meno incline allo studio e al movimento ragionato, preferendo l’istinto e l’orecchio al cervello.

Ogni attacco che portiamo fa aumentare un po’ la barra di postura avversaria, ma dal momento che i nostri nemici pareranno la maggior parte dei nostri attacchi farà aumentare anche la nostra. È vero anche il contrario, e così il parare i colpi con il giusto tempismo diventerà spesso più utile che cercare di attaccare e portare danni alla salute. Intaccare i punti vita è comunque una pratica consigliabile, perché gli avversari, così come Sekiro, sotto una certa soglia di PV avranno un recupero molto più lento della bara di postura, rendendo più facile la sua saturazione e quindi l’utilizzo di un colpo mortale in grado di togliere interamente una delle barre di vitalità avversarie.

Su questo nuovo, istintivo e velocissimo sistema di combattimento si innesta “la morte”, altra meccanica chiave in Sekiro. La morte infatti è al centro della mitologia interna al gioco, ed è anche la dannazione del nostro protagonista, che non può morire. Sotto il profilo del gameplay questo significa che, dopo aver finito i punti vita a disposizione è possibile risorgere una volta (ma anche una seconda in caso si sia effettuato un colpo mortale dopo l’ultima resurrezione) senza alcuna penalità.

Questa caratteristica apre a diversi approcci tattici, ma si rivela soprattutto utile nelle fasi esplorative rendendole molto più scorrevoli e rendendo molto più difficile il trovarsi massacrati dai nemici senza possibilità di fuga, obbligati a perdere una preziosa parte delle risorse che si erano accumulate (anche l’aspetto della perdita di denaro ed esperienza è molto mitigata rispetto ai giochi precedenti di From).

sekiro soulslike

L’esplorazione è però resa più scorrevole anche dall’introduzione del rampino e di meccaniche stealth, grazie a cui il giocatore ha un’enorme varietà di possibilità di approccio alle situazioni. Il rampino serve chiaramente a raggiungere posti sopraelevati, offrendo quindi un ottimo vantaggio tattico e la possibilità di evitare interi blocchi di avversari, mentre lo stealth permette di mettere a segno colpi critici e di sfoltire le fila nemiche senza essere scoperti, aiutando soprattutto quando ci si trova a combattere contro miniboss che hanno nemici normali a fargli compagnia. Tutte queste caratteristiche danno una marcia in più a Sekiro, rendendo l’esplorazione molto più divertente e stimolante, ma anche meno frustrante, rispetto ad un qualsiasi soulslike.

Perché Sekiro è un gioco che tutti dovrebbero giocare

Diciamoci la verità, in molti sono riluttanti ad avvicinarsi ai prodotti From Software perché ormai è universalmente noto che questi siano difficili, o addirittura impossibili. Certamente non sono giochi da una partita ogni tanto, e richiedono impegno e costanza per essere compresi e apprezzati. Sekiro: Shadows Die Twice ha però il grande vantaggio di escludere molti degli elementi che potevano rendere poco digeribili i loro ultimi cinque titoli, mettendo ancora più al centro, come si è detto, la sola abilità del giocatore.

sekiro

Se il gioco rimane impegnativo, è impossibile non consigliare a chi è rimasto bruciato da un Souls qualsiasi di dare una chance a Sekiro. Anzi, probabilmente a questi potrebbe anche venire più facile affrontarlo rispetto a molti veterani dei soulslike, perché per esperienza ho cominciato a giocare a Sekiro senza voler spaccare tutto proprio quando ho “dimenticato” come si gioca a Dark Souls, iniziandolo finalmente ad affrontare come la cosa diversa che effettivamente è.

Il suggerimento per chi invece è un fanatico dei Souls e “li ha giocati tutti” è quello di rilassarsi e prendere consapevolezza che “non li ha giocati tutti”, perché questo è un altro gioco, e ad affrontarlo come avrebbe fatto con un Dark Souls prenderebbe solo schiaffi (spadate) sui denti. Suggeriamo quindi di fare tabula rasa di quello che si pensa di conoscere, e con la mente sgombra impugnare la katana del Lupo. Buona resurrezione! 

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.