Il crepuscolo degli idoli
Il fumo di sigaretta che penetrava nei vergini alveoli polmonari di un ragazzino, gli afrori degli astanti che colpivano dritto al suo cervello, e quella fila di incomprensibili monoliti con uno schermo acceso (spesso sfarfallante) e pomelli quasi sempre unti al tatto. In questa insostenibile parafilia sull’eterno ritorno nietzschiano che sta annichilendo la pop culture de no’altri, mi lascio trasportare dal ricordo quasi trentenne di ciò che è stata la mia chiesa e la mia scuola per almeno il primo decennio della mia vita, prima dell’ineluttabile collasso: la sala giochi. Mi rendo conto però che con una descrizione come quella qui sopra i più giovani non possono che pensare all’orrore e alla mancanza di qualsivoglia contromisura igienica. E non avrebbero torto: era esattamente così, le sale giochi di provincia nelle quali bazzicavo erano (e sono, in quei rarissimi anfratti dello spazio/tempo dove ancora resistono) delle continuazioni svogliate e deformi di bar e locali di ogni forgia che decidevano di riempire con qualche cabinato lo spazio che andava dal bancone al cesso, prima dell’avvento schiacciante delle slot machine. Per dire quanto fosse uno spazio adulto, i cabinati avevano un simpatico portacenere incorporato.
Ma bastava superare la nebbia creata dal fumo passivo, per rendersi conto che le sale giochi italiane erano “il Dark Souls dei videogiochi”, per usare un tormentone abusato. All’apparenza punitive e aberranti, nascondevano una poesia e un che di enigmatico. Bastava infilare le 200 lire inizialmente, le 500 in seguito, a causa di un’inspiegabile rincaro e poggiare le mani sul controller del caso per volare lontano dalla bettola in cui ti trovavi, finire al volante di una Ferrari Testarossa spider con accanto una bionda ammiccante, ritrovarti a combattere contro velociraptor e teppisti a bordo di Cadillac o picchiarsi in squadre da tre con un energumeno con palla di ferro e un nanetto artigliato come compagni di rissa. La magia era tutta qui, nelle monetine perse nel pertugio difettoso del cassone, nell’atmosfera ben poco salubre. Tra la fine degli ’80 e l’inizio dei ’90 ci si ritrovava sempre tutti lì, dal marmocchio all’universitario scazzato che ti sfidava a partita in corso con Blanka, spammando la scossa. In un impeto di egoismo però si sentiva un languore: ciò che mancava di quegli stupendi titoli, che oggi sono entrati nell’Olimpo dei grandi classici del media, era l’appartenenza. Non potevo svegliarmi, magari in piena notte, per farmi una partita a Metal Slug. All’epoca per un ragazzino qual ero, anche soltanto pensare di acquistare un cabinato era un’azione tanto ardua quanto sconsiderata. La mancanza di tutorial e l’enorme dispendio di energie dei piccoli ma eroici sviluppatori nel creare qualcosa che emulasse le schede da sala portava al 99% alla decisione di lasciar perdere. Soprattutto se si scopriva necessario andare a cercare un nuovo sistema di emulazione per ogni titolo, se consideriamo come esistevano praticamente solo emulatori ad hoc che funzionavano con uno, forse due giochi massimo.
E badate, la quantità di copie di backup dei vari titoli abbondavano anche all’epoca, le cosiddette rom non mancavano sul web. Era il come farle girare il problema, un problema grosso. Si restava dunque sull’emulazione delle generazioni venute prima, che con un bel Commodore 64 ad esempio si facevano magie. Oppure ci si accontentava, per modo di dire, dei vari NES, SNES, Mega Drive, che presentavano spesso port downgradati o. peggio, amputati dei giochi da sala. Ancora, si era più abbienti e tecnici, spendendo barcate di soldi con il NeoGeo o facendosi arrivare d’importazione un bel Turbografx fiammante. Che è tutto bello per carità, ma ad Alien vs. Predator ci potevo giocare solo al baretto.
Così parlò Salmoria
È in questa situazione di stallo che alla vigilia del Natale del 1996 a Siena, un giovane decise di raccogliere tutti questi emulatori sulla rete per creare un sistema unico che riuscisse ad emulare più titoli da sala giochi possibili. Il ragazzo, Nicola Salmoria, pochi mesi dopo iniziò a lavorare al progetto del Multiple Arcade Machine Emulator. Diversi elementi vennero emulati dalla macchina, in modo da funzionare letteralmente come “traduttore” tra il programma di gioco (solitamente dei “dump”, copie di dati del gioco originale, estratte da cartucce, compact disc, cassette e altri supporti fisici) e il sistema operativo su cui il tutto poggiava. Nacque in questo modo il MAME (la pronuncia è quella italiana) come noi lo conosciamo, o quasi. Inizialmente funzionante tramite stringhe di codice DOS infatti, lo sviluppo del sistema ideato da Salmoria si arricchì sempre di più, con una versione dotata di interfaccia grafica per Windows, il MAME32, la possibilità di utilizzare cornici, filtri e grane video e soprattutto risoluzioni che richiamano quelle originali dei cabinati, oltre al supporto di svariate periferiche.
In breve tempo il potenziale del progetto fu dunque lampante per tutti i i tecnici del settore, tant’è che i piccoli sviluppatori che un tempo lavoravano frammentati per conto proprio per ideare nuovi sistemi di emulazione specifici per un titolo, concentrarono tutti i loro sforzi sul MAME, entrando a far parte della lunga lista di collaboratori che tutt’ora, più di vent’anni dopo e nonostante l’allontanamento di Salmoria dal progetto per dedicarsi ad altro, non accenna a dissolversi. Basti pensare che il progetto venne supportato persino durante il servizio di leva di Nicola, con un altro altro italiano a farne le veci, Mirko Buffoni.
Bisogna specificare però che, ben prima del MAME, l’emulazione dei videogiochi era qualcosa di già ben consolidato; il Commodore 64, come si diceva poco più sopra, era un esempio lampante. Dunque la domanda sorge spontanea: perché il MAME sarebbe diverso dagli altri emulatori? Cosa lo rende così importante? La risposta è intrinseca nel parco titoli emulabile: l’applicazione ad oggi consente l’emulazione di oltre diecimila titoli originali. La cifra aumenta esponenzialmente se consideriamo i cloni e le mod, in sostanza versioni dello stesso gioco che presentano modifiche dovute al mercato in cui sono uscite, censure di qualche tipo o persino modifiche al gameplay. In tal caso il numero raggiunge cifre da capogiro, arrivando ad oltre trentamila versioni giocabili. E il parco titoli contiene davvero di tutto, da capisaldi del videogame, a versioni embrionali di progetti, ad utility come synth e calcolatori digitali.
Questo rende il MAME un vero e proprio museo digitalizzato del videogioco (e non solo). È più o meno l’effetto che farebbe alla storia dell’umanità se esistesse un lunghissimo corridoio, nel quale trovare in teche di vetro Picasso, Euripide e Mozart con la possibilità di potersi fermare ad interagire con loro, il tutto dentro un’unico museo gratuito. Lungi da me affrontare il discorso dell’infrazione di copyright dovuto all’utilizzo di copie di giochi illegali (le ROM che si trovano in giro per l’internet, divenute di uso comune), tanto meno questo articolo vuol essere in qualche modo un’apologia alla pirateria. Ci tengo solo a far notare quanto sia importante che un progetto come il MAME sia stato in grado di racchiudere e preservare titoli che il passare del tempo avrebbe potuto far sparire dalla faccia della Terra, come fecero prima di loro le sale giochi in Italia: vuoi per insuccesso commerciale, vuoi per scarsa distribuzione. Il MAME li ha resi virtualmente immortali, con totale precisione. Pixel perfect, diremmo oggi. Stiamo parlando di un’Enciclopedia del Retrogaming quindi, se vogliamo trovare un riassunto lapidario di ciò che rappresenta tutto questo.
Al di là del bene e del MAME
Purtroppo un progetto come il MAME si porta dietro anche diverse polemiche e inesattezze, oltre all’accusa di essere ciò che traina il fenomeno della pirateria nell’emulazione. Partiamo ad esempio dalla storia che è circolata per decenni, nella quale si affermava che scaricare una ROM protetta e cancellarla entro 24 ore era in sostanza falsa. Non esiste nessuna legislazione che parla di questo e la notizia è tranquillamente considerabile come “bufala”, dunque attenzione; negli Stati Uniti invece, possedendo il titolo originale, è possibile creare una copia di backup del proprio software per uso personale, esclusivamente come copia secondaria d’archivio. Anche l’articolo 71-sexies della “Legge italiana sul diritto d’autore” regolamenta la copia personale e stabilisce che
“la persona fisica che abbia acquisito il possesso legittimo di esemplari dell’opera o del materiale protetto, ovvero vi abbia avuto accesso legittimo, possa effettuare una copia privata, anche solo analogica, per uso personale, a condizione che tale possibilità non sia in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera o degli altri materiali e non arrechi ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti”
Nel 2000, in seguito ad una causa portata avanti da Sony sulla Virtual Game Station (un emulatore della prima Playstation ad opera di Aaron Giles, che sarà uno dei coordinatore del MAME in seguito), la casa nipponica tentò di bloccare la vendita di altri software e, seppur non richiamando direttamente il MAME all’appello, perse la causa contro Giles.
Un altro tentativo palese nell’arginare l’emulazione, forse più riuscito, è quello di Nintendo (e non solo lei), nella proposizione delle console Mini: prima con la totale negazione del diritto di copia tramite comunicato dal sito ufficiale, poi con la messa in commercio di “pacchetti d’emulazione” a tutti gli effetti, dal prezzo contenuto e dotati di periferiche di buona qualità. E facendo un esempio lampante: lo SNES Mini è probabilmente l’unico baluardo di legalità se si vuol giocare al mai rilasciato Starfox 2, ma anche se si vuol risparmiare. Prendiamo come esempio Super Castlevania IV (presente nello Snes mini), che da poche decine può raggiungere anche diverse centinaia di dollari, a seconda della versione.
Ad ogni modo, controversie e polemiche a parte, ad oggi la comunità del MAME è più florida che mai, il sistema viene rinnovato costantemente, con l’aggiunta e il miglioramento certosino di tutti i suoi componenti. La distribuzione gratuita dello stesso è considerata legale in quasi tutti i paesi del globo terracqueo, Discorso differente lo fanno i BIOS e le ROM, che sono chiaramente protette da copyright. Diversi produttori hanno totalmente reso free le loro opere, facendole diventare dunque ROM legali per l’applicazione. Si va da un pacchetto della statunitense Exidy, che comprende giochi 8-bit che vanno dalla fine degli anni 70 a metà degli 80, allo sfortunatissimo Robby Roto della Midway, del 1981. Ma soprattutto il ben più famoso World Rally: Championship in visuale isometrica della Gaelco, classe 1993.