Allo Smack! 2017, fiera del fumetto di Genova, Stay Nerd ha avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Simone Di Meo, giovane e abilissimo disegnatore e inchiostratore che può già vantare dalla sua già lavori con Sergio Bonelli Editore, Disney e… Titan Comics, nientemeno che sul Doctor Who! Vediamo com’è andata, nel resoconto della nostra intervista.
Simone di Meo, classe 1992, sei giovanissimo, eppure hai già un’esperienza invidiabile nel mondo del fumetto. Come nasce questa tua grande passione?
Giovanissimo? Ormai sono quasi venticinque quest’anno! Si inizia a invecchiare, piano piano. La passione per il fumetto ce l’ho sin da quando sono bambino. Ho imparato a leggere Topolino, per la nostra generazione è stato così. Adesso forse non più. Poi durante gli anni delle superiori non disegnavo più, ho seguito un altro percorso. Percorso che è ripreso alla fine di quegli anni, quando ho deciso di iscrivermi alla Scuola Internazionale di Comics di Torino. È diventata una passione forte solo negli ultimi anni, però trasformarla in un lavoro è stata molto dura
Quel momento fatidico in cui hai deciso di fare della tua passione un lavoro.
Sì, per la verità è stato abbastanza legato con la ripresa della lettura costante di fumetti con l’inizio della Scuola di Comics. Prima leggevo solo fumetti da “wannabe”, da appassionato. Iniziando a frequentare la scuola ti obblighi a leggere anche cose che non sei abituato a leggere. Ho scoperto così tanti ambiti ai quali non ero abituato che mi sono detto: “Questo è quello che voglio fare di lavoro”.
Ci hai appena parlato della tua esperienza alla Scuola Internazionale di Comics di Torino, dove hai collaborato con Joseph Viglioglia. Ed è lui che ti ha introdotto a Brendon.
Ho fatto i primi due numeri con Joseph. Brendon Speciale e Brendon 97. In quel momento Joseph non era ancora il mio insegnante, però ha deciso di prendere qualcuno per avere una mano dalla scuola. Io ero sempre stato attivo sui social e lui, vedendo i miei lavori, mi ha chiamato.
Comunque è stato importante iniziare a lavorare su un personaggio iconico come quello di Chiaverotti, una prova del fuoco.
È stato subito difficilissimo infatti. Il lavoro era molto duro e sono state tante pagine in un piccolissimo lasso di tempo. Ho imparato tantissimo da quella esperienza. Da lì mi sono reso conto della difficoltà nel creare i fumetti. Non è una cosa così semplice come si può pensare, è un lavoro veramente tosto.
Tu prima hai detto che la tua passione è nata anche grazie a Topolino. E tu hai una certa esperienza in Disney.
Certo! Io lavoro ancora con Topolino! Mensilmente sono il “ristrutturatore” delle cover del Megalmanacco. La mia esperienza Disney è iniziata quattro anni fa, come inchiostratore. Ho inchiostrato diversi autori come Soffritti, Nicolinio Picone, Stefano Zanchi. Grazie a questa esperienza ho capito di non avere propriamente un tratto Disney da disegnatore, così ho dirottato tutta la mia esperienza verso l’America. Con Disney rimane comunque questa collaborazione, perché gli voglio bene! È una passione che rimarrà per sempre.
Siamo giunti alla tua esperienza negli Stati Uniti. In un periodo in cui si vive una certa apertura nei confronti delle professionalità italiane legate al mondo del fumetto.
Assolutamente, assolutamente!
Cosa ci puoi raccontare di questa tua esperienza nella “Terra delle Opportunità”? Quale delle tue esperienze ritieni la più gratificante?
Negli USA ci sono tante case editrici. Tante, ma non così tante. C’è sempre opportunità per qualcuno bravo di trovare degli impieghi. Serve impegno, dedizione, costanza. Il lavoro più gratificante credo sia stato quello con Doctor Who, della Titan Comics, che in realtà è inglese ma distribuisce in America. Ho iniziato a lavorare con loro con Elena Casagrande, che era la disegnatrice ufficiale del Decimo Dottore. Mi ha introdotto come inchiostratore, per poi farmi prendere parte al disegno e farmi diventare copertinista per alcune delle testate. È stato molto bello, da fan sfegatato del Doctor Who!
Quanto è stato difficile approcciarsi a un personaggio del genere? È più la gioia di poter lavorare sul Dottore, da fan, o il peso di rendergli giustizia?
Naturalmente quando mi hanno proposto di fare la copertina del Dottore ero impazzito di gioia! Poi è subentrato il panico. Inizi a pensare: “se la faccia non esce come si deve? Mi uccidono!”. Io ho iniziato a lavorare sul Decimo e sull’Undicesimo, che sono due Dottori con la faccia particolarmente complicata. Tennant (#10) ha dei lineamenti difficili. Smith (#11) ce li ha difficilissimi! Quindi ti devi mettere lì e studiarli, prendere la mano con dei piccoli dettagli che ti aiutino a farli riconoscere. È stato molto difficile.
A questo punto è inevitabile farti una domanda “tecnica”. Come lavora Simone Di Meo?
Al 90% digitale! Per una questione di tempistiche. Ho iniziato a fare tutto inchiostrando a mano, cosa che faccio ancora perché ci sono certe cose, certe pagine che preferisco fare a mano. Però la maggior parte del mio lavoro attuale su Orfani è in digitale, perché è più semplice correggere. Se mi è facile correggere ho meno paura di sbagliare, che è una cosa che piano piano andrà scemando. Parto dal layout, facendo una bozza di matita digitale, poi inchiostro a mano, stampando i ciani delle matite digitali.
Siamo ormai ai saluti, ma prima due cose veloci: hai la possibilità di parlare a te stesso all’inizio della carriera. Cosa gli consiglieresti per migliorarla? E cosa consigli a un giovane che voglia intraprendere il tuo stesso percorso?
A me stesso direi solo “Continua così!”. Sono molto soddisfatto della mia strada fino a questo momento e non cambierei niente. Magari eviterei solo certi tipi di lavori e la difficoltà è che in questo lavoro le bollette vanno pagate. Io continuo a studiare e farlo quando si è sotto tante consegne diventa difficile, bisogna imparare a scegliere i lavori giusti. Ai ragazzi che si vogliono approcciare al mondo del fumetto consiglio di non avere paura di mostrare il proprio lavoro. Quando teniamo i nostri lavori nel cassetto non troveremo mai lavoro. Io mostravo sempre i lavori a tutti, anche a mia madre e a mia nonna. E tanto nonna mi ha sempre detto che i miei lavori gli facevano schifo… ed è una costante, sono contento che sia così! Quando mi dirà che sono belli sarà un problema! L’importante è farli vedere tantissimo, studiare tantissimo, lavorare tantissimo. Non si parla di due o tre ore a settimana, ma di dieci ore al giorno. Un po’ come a bottega nel Rinascimento.
Grazie a Simone per questa intervista a nome di tutta Stay Nerd!
Grazie a voi!