L’uscita della nuova traduzione de Il Signore degli Anelli ha spaccato a metà il fandom tolkieniano, causando una miriade di reazioni nei lettori. Abbiamo avuto la possibilità di parlarne con Giampaolo Canzonieri, membro dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani.
Per prima cosa ringraziamo Giampaolo Canzonieri per averci concesso questa intervista. Partiamo con una domanda semplice: che cos’è l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani? Come nasce e quale ruolo ricopre lei al suo interno?
L’AIST è un’associazione culturale il cui scopo è promuovere la conoscenza, la lettura e lo studio delle opere di J.R.R. Tolkien. Il nostro fine ultimo è quello di far sì che Tolkien sia riconosciuto a tutti i livelli come uno dei grandi scrittori del ‘900. L’AIST nasce inizialmente a Roma, ma si è poi estesa su tutto il territorio nazionale. Io sono Socio Fondatore e membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione.
Una conoscenza che quindi passa anche per una maggiore diffusione del Legendarium e delle opere del Professore. In questo contesto come ha partecipato l’AIST alla realizzazione della nuova versione del Signore degli Anelli?
La partecipazione dell’AIST al progetto della nuova traduzione si colloca nell’ambito di una collaborazione ampia e consolidata con l’Editore, collaborazione che ha già prodotto la nuova traduzione delle Lettere, a cura del socio Lorenzo Gammarelli, e quella del Ritorno di Beorhtnoth Figlio di Beorhthelm, a mia cura. Quest’ultimo contiene anche un saggio di Tom Shippey tradotto da Roberto Arduini, Presidente dell’Associazione, e l’introduzione di Wu Ming 4, Socio Fondatore e curatore del volumetto nel suo insieme.
La collaborazione alla nuova traduzione è consistita essenzialmente in un lavoro di consulenza riguardante quegli aspetti dell’opera che, in virtù della loro particolarità e sottigliezza, potevano non essere colti anche dal traduttore più esperto, qualora questi non fosse stato al contempo uno studioso delle opere del Professore.
Come si è giunti all’idea di realizzare una nuova traduzione?
L’idea della nuova traduzione nasce dalla semplice constatazione che caratteristica precipua dei Classici della Letteratura è quella di essere ritradotti per offrire l’arricchimento che solo rese diverse della stessa opera possono fornire. Prefiggendosi l’obiettivo di collocare Tolkien fra i Classici del ‘900 trattarlo finalmente da Classico era la prima cosa da fare, e una nuova traduzione dopo 50 anni era sicuramente il primo passo da compiere.
Quali sono stati i contatti con Bompiani e come si è giunti a scegliere Ottavio Fatica quale nuovo traduttore dell’opera?
Riguardo a Ottavio Fatica, l’AIST ha fatto il suo nome all’Editore dopo aver ricevuto da quest’ultimo una richiesta di indicazioni. L’Editore ha poi accolto il suggerimento dopo aver opportunamente vagliato le varie possibilità. La ragione per cui abbiamo indicato Fatica è perché abbiamo molto apprezzato il suo lavoro come traduttore di Kipling e perché il suo curriculum di traduttore letterario, oltre ad essere ricchissimo, comprendeva autori del ‘900 che potevano considerarsi per certi versi affini; primo fra tutti il già citato Kipling, ma anche Auden e, per certi versi, persino Melville.
Un’idea dichiarata dietro a questa nuova versione era la riscoperta del linguaggio tolkieniano. Qualcosa che, secondo molti (voi inclusi, immagino), risultava appannata nella precedente traduzione di Vittoria Alliata e Quirino Principe. La scelta di Ottavio Fatica come traduttore si colloca quindi in questo contesto? A fronte dei pareri discordanti sui risultati della traduzione, crede che l’opera di Fatica sia riuscita in questo intento? Fermo restando che, al momento attuale, siamo solo a un terzo del percorso.
Tutti noi abbiamo amato la traduzione dell’Alliata-Principe. Se ci siamo appassionati a Tolkien prima come fan e poi come studiosi lo dobbiamo anche a loro, e tuttavia non si può negare che la varietà del linguaggio tolkieniano, i diversi registri linguistici “cuciti” sui personaggi maggiori e minori, fosse nella traduzione “storica” fortemente penalizzata. Da questo punto di vista la cifra traduttiva di Fatica, basata sulla stretta aderenza al testo pur nella ricerca della miglior resa italiana, garantisce certamente una lettura che ci restituisce un Tolkien molto più vario e molto più vero.
La differenza di registro che Fatica ha reso, nelle parlate degli hobbit, ad esempio, è stata constatata da chiunque abbia letto la nuova traduzione, compresi molti fra coloro che legittimamente continuano a preferire la precedente. In questo senso la resa di Fatica secondo me ha centrato pienamente l’obiettivo, e la cosa sarà ancora più chiara con l’uscita del secondo volume.
E qui entriamo nello specifico della nuova traduzione del Signore degli Anelli. Gli hobbit parlano in maniera più semplice, Gandalf e Galadriel usano un linguaggio elevato, i nani tornano ad approcciarsi in maniera altisonante e verbosa all’Ovestron (il linguaggio comune della Terra di Mezzo ndr). Qual è stato il vostro apporto, come AIST, in questa operazione? Qualcuno di voi ha partecipato attivamente o vi siete limitati a un ruolo di consulenza?
Il nostro ruolo è stato esclusivamente di “consulenza tolkieniana”. È evidente che se durante le riletture del testo abbiamo notato qualcosa che esulava dalla stretta consulenza abbiamo segnalato anche quello, ma si è trattato, salvo alcune eccezioni, di sviste e refusi. In ogni caso, l’ultima parola, com’è naturale, è sempre spettata al Traduttore e all’Editore.
Non bisogna tuttavia pensare che la “consulenza tolkieniana” non abbia influito sul testo. Certi passaggi la cui traduzione, pur tecnicamente ineccepibile, diventava di fatto sbagliata per via del diverso significato che Tolkien dava loro, sono stati modificati su nostra indicazione; certe sfumature di cui un non esperto non poteva cogliere l’importanza sono state ripristinate o accentuate, e così via. Nel complesso, ritengo che il nostro apporto abbia contribuito significativamente alla qualità del risultato finale.
Ho fatto questa domanda perché alcuni passaggi dell’opera di Fatica danno un’impressione straniante. Sicuramente dovuta all’abitudine acquisita nella lettura della traduzione dell’Alliata/Principe, ma in alcuni casi si ha anche un’altra sensazione, come se ci fossero state altre mani oltre a quella di Fatica.
Questo è da escludere. La traduzione è firmata da Ottavio Fatica e ne risponde soltanto lui.
Facciamo un esempio concreto: la poesia dell’Anello. Le prime due righe sembrano ricalcare in maniera molto fedele quanto scritto da Tolkien, quasi una traduzione letterale (eliminato, ad esempio, il “sotto il cielo che risplende” di Quirino Principe); successivamente però la traduzione sembra cambiare registro, e sceglie di essere più libera. “Doomed to die” dovrebbe essere tradotto letteralmente con “condannati a morire”. Oppure il verbo “to lie” con “giacere” o “trovarsi”.
I nuovi “Versi dell’Anello”, “firma” dell’intera opera, hanno indubbiamente diviso moltissimo i lettori. La versione Alliata/Principe, infedeltà a parte, era oggettivamente molto bella e, a detta di molti, “musicale”, quindi non ci si poteva aspettare niente di diverso.
Tuttavia bisogna tener presente una cosa fondamentale: i Versi dell’Anello, in particolare il terzultimo e il penultimo, parole di Sauron stesso. Parlano del male, quindi la musicalità è una caratteristica non necessaria se non addirittura fuori luogo. L’originale tolkieniano è più cadenzato che musicale, ed è questa cadenza che Fatica tenta di rendere, nei limiti della necessità di non allontanarsi troppo dal testo.
Da qui i versi più brevi e compressi di quelli dell’Alliata/Principe, e anche la rinuncia a mantenere a ogni costo le rime a scapito della fedeltà.
Quanto all’osservazione su “doomed to die”, francamente non la condivido. “Doom”, che per altro è un termine praticamente impossibile da rendere in italiano in tutte le sue implicazioni, significa sì “condanna” ma anche “fato”, entrambi in senso avverso per via della connotazione negativa. Nel contesto dato il secondo significato è sicuramente più aderente, per non parlare del fatto che “Uomini mortali condannati a morire” sarebbe una ripetizione sgradevole.
Diverso è il discorso per “si celano”, anche quello dibattutissimo. La resa è linguisticamente fondata – tra i significati di “to lie” c’è anche “to remain in a state of inactivity or concealment” (OED ndr), quindi proprio “celarsi” – ma certamente non è quella immediata che chiunque si aspetterebbe. È l’unica vera libertà che Fatica si prende nei versi, quindi è sicuramente voluta e cercata, ma solo lui ne conosce il motivo. L’unica ipotesi che posso avanzare è che avendo rinunciato per i motivi di cui sopra alla rima “sky/die/lie” abbia voluto usare parole che avessero qualcosa in comune, nel caso specifico “cielo/crudele/celano”, ma è del tutto un’ipotesi.
Però la scelta di voler essere quanto più fedeli possibile all’originale ogni tanto sembra venire meno in questo e in altri casi. Il primo esempio che mi viene in mente è uno dei miei pezzi preferiti, l’incontro di Dain II con il messaggero di Sauron, narrato da Gloin nel corso del Consiglio di Elrond. In inglese il Re sotto la Montagna usa l’espressione “The time of my thought is my own to spend” per riferirsi alla riflessione che farà sulla proposta del Signore Oscuro.
L’Alliata traduce con “il tempo del mio pensiero è mio”, mentre Fatica sceglie di parafrasare con “il tempo da dedicarvi sono io a deciderlo”, allontanandosi però dall’originale di Tolkien.
In realtà in questo caso se ne allontanano entrambi, ma Fatica meno. Laddove l’Alliata/Principe parafrasa e allunga – “Il tempo del mio pensiero è mio, e sono libero di impiegarne quanto voglio” – Fatica come sempre rimane più asciutto – “Il tempo da dedicarvi sono io a deciderlo” – ed evita anche la sgradevole ripetizione del “mio”. Sono però d’accordo che in questo caso una traduzione più letterale sarebbe andata benissimo. “Il tempo del mio pensiero sta a me spenderlo” sarebbe stato più fedele e altrettanto efficace.
In questo però sorge il dubbio su quale linea sia stata seguita da Fatica. Quando era il caso di allontanarsi dall’originale, contravvenendo però all’idea di fondo della nuova traduzione?
Un traduttore deve conciliare l’aderenza al testo e la resa nella lingua di destinazione. È una linea sottile, una guerra continua e non ci sono regole. Fatica privilegia moltissimo l’aderenza al testo. Ma ovviamente non la persegue nel cento per cento dei casi e solo lui potrebbe spiegare pienamente le singole scelte. A volte si possono avanzare ipotesi più o meno fondate, ma altre nemmeno quelle.
Veniamo ora alla parte più scomoda. Abbiamo già nominato diverse volte Vittoria Alliata. Senza voler scendere nello specifico della polemica, sorge spontanea una domanda: se ci sia stato il tentativo di coinvolgerla in questo progetto.
Questa è una domanda cui solo l’Editore potrebbe rispondere. In linea di massima, tuttavia, non credo sia uso coinvolgere il traduttore precedente in un progetto di ritraduzione.
Tuttavia è legata a lei una delle critiche più feroci rivolte alla traduzione di Fatica: la nomenclatura. Il fatto di tradurre ex novo i nomi, seppur comprensibile nell’ottica di ritorno alle origini, ha cozzato con la sensibilità dei fan. Vi aspettavate una simile spaccatura nel fandom del Signore degli Anelli?
La reazione era prevedibile e prevista. Occorre tuttavia distinguere tra chi manifesta legittime e indiscutibili posizioni di non gradimento, eventualmente anche “forti”, e chi si pone su posizioni pregiudiziali o peggio ancora ideologiche. I primi sono i benvenuti, i secondi in verità no. Per altro non posso fare a meno di notare che l’uscita della nuova traduzione de Lo Hobbit nel 2012 non provocò nessuna levata di scudi. Quindi certe vesti stracciate, in molti casi con mesi di anticipo sull’uscita della nuova traduzione della “Compagnia”, sottendono forse qualcos’altro che, francamente, non mi interessa.
Premettendo che da amanti dell’opera di Tolkien sappiamo che il Professore non amava questa soluzione, non sarebbe stato meglio mantenere i nomi dell’originale inglese? In fondo nessuno si sarebbe sconvolto a leggere Rivendell, Brandybuck, Mirkwood o Ranger. L’Italia è aperta a contaminazioni linguistiche e termini derivanti da idiomi stranieri sono all’ordine del giorno, specie in inglese.
Questa è una faccenda delicata. Tolkien elaborò molto la questione della traduzione dei nomi, passando da un’assoluta contrarietà iniziale addirittura alla redazione di una specifica “Guida alla traduzione dei nomi”. In generale io sono sempre per il mantenimento dei nomi originali. Ma in presenza di istruzioni precise e dettagliatissime dell’Autore su cosa e come tradurre direi che è pressoché impossibile non tenerne conto.
Prima di lasciarci vorremmo anche chiedere: avete sentito Bompiani o Fatica? Avete avuto sentore di quale sia stata la reazione della casa editrice di fronte alle polemiche che si sono avute in questo periodo?
Le reazioni di Bompiani e Fatica appartengono a Bompiani e Fatica e a nessuno dei due manca modo di manifestarle. Come AIST noi stiamo vivendo un’approfondita e prolungata discussione sulla nuova traduzione sia sul nostro sito sia nel nostro Gruppo Facebook, dove non sono mancate né manifestazioni di sostegno né di insoddisfazione. Ogni argomento è stato discusso, ad ogni domanda è stata data risposta, quando ce l’aveva, e a parte qualche eccesso che ha dovuto essere gestito il risultato penso abbia arricchito sia i diretti partecipanti sia i “lettori silenti”. Nel complesso penso che la nuova traduzione abbia risvegliato un interesse per Tolkien che non si vedeva da parecchio, e già questa è per noi un’enorme soddisfazione.