Suburra chiude i battenti, anzi no. Viene annunciato uno “spin-off” della serie italiana di Netflix, che di fatto sarà un vero e proprio sequel. Ma è un’operazione sensata?
i era parlato tanto del finale al cardiopalma di Suburra. In molti avevano anche apprezzato il fatto che, anziché cavalcare l’onda di un prodotto di successo portando la serie allo sfinimento, si fosse scelto di mettere una (apparente) pietra tombale, chiudendo i battenti con la season 3, evitando di allungare il brodo come avevano fatto altrove – vedi Gomorra – virando quasi sul fantascientifico di serie B.
E invece all’improvviso compare sul web una foto della sceneggiatura di Suburræterna, annunciato come spin-off ma di fatto vero e proprio sequel, che cambia nome soltanto per cercare di non rimetterci troppo la faccia.
Sia chiaro, sebbene gradirei vedere finalmente anche in Italia qualche idea in più e che si inizi a produrre cose un tantino diverse dai soliti, pur ottimi, crime movie o serie, non sono di base contrario all’idea di un proseguimento di Suburra, poiché al netto dei suoi difetti (a volte anche marchiani) resta a mio avviso una delle migliori serie TV italiane degli ultimi anni nonché uno dei prodotti Netflix nostrani più riusciti.
Quello che fa storcere la bocca appunto è proprio questo cambio di rotta, l’aver preso una direzione probabilmente giusta per quanto sofferta, per tornare sui precedenti passi e riproporci lo stesso prodotto sotto un nome leggermente diverso.
Perché, come detto, Suburraeterna sarà un sequel a tutti gli effetti, ambientato nel post Aureliano. La sinossi ci dice che “a Roma governo rischia di cadere, il Vaticano è in crisi e le piazze della città sono letteralmente date alle fiamme”.
Qui Cinaglia (Filippo Nigro) prova a raccogliere la pesante eredità di Samurai insieme a Badali (Emmanuele Aita), continuando a gestire gli affari criminali della capitale, con l’aiuto di Adelaide (Paola Sotgiu) e Angelica (Carlotta Antonelli), rimaste a capo degli Anacleti, oltre a Nadia (Federica Sabatini), che gestisce la piazza di Ostia. E Spadino (Giacomo Ferrara) sarà costretto a tornare a casa, mentre nuovi protagonisti scenderanno in campo, provando a stravolgere gli equilibri per il controllo di Roma.
Quello che viene da chiedersi a questo punto è se gli autori non si siano pentiti di aver fatto morire Aureliano Adami, e secondo me la risposta è indubbiamente sì, salvo ovviamente un eventuale veto da parte di Alessandro Borghi, ipotesi non proprio peregrina dati i numerosi progetti dell’attore per il 2023. Ad ogni modo ormai il danno è fatto, a meno che non si scelga di farlo risorgere dalle ceneri come nel caso di Ricky Memphis in Distretto di Polizia (ne parlavamo, giusto qualche giorno fa, nel primo podcast cinema e TV).
I registi Ciro D’Emilio e Alessandro Tonda dovranno adesso ripartire da quel momento, ma farlo ragionando lucidamente senza la confusione e il caos che hanno contraddistinto la terza stagione, con quei sei episodi troppo condensati e chiusi in fretta e furia.
Se si è scelto di intraprendere nuovamente la strada del racconto della criminalità romana, occorre aver rispetto del pubblico ed evitare percorsi dissestati in cui la narrazione tentenna come bighe sui sanpietrini, ma proporre una storia lineare e nuovamente entusiasmante.
Non sarà un compito facile, ma il background dell’opera ispirata al romanzo di De Cataldo e Bonini ha tutte le carte in regole per inventare qualcosa di nuovo e affascinante.
Speriamo di non restare delusi.