Circa un mese fa è arrivata la notizia che la divisione californiana Sony Pictures della Sony era stata vittima di un attacco informatico potentissimo che aveva consentito l’accesso agli hackers a tutti i computer privati della compagnia, alle mail dei dipendenti e dei dirigenti, agli stipendi di tutti e soprattutto alle pellicole in corso di pubblicazione.
Diciamolo chiaramente: a parte l’entità dell’operazione, non è che la cosa abbia scatenato chissà quale putiferio – almeno all’inizio. Sony è sempre stata bersaglio degli hacker che, per usare un eufemismo, la ODIANO senza mezzi termini. La radice di quest’odio è stata la geniale mossa della casa giapponese di installare sui computer un software che evitava la copia dei cd, in un momento dove la pirateria musicale era enorme. Va da sé che non puoi mettere le mani nel software di un hacker e poi passarla liscia. Questi si ricordano di tutto e poi agiscono di conseguenza. Come se non bastasse, c’è stato anche il recente caso del ragazzo che aveva bucato la PS3 ed era stato ‘redarguito’ da Sony in maniera un bel po’ plateale. La reazione non si è fatta attendere, e sotto l’egida di Anonymous il PSN è stato buttato giù, con furto di password, manutenzione straordinaria e giramenti di palle annessi.
Con questo non vogliamo assolutamente giustificare gli attacchi nè i comportamenti illegalli, ma semplicemente dire che un attacco alla Sony ormai è cosa che non fa tanto scalpore: ci siamo abituati e anzi, se non accade almeno una volta ogni sei mesi, di solito chiamiamo a Tokyo per sapere se va tutto bene…
Questa storia però è diversa. E il marcio e le conseguenze sarebbero emerse da lì a qualche giorno.
Guardian of Peace
Il gruppo che ha rivendicato l’attacco è quello dei Guardian of Peace. Attenzione: non dovete confonderli con i Guardians of THE peace, un gruppo militare del Burundi fatto da veramente brutte persone che si divertono a calpestare i diritti umani. Nè tanto meno sono Jedi in versione mouse e tastiera (‘It is the year thirteen after the Treaty of Coruscant. Jedi are the Guardians of Peace in the Galaxy.’) Questi sono hacker, esseri umani dotati di enormi conoscenze informatiche riuniti in un gruppo con un suo manifesto e un proprio codice comportamentale.
La loro ultima gesta è stata quella di entrare nei server Sony e sputtanare tutto quello che hanno trovato (tranne una cosa). Si sono presentati nel migliore dei modi, minacciando fuoco e fiamme se le loro richieste non fossero state esaudite. Se vi state domandando quale fossero queste ‘richieste’, purtroppo non ci è dato saperlo. Sicuramente sono state oscurate e non rese note, ma sicuramente ci sono state. Sarebbe bello se un gruppo antagonista ricracckasse i server Sony per trovare queste richieste (magari un carico di PS4 con joypad e copie di Watchdogs) e le rendesse note… Staremo a vedere.
La Sony non ha minimamente seguito il consiglio, non ha pagato, non ha mandato carichi di PS4 (ma forse un paio di PS Vita mal funzionanti), perché subito sono stati rilasciati in rete un bel po’ di film non ancora distribuiti, tante email gossippettose (Angelina Jolie definita un’attrice da quattro soldi? E c’era davero bisogno di sottolinearlo? Tomb Raider l’abbiamo visto tutti…) e un bel po’ di cazzi altrui… Ma la storia ha ancora altro da offrire, molto altro…
The Interview
Da questo momento in poi le cose si sono fatte ancora più drammatiche per la comparsa di un particolare film, ancora non rilasciato in rete e neanche nei cinema. Si tratta di The Interview, una pellicola che doveva fare il debutto il giorno 25 dicembre in un’attesissima prima.
Il film narra le vicende di due giornalisti (James Franco e Seth Rogen) che ottengono il permesso di fare due chiacchiere amichevoli con il dittatore coreano Kim Jong-un. Peccato che la parte ‘amichevole’ non sia prevista dalla CIA che li assolda per uccidere il leader asiatico. L’atmosfera è quella di un action-comedy, demenziale, un po’ tipo Zohan, con un certo gusto per le situazioni limite e le battute a sfondo sessuale. E tutto questo lo si può desumere dal trailer.
Gli hacker hanno subito fatto capire quanto questo film non sia di loro gradimento ed è strano perché su IMDB il film ha già il 96% di recensioni positive su 2500. Il problema stava nel fatto che si menzionava proprio Kim Jongh-un all’interno di un piano per assassinarlo. Il messaggio del gruppo di sovversivi era chiaro, di quelli che effettivamente ti spaventano: ‘fatelo vedere nei cinema e noi li faremo saltare in aria. E anche le case vicine, per sicurezza…’
A questo si è aggiunto il commento calmo e misurato del vero leader nordcoreano: ‘È un atto di guerra verso la Corea del Nord.’ E siccome tutti noi sappiamo quanto sia incazzosa la Corea del Nord, una gelida goccia di sudore è corsa lungo la schiena dei capoccia mondiali.
Questo è stato il momento cruciale della vicenda. Si è venuto a creare il più pericoloso triangolo delle Bermuda politico che ci si potesse aspettare: Pyongyang incazzata come una biscia che minaccia fulmini e saette (e ha le bombe atomiche chiuse in grosso cassetto come tanti sogni da realizzare), i Guardian of Peace che minacciano di far saltare in aria cinema, case, stadi, qualunque cosa fissata al terreno e che contenga un po’ di cemento e la Sony mazzuoliata come si deve, non tanto pronta a combattere, che ha solo intenzione di minimizzare i danni.
Evoluzione di un disastro
Da questo momento in poi sappiamo per certo che Sony ha molto diplomaticamente affermato che lascerà ai cinema il veto sulla proiezione del film. Se le catene di sale riterranno opportuno mandare in onda James Franco, saranno ben libere di farlo ma sotto la loro responsabilità. Sappiamo come sta andando. In un momento in cui gli americani sono ancora ben scottati dalle vicende drammatiche dell’11 settembre, non c’è tanto bisogno di andarsele a cercare e per giunta per un film che non si preannuncia neanche come un capolavoro imprescindibile che uno deve vedere almeno una volta prima di morire…
Il discorso in questo caso si è spostato su temi importanti come la libertà di espressione e di parola, sul fatto che così facendo stanno vincendo questi terroristi da tastiera che la Corea del Nord non può influenzare quel che succede negli Stati Uniti. Certo dopo l’approvazione del loro Patriot Act lamentarsi in questi termini è un po’ fuori luogo, ma lasciamo stare che sono americani e non gli puoi togliere il baseball e gli hamburger… Ma d’altronde a distribuire il film sono delle aziende che hanno degli obblighi di sicurezza da rispettare e se per caso questo non accade chi ne paga le conseguenze (oltre alle vittime degli eventuali attentati) sono proprio i portafogli dei Capi delle suddette Major… E quando c’è di mezzo il soldo, non esiste nessun tipo di discorso etico politico sociale. Questo è noto.
Una volta assodato che non vedremo The interview al cinema (almeno adesso), si è passati alla fase di ricerca del responsabile. Il dito è stato puntato immediatamente contro il nostro amico dagli occhi a mandorla che ci guarda solenne da Pyongyang: Kim Jong-un. Tutto sembra puntare verso di lui. Innanzitutto l’unico film non rilasciato in rete è stato proprio quello che lo ritraeva in qualche modo. Il leader nordcoreano aveva già apertamente manifestato la sua avversione per la pellicola, definendola un atto di di terrorismo verso la sua nazione. La Corea del Nord ha alle spalle una storia di hacking ai danni della corea del Sud e degli Usa, attacchi di qualunque genere, come malware lanciati su 100.000 computer che avrebbero attivato un attacco DDOS verso un aeroporto, hacking di GPS durante esercitazioni militari congiunte USA-Corea del sud con instradamento dei mezzi verso altre destinazioni, attacchi al sistema informatico militare americano, blocco degli ATM. La corea del Nord ha una squadra elitaria di cervelloni chiama Unità 121, addestrati in Cina e Russia, che ha il compito di prepararsi e combattere una eventuale cyberwar. Da un disertore, sappiamo che esiste un albergo in Cina, di proprietà nordcoreana dove la maggior parte di questi attacchi vengono pianificati e lanciati.
Gli americani hanno iniziato un’investigazione a riguardo, ma ovviamente le prove sono insufficienti e la situazione è ancora molto fumosa. Alcuni esperti di sicurezza e conoscitori delle dinamiche di questi attacchi sostengono che sia meglio andare con i piedi di piombo prima di accusare apertamente un’altra nazione. Per diversi motivi: innanzitutto perché al di là di tutto la Corea del Nord si è dichiarata estranea a questa vicenda, anche se ammette che l’attacco è stato legittimo, visto il target. Inoltre, si è arrivati a individuare che i computer su cui era stato codificato il programma responsabile dell’attacco erano coreani: a parte che nella repubblica nord coreana non si parla il coreano classico ma un dialetto del luogo, davvero dobbiamo credere che un hacker che sta per creare un casino di queste proporzioni non modifichi immediatamente la lingua e la tracciabilità del proprio computer? A questo si aggiunge un altro tassello, e forse il più importante: le richieste e le minacce sul film di James Franco sono arrivate dopo che la Nord Corea è stata chiamata in causa, quasi come se i malfattori stessero prendendo la palla al balzo per spostare l’attenzione verso un altro possibile responsabile.
Per quanto la Corea del Nord resti un fortissimo sospettato, non bisogna tralasciare altre piste, come quella degli hacker amici e sostenitori di Kim Jong-un e nemici degli Americani, tra cui Russi o Cinesi. Quindi la responsabilità sarebbe NON DIRETTAMENTE coreana, neanche come mandanti, ma più che altro ci sarebbe una comunione di intenti in un’azione che farebbe buon gioco alla Repubblica Popolare. Tra l’altro i cinesi non sono neanche tanto nuovi a questo genere di attacchi e in più ne hanno tutti i mezzi e le conoscenze, anche più dei coreani stessi.
Altro scenario: semplicemente un gruppo di folli che vuole mettere su un po’ di denaro. Non abbiamo idea della richiesta fatta alla Sony, ma, se fosse una ingente somma di denaro, dopo i fatti accaduti in questi giorni, sarà sicuramente diventata una ingente marea di soldi…
Per ultimo, ma non meno importante: data la precisione dell’attacco, la crudeltà e l’entità del danno, potrebbe essere responsabile un impiegato, o un ex-impiegato molto scontento del suo rapporto di lavoro con il colosso giapponese.
Di tutto questo resta solo la certezza che ancora ci sarà da lavorare per scovare chi è stato a fare questo marasma e ancor di più scoprire le vere motivazioni dietro questo atto.
Le conseguenze del terrore
Ora, nell’attesa che le indagini arrivino a inchiodare qualcuno, dobbiamo fare i conti con quello che questa vicenda ci ha lasciato. Innanzitutto ci ha messo a disposizione un bel po’ di film da scaricare dai torrent (cinque per la precisione), giusto per farci sentire complici di questa ingloriosa situazione. A questo aggiungiamo un bel po’ di gossip e malelingue che ravvivano l’internet un giorno dopo l’altro, soprattutto perché hanno l’ambivalente capacità di svergognare il gossippato, la celebrità e contestualmente far apparire una merda il gossippante. Una cosa che ha sempre affascinato tutti i frequentatori di TMZ e company.
Accanto a queste facezie, esiste un discorso molto più serio e toccante: quello della sicurezza dei dati, che non tramonterà mai, fin quando ci saranno dei dati in giro da proteggere. L’attacco terroristico ai danni della Sony è un esempio splendido che qualcuno presto prenderà in prestito per dire: e se fosse successo alla rete di aeroporti? E se avessero dirottato i treni? E se avessero fatto smettere di funzionare i server di Candy Crush? E via dicendo. E il discorso purtroppo è giusto, anche se fa il gioco degli hacker: seminare la paura che tutto possa cadere come un castello di carte a causa di un nemico invisibile. È la strategia del terrore e potrebbe portare a conseguenze anche peggiori del Patrioct Act, se il prossimo a essere colpito è un’Istituzione e i prossimi a pagarne le conseguenze sono dei cittadini (americani o di altra nazione). Finora abbiamo avuto a che fare con la sofferenza di una Major spietata che sta sanguinando denaro da tutte le parti e sta cercando di correre ai ripari cercando di minimizzare i danni, allontanando The Interview dai cinema (e, si è saputo da poco, anche Team America).
E sinceramente comprendere questa scelta è anche facile e lo è ancor di più inquadrarla nelle logiche di mercato a cui la Sony e tutte le sue affiliate si devono rifare. Il problema è che le minacce ci sono state. E questo vuol dire che mandare in giro il film potrebbe scatenare qualche tafferuglio, forse davvero ci potrebbe scappare il morto o forse non accadrebbe niente e tutti uscirebbero dal cinema con due buoni motivi per essere incazzati (il film era medio e non è successo niente nel cinema). E voi, da bravi venditori di sogni, scommettereste tanto facilmente sulla seconda ipotesi? Vi mettereste così alla leggera in una posizione tanto scomoda e facilmente attaccabile? E per cosa?
Le Istituzioni Americane hanno effettivamente rilevato la presenza di una minaccia, un problema di sicurezza, ma non hanno menzionato il film incriminato, né hanno dato a Sony delle indicazioni circa il comportamento da seguire. Indubbiamente, ritirare il film è una ammissione di sconfitta (almeno da parte della Major) e da qualche parte qualche cretino armato di un buon codice sta gioendo davanti a questa decisione. Ma fino a che punto è stata una sconfitta di una Nazione? La Casa Bianca ha dichiarato di essere dalla parte degli artisti e la decisione di togliere dal commercio è solo ed esclusivamente appannaggio di Sony che è una compagnia privata che non ha grosso interesse a fare propria una lotta etica e morale, ma ha bisogno di mettere da parte i soldi per riparare i danni e le future cause che ne verranno. Quindi sarebbe opportuno non mischiare una questione nazionale come la sicurezza dei cittadini, la libertà di espressione e di parola con le scelte di un’industria perché le due cose non sono neanche tangenti, almeno non in questo caso. Almeno non ancora.