La pala della giustizia al gran completo

Nostalgia: forse il termine più semplice per descrivere le prime sensazioni che Shovel Knight riesce a dare, prima ancora di iniziare davvero a giocare.

Nonostante siano passati ormai due anni dall’uscita della sua primissima versione, mettere mano a questa edizione speciale dal nome Treasure Trove resta comunque una grande emozione: vuoi perché arriva su Switch, vuoi perché ci sono entrambi i DLC rilasciati per il gioco, ma soprattutto perché ciò vuol dire che è arrivato anche Specter of Torment, avventura stand alone che, incredibile ma vero, porta ancor più linfa vitale ad un titolo che, di base, è già un piccolo capolavoro.

Avrete intuito che chi vi scrive è un fan di Shovel Knight, ma d’altronde come si fa a non esserlo? Uno dei tanti progetti di Kickstarter che arriva a buon fine e porta quel guizzo, quella potente lucidità e quel pizzico di cattiveria che ha caratterizzato la terza generazione di console non si può non amare.
Al di là del fattore nostalgico, Shovel Knight è un action platform che davvero sa il fatto suo sotto ogni punto di vista.

Pensiamo alla trama ad esempio, banalotta sulla carta ma che rivela invece colpi di scena ed una scrittura in generale notevole con il nostro cavaliere armato di pala che, dopo anni solitari e l’ascesa al potere di forze oscure, torna all’avventura per cercare la sua fidata compagna, Shield Knight, sparita anni or sono in un combattimento funesto.

Per quanto riguarda il gameplay, Shovel Knight rubacchia un po’ dove capita, restituendo però un feeling ineguagliabile con meccaniche di gioco rodate e che funzionano ad anni di distanza, appagando la sete di divertimento di ogni videogiocatore. Gli utenti più anziani soffriranno di bruschette nell’occhio ritrovando tanti elementi a loro affini durante l’adolescenza, mentre i neofiti conosceranno un modo di giocare tanto inedito quanto vecchiotto, forse, ma se sapranno coglierne il messaggio, non potranno che apprezzare anche loro delle tante idee di cui si avvale questo titolo, sfruttando ogni peculiarità del nostro eroe.

I vari ambienti, tutti tipici delle produzioni anni ’80 misti ad un fantasy molto creativo, offrono scelte di design che valorizzano ogni abilità del personaggio, ad esempio il salto con la pala nato in Duck Tales che servirà anche per eseguire balzi più lunghi del normale, oltre ai tanti gadget sbloccabili che ci daranno nuove opportunità per proseguire nel gioco e nuove strategie da applicare ad ogni piano che visiteremo.

Sul versante tecnico, beh, inutile che ve lo dica: Shovel Knight vanta un comparto grafico a 8-bit all’apparenza semplice, ma basterà osservare con attenzione il gran numero di animazioni presenti per capire che siamo su un livello totalmente superiore. Non è sbagliato parlare di pixel art, grazie alla capacità di valorizzare ogni angolo di livello rendendolo esteticamente ineccepibile e con un framerate ovviamente granitico.
La ciliegina sulla torta è però la soundtrack ad opera di Jake Kaufman, talentuosissimo musicista chiptune e autore di diverse colonne sonore per giochi retro. Il suo lavoro su Shovel Knight è semplicemente straordinario, con temi arrangiati con dovizia di particolari e ben articolati, in grado di caratterizzare qualunque momento del gioco, dal girovagare nella world map fino alle battaglie con i boss.

Quello di cui vi ho parlato è però solamente Shovel of Hope, vale a dire l’avventura principale del gioco: i due DLC, invece, rappresentano un’estensione del gameplay oltre che due avventure completamente rinnovate dal punto di vista narrativo.

Plague of Shadows vede come protagonista Plague Knight, uno dei boss principali del gioco ed alchimista, il quale decide di creare una pozione e assumere il potere: per farlo, dovrà avventurarsi nei vari mondi, alla ricerca degli altri cavalieri in possesso degli ingredienti necessari. Le variazioni nel gioco sono minime ma d’impatto: le abilità di Plague Knight metteranno a dura prova quelle del giocatore poiché, non essendo dotati di un salto abbastanza alto, le pozioni alchemiche saranno essenziali per andare avanti, trasformando il platforming del gioco in un lavoro certosino, una cosa non difficile ma che richiederà del tempo per essere padroneggiata a dovere.

Di tutt’altra pasta, invece, il nuovo DLC, Plague of Shadows, disponibile anche separatamente dal pacchetto in analisi, che vede invece una pletora di migliorie e differenziazioni al punto da poter sembrare davvero tutto un altro gioco, innanzitutto sul piano narrativo.
La storia del DLC è infatti antecedente alle avventure di Shovel Knight (ma consigliamo comunque di giocare questo contenuto per ultimo), e propone la lunga missione di Plague Knight incaricato di convincere i vari cavalieri sparsi nel globo a collaborare, creando la nuova compagine oscura che avrebbe terrorizzato il mondo. Non voglio davvero dirvi nulla di più poiché la scrittura della trama è davvero notevole, con tanto di flashback che vi porteranno ad avere un nuovo punto di vista sulla storia, oltre a sottolineare le grandi capacita narrative dello studio.

In termini di gameplay siamo invece di fronte ad una completa rivoluzione: Plague Knight è un cavaliere implacabile e fortissimo, dotato di attacchi in volo devastanti che lasciano davvero poco scampo ai nemici, boss inclusi. Nonostante ciò, però, è proprio la grande atleticità del personaggio che permette agli sviluppatori di ridisegnare da zero ogni livello, riadattandolo alle abilità del cavaliere e trasformando dunque il gioco in una sfida dove abilità e rapidità di esecuzione diventano cruciali per andare avanti. Ennesima dimostrazione di design riuscita appieno, insieme ai nuovi gadget di gioco che garantiscono tanti perks ma anche l’occasione di rendere il gameplay molto più avvincente e pericoloso.

Il comparto tecnico non migliora di una virgola, ma d’altronde va già bene così, al contrario della soundtrack che subisce diversi arrangiamenti per adattarsi all’atmosfera di gioco, meno cupa di Shovel Knight e più briosa,ma mai eccessivamente allegra se non in alcuni frangenti dove è giustificata a farlo.

Chiudiamo con alcune riflessioni legate alla versione Switch presa in esame per la recensione. Questa nuova versione definitiva offre diverse “chicche” esclusive e non, a partire dalla compatibilità con gli Amiibo, che permettono di evocare un partner fantasma che, pur non aiutando direttamente in combattimento, offrirà suggerimenti durante la partita, rivelando ad esempio tesori nascosti e tecniche per avanzare nel gioco.
Presente inoltre la cooperativa, limitata però al solo Shovel of Hope, che sfrutta ovviamente alla grande i due Joy Con per partite mordi e fuggi ovunque.
È qui che si rileva forse l’unica vera pecca del gioco, o meglio, della console che si usa: nonostante il comportamento degli stick analogici sia ottimo, è impossibile nascondere che la vera esperienza di Shovel Knight arriva solo giocando con un D-Pad, cosa che però è inesistente sui Joy Con. Sia chiaro, stiamo parlando di un dettaglio trascurabile, tuttavia l’assenza di una vera croce direzionale fa perdere un po’ di fascino al tutto, a meno che non abbiate acquistato un Pro Controller.

Oltre a questo, segnaliamo infine la possibilità in Shovel Knight di cambiare il sesso dei personaggi: un’aggiunta forse inutile ma che comunque, di questi tempi, riesce a rivelarsi gradevole, oltre ad offrire un nuovo modo di giocare per coloro che hanno già incrociato la strada del cavaliere “paluto” (dotato di pala, ndr).

Verdetto:

Shovel Knight: Treasure Trove è l’esperienza definitiva di Shovel Knight, ad un prezzo che non può non invogliare l’acquisto e che diventa automaticamente una killer application di cui Switch può vantarsi a oltranza.
Ci sono entrambi i DLC rilasciati per il gioco, ma soprattutto Specter of Torment, avventura stand alone che, incredibile ma vero, porta ancor più linfa vitale ad un titolo che, di base, è già un piccolo capolavoro.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.