L’inquietante Slender Man torna a far parlare di sé.

Slender Man è una delle creature appartenenti all’immaginario horror più recenti, nata nell’era del web attraverso racconti dell’orrore (creepypasta) che sono diventati virali sulla rete. Il losco figuro longilineo senza volto è però diventato veramente famoso circa 5 anni fa attraverso l’uscita di un paio di videogiochi (piuttosto mediocri a dire il vero) che spopolarono soprattutto tra gli streamer. Da qui al cinema il passo sembra breve, e invece chissà perché, si è ben pensato di farne un film a distanza di diversi anni, quando ormai il fenomeno Slender Man si è ben raffreddato. Il regista Sylvain White, e la produzione di Slender Man, non erano evidentemente d’accordo e hanno pensato ci fossero ancora margini per cavalcarlo. Quello che ci troviamo davanti alla fine però, è un film (6 settembre in Italia) piuttosto scialbo che non può contare più sulla suggestione collettiva attorno al personaggio ma ci presenta la solita entità negativa dalle origini anonime e superficiali.

Eppure, in questo caso, proprio il regista mi sento di scagionare, perché in effetti la regia è l’unica cosa che funziona abbastanza. Ma lo vedremo più in là.

Slender Man racconta di 4 ragazze adolescenti che vivono in una di quelle tipiche cittadine del Massachusetts circondate da una folta boschiglia, location che ben si presta a talune “argomentazioni” cinematografiche. Le giovani non sono personaggi particolarmente fastidiosi, ma non si distinguono dai classici archetipi del genere. C’è quella riflessiva e determinata, quella un po’ più pazzerella e impulsiva, la frignona e quella più delicatina… Insomma, seppure le interpreti se la sono cavata discretamente bene nel fare il loro, già da come si dividono i ruoli nella “squadra”, si travasa inevitabilmente sul film una grossa dose di prevedibilità sugli eventi e sulle dinamiche che si svilupperanno tra di loro. Ora non voglio anticiparvi naturalmente nulla, ma sappiate che in effetti non sarete particolarmente sorpresi da questo punto di vista, e non perché siete Sherlock Holmes, ma semplicemente perché la sceneggiatura segue l’ABC del genere in maniera pigra e priva di iniziativa. 

Le quattro insomma, una bella sera di ritrovano e per gioco guardano un video in rete che evoca lo Slender Man. Se quindi l’espediente per evocare l’entità sa di già visto, e la sua biografia di “ creatura che fa sparire i ragazzini” non rende certo più carismatico il senza volto con la cravatta, rimane solo la messa in scena del tutto con il gravoso compito di salvare la situazione. Qualcosa che riesca a inserire nel calderone un minimo di tensione, immedesimazione, di brividi, e magari empatia verso un gruppo di ragazze che fanno di tutto per non coinvolgerci negli eventi, con le solite mosse sbagliate e i soliti comportamenti poco plausibili. C’è quella che sparisce, quella che impazzisce, quella che tutto sommato se ne frega, e quella che non serve a nulla. E cosi Slender Man procede su binari già battuti da decenni da classici del genere come Nightmare, Scream e via discorrendo, lasciandoci piuttosto disinteressati sul “cosa” succede, e più concentrati sul “come”. Fortunatamente Sylvain White non ha un brutto occhio.

Predilige i primi piani, ma costruisce anche in maniera abbastanza sapiente il phatos della scena, si spertica addirittura in vorticosi giri di camera, talvolta riuscendo a mescolare in modo efficace le psicosi dei personaggi, il reale e il sovrannaturale. Esplicativa in tal senso una scena ambientata dentro l’ospedale dove una delle protagoniste ha un “trip” veramente ben costruito. Purtroppo però, ogni sforzo è vanno, ogni scena potenzialmente coinvolgente finisce nel tramutarsi, perdonate la brutalità, in un coito interrotto. Questo succede per diversi fattori che si riassumono nella sostanziale ambiguità di tutti gli elementi che dovrebbero creare terrore. A partire dalla presunta violenza che lo Slender Man compie sulle sue vittime, già di per sé molto edulcorata per scopi di rating (è pur sempre un horror teen) e quindi poco incisiva, risulta debole sul piano “empatico” anche perché mai ben definita concettualmente: a volte è fisica, a volte psicologica, a volte è esibita altre va interpretata… Slender Man ti tocca, ti fa avere le visioni, ti inganna. Le solite cose viste e straviste portate su schermo senza un reale quid in più.

Non si capisce mai esattamente quali siano le intenzioni di questa entità, non si capisce mai realmente il suo modus operandi, laddove è invece importante negli horror conoscere la reale e concreta personalità del male rappresentato, giacché solo cosi noi spettatori possiamo percepirla come minaccia e di conseguenza farci catturare dalla sua presenza.

Slender Man a volte rapisce senza tanti complimenti, altre spaventa solo, qualche volta fa perdere la capoccia… Un’attitudine schizofrenica e quasi impalpabile, come abbiamo visto anche in altre figure cult dell’horror come ad esempio Pennywise di IT, però in quel caso si giustifica con un background del personaggio e un contesto narrativo estremamente più complesso e coerente. Slender Man a volte ti indirizza verso una interpretazione potenzialmente interessante del suo significato, ma la scena dopo manda tutto all’aria. E poi, cosa più importante, visivamente lo Slenderman non funziona. Può forse funzionare in un finto filmato in stile found footage, può funzionare nelle foto ritoccate, può funzionare (comunque poco) nei videogiochi, ma inserito in un horror di questo tipo, nonostante gli elogiabili tentativi di preparargli spesso un terreno ricco di atmosfera, finisce sempre per manifestarsi in maniera pigra, derivativa, banale. Qualcosa che annienta totalmente il potenziale disturbante della figura, che a conti fatti finisce sempre per sembrare solo un lungo manichino con lo smoking.

Verdetto

Tirando le somme: Slenderman purtroppo, ha diversi problemi per cui semplicemente, non fa paura, praticamente mai. La fotografia è buona e riesce a creare un’atmosfera oscura e opprimente per quasi tutto il film, e la regia si comporta bene soprattutto quando si trova a rappresentare la dimensione psicologia ed emotiva dei suoi personaggi. Purtroppo però una narrazione estremamente banale, una direzione incerta sui momenti di tensione più importanti, e un trattamento troppo superficiale del personaggio di Slender Man, forse chissà, magari davvero più adatto ad un mockumentary che ad un horror tradizionale, finiscono per svilire parecchio i pochi momenti brillanti di un film non pessimo, ma che sostanzialmente non lascia nulla allo spettatore. 

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!