Studio Ghibli vola più alto che mai.
Ci si aspetta sempre molto da Hayao Miyazaki, questo è inutile negarlo, senza contare che eravamo sicuri di partenza che il maestro dell’animazione giapponese avrebbe riservato particolare attenzione a quella che pare, sia l’ultima opera della sua carriera. E cosi, in occasione dell’uscita della versione italiana (ma in giapponese è sempre meglio), è giunta l’ora di parlare di Si alza il vento.
Lo diciamo subito, siamo di fronte all’ennesimo capolavoro dell Studio Ghibli. Questa volta l’autore de Il mio vicino Totoro, La principessa Mononoke e moltre altre pietre miliari dell’animazione nipponica (di cui abbiamo parlato anche noi qualche tempo addietro in questo articolo) abbandona il fantasy per dedicarsi a qualcosa di più concreto, meno fanciullesco e anzi estremamente maturo, ma con la stessa inconfondibile delicatezza e sensibilità di di sempre.
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Jiro Horikoshi è un bambino che vive nel Giappone della grande depressione degli anni ’20 e che cresce successivamente nel clima della seconda guerra mondiale. Il suo unico sogno, letteralmente, è volare, il cielo, gli aereoplani. Ma non potendo aspirare ad un futuro di pilota a causa della sua miopia, si appassiona ben presto alla progettazione di velivoli. Il film racconta gli anni dalla sua vita dall’infanzia all’età adulta e gli eventi della sua carriera che lo porteranno a costruire il celebre aereo caccia Mitsubishi Zero, alternando costantemente elementi onirici, di finzione, e ispirati a fatti reali (come il terribile terremoto del Kanto del 1923 che piegò la popolazione per diverso tempo). Il mondo di Si alza il vento si allontana dalla cinica brutalità del contesto bellico in cui si colloca, tuttavia, questo rimane nel sottofondo delle vicende narrate, soprattutto in virtù del fatto che Jiro diventa un ingegnere progettista di aereoplani per il governo giapponese, rimanendo coinvolto inevitabilmente nel sistema dell’industria bellica. Eppure, manca qualsiasi velleità militarista; oltre alla velata drammaticità che si respira nell’insieme, questa rimane sempre in “secondo piano”, lasciando spazio ai sogni di realizzazione di un uomo, al suo potere immaginifico, e all’implicito e sotteso turbamento che deriva dalla consapevolezza dello scopo per la quale vengono utilizzate le sue creazioni alate.
C’è molto di Miyazaki nel film: il suo amore per i velivoli, il legame intimo con l’epoca trattata, l’interesse per le figure realmente esistite presenti nel film, come lo stesso protagonista o l’ingegnere italiano Gianni Caproni, che Jiro incontra sempre nei suoi sogni, e che lo incoraggia a seguire la sua strada ed a intravvedere la bellezza delle sue aspirazioni oltre ogni superficie. Tutto si mischia tra sogno e realtà componendo un insieme di scene totalmente oniriche che si contrappongono ad altre più pacate, concrete, reali, a tratti didascaliche, che rendono Si alza il vento uno dei film più sottili e forse “difficili” dello Studio Ghibli. La visione infatti richiede un minimo di conoscenze del periodo trattato per coglierne le sfumature socio politiche appena accennate sullo schermo, e una sensibilità generale che si addice più a una persona adulta piuttosto che a un ragazzino.
Nonostante la maturità dell’opera, rimane di fondo spazio anche per il surrealismo tipico dell’autore, che qui si esprime plasmando i suoni e dando letteralmente quasi “voce” al vento, agli aerei, alla forza della natura. Le due ore di film, nonostante il ritmo pacato, sono intense e ogni fotogramma riempie gli occhi estasiati dello spettatore, che arriverà ai titoli di coda affascinato e in piena sintonia con il viaggio nella vita di Jiro, giungendo a comprendere lo spirito ottimistico di un uomo, comunque, del suo tempo, con i piedi per terra, che deve fare i conti con l’ineluttabile direzione drammatica che la vita può prendere nell’amore, nel fato e negli eventi, ma con lo sguardo di chi cerca però, di scorgere sempre l’azzurro del cielo oltre le nubi.