Energie rinnovabili, comunità post-capitalistiche, nuovi usi per vecchie infrastrutture: cos’è il solarpunk e perché ne abbiamo bisogno
Eccoci di nuovo – direte voi – dopo il cyberpunk e lo steampunk, sentivamo proprio il bisogno di qualcos’altropunk. Avete ragione; del resto però la letteratura è fatta di strutture ricorsive, frasi catchy che richiamano l’attenzione del lettore (di cosa parliamo quando parliamo di qualcosa, o il qualcosa ai tempi del coso, per fare due esempi tra i più abusati), suffissi che hanno proprio lo scopo di racchiudere in una sola parola un concetto più ampio, associandolo ad altri simili.
In quest’ottica, del solarpunk, avevamo proprio bisogno; lasciate che vi spieghi il motivo.
Che cos’è il solarpunk
Il solarpunk arriva in Italia grazie a Future Fiction: Solarpunk – come ho imparato ad amare il futuro è infatti la prima raccolta nella nostra lingua dedicata a questo sottogenere che nasce nelle community di Tumblr e vede un primo abbozzo di manifesto pubblicato già nel 2014 su Hieroglyph. Per presentare al meglio i quindici racconti raccolti, il volume si apre con un’introduzione di Fabio Fernandes – saggista e romanziere, nonché traduttore di opere come Neuromante e Ancillary Justice in portoghese e curatore di questa raccolta insieme a Francesco Verso – e un saggio Sulle dimensioni politiche del solarpunk, dello scrittore e teorico di narrativa speculativa Andrew Dana Hudson.
Secondo la definizione di Hudson, il solarpunk è uno sforzo collaborativo per immaginare e progettare un mondo di prosperità, pace, sostenibilità e bellezza, raggiungibile con ciò che abbiamo e da dove siamo adesso. Si tratta, ci tiene a specificare Fernandes, di una fantascienza ottimista senza essere ingenua. Non si tratta di mostrare una società composta da shiny happy people, ma da persone che si occupano del qui e ora e, di conseguenza, del futuro.
Il qui e ora sono conditio sine qua non della buona letteratura speculativa: pochi generi come questo permettono allo scrittore e al lettore di riflettere sul proprio presente e sull’immediato futuro della nostra specie e sebbene autori come Matteo Meschiari, che con la sua ultima opera propone un nuovo paradigma narrativo, vedano in questa sorta di ecofantascienza positiva che cerca soluzioni al collasso […] un tentativo nebuloso, i racconti di questa raccolta sembrano buttare giù le fondamenta di un movimento variegato ma concreto.
Antropocentrismo non più egocentrico
La narrazione solarpunk resta fortemente ancorata a quell’antropocentrismo da cui altri generi, come il weird, e altri autori, come Richard Powers con il suo Il sussurro del mondo, provano ad allontanarsi: i protagonisti dei racconti di questa raccolta sono esseri umani; non solo, sono esseri umani che fanno parte di comunità, sono meccanici, allevatrici di mucche, manutentori, entomologhe. Ognuno di questi personaggi si muove e interagisce in nuovi scenari sociali di collettività: addio eroe solingo e ramingo tra polverose strade post-apocalittiche e addio prescelto che deve salvare il mondo tutto da solo, il primo punto che definisce l’identità del solarpunk come genere è il senso di comunità.
Proprio per questo, nelle sue Notes toward a manifesto, Adam Flynn definisce il solarpunk una narrazione che cerca modi per rendere la vita più bella per noi in questo preciso momento e, ancora più importante, per le generazioni che verranno – per esempio, estendendo la durata della vita umana a livello di specie piuttosto che per singoli individui. Inutile aspirare all’esistenza transumanista, sembrano dirci gli autori di questi testi, quando una percentuale enorme della popolazione non può neanche sperare in un’esistenza decente per gli standard umani.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si riusa
Questo squilibrio tra il 99% degli abitanti della terra e l’1% che detiene la maggior parte della ricchezza del mondo è il motivo per cui il solarpunk si smarca sia dal modello capitalistico neoliberista che da quello del socialismo statale, offrendo nuove ipotesi di comunità solidali ed energeticamente sostenibili. Applicando la legge di Lavoisier all’urbanizzazione scellerata figlia del cyberpunk e del nostro presente, il secondo punto che determina l’estetica solarpunk è il riuso. È per questo che ci prendiamo cura delle cose, no? si domanda il guardiano del faro protagonista del racconto di Hudson, perché chi verrà dopo di noi possa scegliere che cosa farne. Lo potranno tirare giù, costruire qualcosa di loro. Però se facciamo bene il nostro lavoro potranno anche tenerlo, se vogliono.
In un momento storico in cui i limiti del riciclo sono sempre più evidenti, reduce e reuse diventano due verbi che, a differenza di leggere e amare, sopportano l’imperativo. Per questo motivo le comunità solarpunk hanno un’estetica composta da stili del passato, senza tuttavia cadere nella nostalgia irrealistica dello steampunk: sfruttare ciò che si ha e integrarlo con nuove tecnologie, piuttosto che radere al suolo intere infrastrutture e architetture per costruirne di nuove è un dono che l’umanità fa alla terra e a se stessa. Lontano dalla visione mainstream di futuri bianchi, puliti, ultralevigati, modernisti come iPod, il solarpunk è un futuro con una faccia umana e dello sporco dietro le orecchie.
Benvenuti nella resistenza, tra solarpunk e hopepunk
In che cosa consiste, allora, la ribellione di questi punk del sole? Dal punto di vista narrativo, il solarpunk si riappropria di storie piccole ma buone, in cui il conflitto – senza il quale non ci sarebbe storia – può essere un evento quotidiano, o il raggiungimento di un obiettivo e non necessariamente un conflitto di tipo violento. Il rapporto con la natura, che sia più o meno guarita o in via di guarigione dalle malattie dell’aria e del’acqua, è di rispetto e ciò a cui le comunità solarpunk sembrano ribellarsi è la mancanza di speranza, la perdita dell’utopia.
Per Václav Havel, ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo della Repubblica Ceca, la speranza non è affatto la stessa cosa dell’ottimismo. Non è la convinzione che qualcosa finirà bene, ma la certezza che qualcosa abbia senso indipendentemente da come finisce. Il solarpunk parla a tutti coloro che sperano in un futuro ed è strettamente interlacciato a un altro trend che è cresciuto negli ultimi anni e che va a riempire la nicchia opposta rispetto al grimdark: l’hopepunk si ritrova in tutte quelle narrazioni che riscoprono il valore dell’empatia, della cura, della gentilezza, della speranza.
Nuovi comandamenti per un nuovo futuro
Riproduciti, non uccidere, non attaccare, non sprecare, non desiderare il superfluo, vvi in armonia con la Terra, vivi in armonia con l’umanità, vivi in armonia con te stesso, aiuta il tuo prossimo, condividi. Questi i comandamenti laici della comunità immaginata da Romina Braggion nel suo esordio, La compagnia perfetta, un romanzo breve ambientato in una comunità montana che vive tra natura e tecnologia, sfruttando il meglio da entrambi i mondi. Il mondo immaginato tra queste pagine assomiglia molto a un’utopia miyazakesca, e proprio l’utopia è l’ultimo pilastro che sorregge il solarpunk: l’utopismo, ci dice Francesco Verso nella postfazione a Solarpunk – come ho imparato ad amare il futuro, è la linfa che alimenta il cambiamento, è la sabbia che si insinua negli ingranaggi dello status quo e, nel corso dei secoli, non ha mai smesso di inspirare persone e movimenti al fine di migliorare la condizione umana.
Se è vero, insomma, come sostiene il padre del cyberpunk William Gibson che il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito, il solarpunk può aiutarci a diffondere la speranza di un futuro utopico tra tutti gli uomini della terra. E in questo momento, di speranza, ne abbiamo bisogno più che mai.