Un pianista fantasma, una ragazza alla ricerca di se stessa dopo un lutto devastante, un amore sospeso nel tempo.
Ramo, una delle ultime proposte BaoPublishing è la seconda graphic novel di Silvia Vanni – la prima per la casa editrice milanese. La graphic novel, nelle fumetterie dal mese di settembre, è un racconto molto intimo e sofferto, reso fruibile, però, attraverso uno stile grafico rassicurante. Un bel contrasto, per raccontare una parentesi tragica di una vita ordinaria, che si intreccia per un periodo con un evento straordinario: la comparsa di un fantasma. Ramo, il nome del fantasma – che altro non è che un riflesso speculare di Omar, il nome del personaggio da vivo – è la voce narrante di tutto il fumetto. Suo il punto di vista con cui si affronta l’evoluzione di Antea, i suoi momenti più cupi, la sua rinascita, sua la missione da compiere prima di ritirarsi per sempre nell’al di là.
Nonostante il tema sia innegabilmente malinconico, i disegni di Silvia Ramo addolciscono l’esperienza e accompagnano il lettore tenendolo per mano. Ramo è una storia esemplare su una (brutta) esperienza e sul modo che ha una giovane donna di reagire. Si parla di depressione, di perdita e dello sforzo che una persona ferita deve compiere per rimettersi in gioco.
Silvia Vanni – che sui social usa lo pseudonimo di Fantafumino – non era del tutto nuova alla forma della graphic novel, ha già pubblicato un suo fumetto come autrice unica nel 2014, La città dei cuori innocenti. Nel 2016, invece, realizza un volume come disegnatrice sui testi di Emilia Cinzia Perri, Salomé. L’artista era ospite di BaoPublishing al Treviso Comic Book Festival dove ha presentato, appunto, Ramo: qui il resoconto di una chiacchierata con lei.
L’intervista di Silvia Vanni al Treviso Comic Book Festival
Questa è la tua seconda esperienza come autrice unica, hai iniziato prima a scrivere o a disegnare?
Direi che probabilmente è arrivato prima il disegno. La scrittura mi piace, ma disegnare è la mia forma di comunicazione preferita.
Hai lavorato anche come illustratrice per Salomé. Che differenza c’è tra le due esperienze?
Con Salomé, occupandomi solo di disegni, ho avuto meno preoccupazioni. Non essendo la mia storia, l’ho potuta affrontare in maniera più serena. Se la storia è mia, infatti, tendo a diventare più testarda, rifletto molto di più sulle eventuali modifiche che mi vengono proposte. Se la storia non è mia invece eseguo semplicemente, mettendo la mia personalità solo a livello grafico. Quando lavoro come disegnatrice, c’è la paura che quello che faccio non sia all’altezza della fantasia dello sceneggiatore. A volte, in effetti, mi è capitato di dare un’interpretazione diversa rispetto all’idea iniziale dello sceneggiatore, che mi diceva: “Non è la cosa che avevo in mente, però va benissimo!” Diciamo che come autrice unica devo rapportarmi con l’editore e basta: il risultato finale deve far contenti me e lui. Lavorando con uno sceneggiatore dobbiamo essere contenti in tre.
Parliamo di Ramo: come è nata l’ispirazione per questa graphic novel?
Sono molto appassionata di fantasmi, da sempre sono un “must” nel mio immaginario. L’ispirazione per “Ramo” è arrivata per caso: mi ricordo che ero in treno, ero arrabbiata e triste, ma senza un motivo particolare. Ho preso il blocco degli appunti e ho cominciato a scrivere. Da lì, la storia è evoluta nel tempo. All’inizio il protagonista Ramo (prima Omar) non era un pianista, era un gelataio. Altea, la co-protagonista, era incinta e non c’era il gatto Rugola. La storia è cambiata mentre evolvevano anche la mia vita e le mie esperienze. Molte idee sono arrivate quando mi sono trasferita in Veneto, dove ho un vicino che suona il piano e da cui ho preso spunto.
Quello che colpisce è il contrasto tra lo stile di disegno molto morbido e il tema, piuttosto cupo, del lutto…
Sono una persona tendenzialmente pessimista. All’inizio è capitato che anche l’editore mi dicesse che i testi risultavano un po’ drammatici. Sono fatta così, per la mia sensibilità anche la cosa apparentemente più innocua può essere dolorosa. Mia mamma, quando le ho mostrato il fumetto, mi ha detto: “Se non c’è almeno un funerale, non sei soddisfatta”. Le illustrazioni che facevo quando ero più piccola erano sempre piuttosto tristi. Magari ora i miei personaggi sono più belli, sorridenti, colorati, ma sempre con una vena di malinconia.
Il lutto, ma anche la rinascita. Quanto è importante dare un messaggio positivo, nelle tue storie?
È molto importante, è anche un messaggio per me stessa. A volte mi succede di sentirmi scoraggiata e penso di mollare tutto, ma so che questa tristezza non può durare per sempre. Alla fine, si risale per forza. Quello che volevo dire con “Ramo” è di non arrendersi, perché prima o poi la luce – anche se adesso non riesci a immaginarla – ci sarà.
Molto spesso l’elemento autobiografico è centrale nelle graphic novel della nuova generazione italiana (e non solo). Qual è rapporto tra la tua arte e la tua sfera più intima, personale?
Nei fumetti tendo a mettere una parte di me stessa. A volte lo faccio inconsciamente. Anche se non ho vissuto direttamente la situazione che racconto, quei sentimenti li conosco o li ho provati anch’io. Nelle illustrazioni, invece, ora tendo a essere più leggera, più serena.
L’accompagnamento musicale è un altro elemento importante di questa graphic novel. Che musica ascoltavi mentre lavoravi su Ramo? Che musica consigli di ascoltare, mentre si legge il tuo fumetto?
Sicuramente ringrazio Felicity Lucchesi, che ha composto la canzone finale e mi ha permesso di usarla (ndr: alla fine di Ramo c’è un QR code che permette di ascoltare un brano ideato per il fumetto). Mentre lavoravo, avevo sempre presente una playlist, ma a volte risultava troppo triste e non riuscivo ad ascoltarla. Mentre stavo lavorando a “Ramo” è morto mio nonno: in quel periodo è stato ancora più difficile scrivere una storia come questa, che parla di morte, e farlo con una canzone triste in sottofondo era impossibile. Ascoltavo serie tv già viste o qualche audio libro, per riequilibrare lo stato d’animo.
Hai intenzione di sviluppare la storia di Altea, o pensi di aver detto quello che volevi dire su questo personaggio?
Per il momento non è nei programmi, non penso di farlo. Mi concentro su altre cose.
Da esordiente, o quasi, che consigli senti di dare a chi vuole lavorare nel mondo dei fumetti?
Non buttatevi giù se un editore vi dice di no. Adesso è un no, ma magari sistemando il progetto o cercando di capire dove stiamo sbagliando, può diventare un sì!