La difesa a pala tratta del retrogaming.
Facciamo un esperimento.
Uno dei cliché narrativi più abusati è quello dell’uomo che si risveglia dal coma dopo diversi anni e deve fare i conti con una realtà che non gli appartiene più e ripartire da zero, abituandosi via via a nuove situazioni.
Ora, prendiamo un videogiocatore. Evitiamogli il coma (perché, poveraccio, in fondo che ci ha fatto di male), diciamo che è semplicemente “diventato grande”. Sai, il lavoro, i bambini, il mutuo, la crisi (sicuri che non fosse meglio il coma?) tutta roba per la quale non gioca ai videogiochi da vent’anni. Mettiamogli davanti Shovel Knight: penserà di non aver mai smesso.
Sono passate tre generazioni di console, un infinità di processori e schede grafiche, e Shovel Knight è un gioco che sembra uscito dai primi anni novanta. Ed è bellissimo, il che è già una notizia.
Perché a fare un gioco in salsa retrò ci hanno provato un po’ tutti, basta aprire il catalogo di Steam per farsi un’idea di quella che ultimamente pare diventata una vera e propria moda. Ma concepire un gioco nuovo secondo i canoni dell’epoca è un’altra storia.
Mi spiace, Shovel Knight. La tua principessa è in un altro castello.
Partiamo dalla trama: una malefica strega, con l’aiuto dei cavalieri dell’Order of No Quarter, ha conquistato il reame sul quale regnavano le forze del bene protette da Shovel Knight e la fedele compagna Shield Knight, caduta in battaglia e misteriosamente scomparsa. Sarà nostro compito quindi combattere via via tali cavalieri (saranno i boss finali di ogni livello), sconfiggere la strega e scoprire cosa ne è stato di Shield Knight.
Shovel Knight, come a chi ha più familiarità con l’inglese sarà venuto in mente, è un cavaliere armato di pala, che potrà usare per prendere a badilate i nemici, ma anche per scavare tra mucchi di pietre ad esempio, per trovare tesori nascosti, o per aprirsi la strada tra passaggi segreti apparentemente murati. Ogni livello è infatti colmo di scrigni, pozioni e pergamene (spartiti di canzoni da consegnare al bardo in città in cambio di denaro) che renderanno necessaria un bel po’ di esplorazione.
Il gameplay non potrebbe essere più semplice: un tasto per saltare, uno per attaccare con la pala e veramente poco altro (l’attacco magico, che sarà acquisito dopo un paio di livelli di gioco, si eseguirà usando il tasto su più il tasto attacco, ma niente di più complicato). Il livello di difficoltà è abbastanza bilanciato, nel senso che ci sono parecchie parti difficili che sarà necessario ripetere almeno un paio di volte anche per i giocatori più esperti, ma niente che vada a sfociare nella frustrazione. In ogni livello sono presenti i classici checkpoint (non tantissimi per la verità, ma ben posizionati) per evitare di ripartire dall’inizio ad ogni fallimento. Inoltre ogni volta in cui il personaggio morirà, perderà un quantitativo di soldi che rimarranno presenti nel livello, nello stesso punto in cui si è morti, dando così al giocatore l’opportunità di recuperarli, a meno che non muoia nuovamente nel tragitto (nel qual caso perderà nuovamente dei soldi, ma quelli persi in precedenza non saranno più riottenibili).
L’unico punto in cui il titolo si discosta dalle caratteristiche del periodo da cui attinge a piene mani sono le vite infinite, cosa che comunque non contribuisce ad abbassare troppo significativamente il livello di sfida. Pur essendo un platform duro e puro, Shovel Knight prende in prestito dai GDR la possibilità di aumentare le statistiche del personaggio. Ecco quindi che acquistando nel gioco un ticket e presentandolo al cuoco del villaggio, si riceverà in cambio un lauto pasto che aumenterà di una tacca la salute massima del prode cavaliere. Allo stesso modo presentandosi dalla maga e pagando la cifra pattuita aumenterà il numero massimo di punti magia e così via.
Nostalgia, nostalgia canaglia.
Passiamo alla grafica. Quello che ormai dovrebbe essere chiaro a tutti è che Shovel Knight non è e non vuole essere solamente un omaggio ai giochi 8/16 bit dell’epoca che fu, ma proprio un gioco fatto “come quelli di una volta”, e presenta dunque tutte le tipiche ambientazioni dei platform che furono. Il livello nella foresta, quello subacqueo, quello nel castello, quello nel cimitero, insomma ci sono tutti. Graficamente, più di mille parole può fare una rapida occhiata agli screenshot del gioco. Immaginate di ritrovare nascosto in soffitta lo scatolone dei giocattoli di quando eravate piccoli. Lo aprite e liberate un universo di macchinine, robottoni e pupazzetti che immediatamente vi riportano alla vostra infanzia. Allo stesso modo, basta un occhiata a quella valanga di pixel o alla palette cromatica autolimitata nel rispetto dei vecchi standard, per non parlare della splendida colonna sonora chiptune firmata Jake Kaufman (Contra 4, Red faction: Guerrilla, Retro City Rampage, tra gli altri) e Manami Matsumae (autrice della colonna sonora del primo Mega Man) per riportarvi in quell’epoca in cui l’unica preoccupazione era stare attenti a non incappare nella mummia nelle caverne di Ducktales.
Ma sarebbe ingiusto pensare a Shovel Knight al classico gioco paraculo, un titolo che funziona solo perché rievoca certe sensazioni, perché non è così. Shovel Knight è un gioco solido, dal gameplay perfetto ed efficace, difficile ma non stancante, e pur strizzando l’occhio a un vastissimo catalogo di titoli, dotato di una propria, splendida, identità.