Piccole citazioni e analisi sul fenomeno Saitama

One Punch Man è una di quelle opere che o la ami o la odi. Nel periodo in cui scrivo questo speciale sta ottenendo un’attenzione non indifferente, anche grazie ad una recente trasposizione anime di tutto rispetto curata dalla Madhouse (rinomato studio d’animazione giapponese con un curriculum di tutto rispetto: da opere del calibro di Trigun, Death Note, alle trasposizioni animate di opere del maestro Kurosawa come Monster e Master Keaton e che vanta la produzione di tutte i film dell’ormai compianto Satoshi Kon). Ma è semplicemente il solito nuovo battle shonen che va di moda spinto dai media, un’opera demenziale senza capo né coda, o c’è anche qualcosa di più? Avviso che non sarà una recensione all’opera in sé questa, quanto piuttosto un viaggio sul modo in cui questo anime/manga non fa altro che costantemente demolire e destrutturare i cliché che decenni e decenni di shonen di combattimento hanno creato e solidificato, pur facendone parte in modo fresco ed intelligente citandone vari esponenti. Questo per avvisare che l’articolo può contenere SPOILER, anche se eviterò di entrare troppo nello specifico per i lettori che vorranno avvicinarsi alle vicende di Saitama e soci.

One Punch Man, la nascita

Molti di voi sapranno che l’opera nasce innanzitutto come webcomic nel 2009. One Punch Man (ワンパンマン, romanizzato in Wanpanman) è disegnato e sceneggiato dalla misteriosa figura di ONE, autore di cui si conosce davvero poco se non niente, con  uno stile forse non proprio adatto a tutti. Molto infantile nei tratti, che sembrano essere poco più che bozzetti preparatori. Il webcomic ottiene un certo rilievo su internet, finché non finisce agli occhi di Yusuke Murata, altro mangaka di rilievo, già designer della serie di videogame made in Capcom di Mega Man ed autore di quell’Eyeshield 21 pubblicato su Shonen Jump. Da qui lo stile di disegno subisce un vistoso restyle, che raggiunge livelli eccelsi nelle tavole, così vibranti di un maniacale dettaglio e piene di dinamismo da dar l’effetto in alcuni passaggi di guardare fotogrammi di un film in successione. Così l’opera diventa ciò che noi conosciamo oggi come “One Punch Man”.

Non solo citazionismo e fan-service

E già  qui possiamo trovare la prima citazione alla cultura dell’animazione orientale, una cosa che rivedremo più volte all’interno dell’opera. Sì, perché il titolo originale è “Wanpanman”, una citazione nemmeno troppo velata all’opera per bambini di Takashi Yanase, che s’intitola proprio Anpanman.

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La seconda citazione palese la possiamo trovare nell’aspetto e soprattutto nel costume di Anpanman, che altro non è che l’abito da supereroe di Saitama in One Punch Man, ma con i colori della calzamaglia e dei guanti invertiti. Ma attenzione attenzione, ecco subito un’altra citazione di Anpanman: il primo antagonista affrontato dal nostro pelato protagonista Saitama (che approfondiremo dopo) è un energumeno viola che si fa chiamare “Uomo Vaccino”. Ad un primo sguardo sembra essere nient’altro che un po’ di fan-service dedicato al personaggio di Piccolo/Junior e alla razza aliena dei Namecciani in Dragon Ball. E senza dubbio lo è, ma non solo almeno. L’antagonista di Anpanman si chiama invece Baikinman, letteralmente traducibile come “Uomo Virus”. E presenta le stesse caratteristiche del primo avversario nella serie di One Punch Man. Un’altra citazione abbastanza palese la possiamo trovare nell’anime, più precisamente allo scontro contro il gigantesco Carnage Kabuto. Il personaggio in sé ricorda in un certo senso quello di Birdie, della serie Street Fighter della Capcom. Inoltre durante la sua trasformazione il personaggio sembrerà assumere i colori tipici dello Eva 01 della serie di Neon Genesis Evangelion. Last but not least, in un frangente l’espressione di Saitama sembra essere un vero e proprio tributo al tratto e all’ombreggiatura di Tetsuo Hara, il disegnatore che assieme allo sceneggiatore Buronson diede vita un certo Hokuto no Ken, forse lo conoscete?

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Insomma tutte le citazioni che ho voluto raccogliere non sono lì per semplice curiosità, le ho raccolte perché sono la cosa che più fa trasparire la vera passione (per non dire amore) verso la storia e la tradizione dell’animazione giapponese, più nello specifico degli shonen, da parte di autori che sanno quello fanno e sanno come farlo. Ma tutto il citazionismo e il fan-service sono praticamente la semplice cornice di ciò che è davvero l’opera. One Punch Man è l’antistoria di un antieroe, è prendere la struttura classica dello shonen da Bildungsroman ed eliminarla totalmente. Se il cliché shonen canonico impone una crescita e formazione sia fisica che psicologica del personaggio che va di pari passo con il dipanarsi della trama, One Punch Man salta apparentemente a piè pari tutto. Saitama non ha bisogno di niente di tutto ciò, la storia inizia con il protagonista che è già l’essere più forte del mondo. Un suo semplice pugno è in grado di uccidere sul colpo qualsiasi antagonista gli si pari dinnanzi. E non soltanto è l’essere più forte probabilmente di tutta l’opera, ha anche raggiunto tale potere senza nessun assurdo allenamento, tecnica o trasformazione appariscente che gli shonen ci hanno abituato a vedere. Si è allenato, come potrebbe fare chiunque altro al mondo: addominali, flessioni e corsa, tutti i giorni. La semplice forza di volontà di un uomo qualunque. E tutto questo l’ha portato semplicemente a diventare calvo per lo sforzo, altra netto contrasto con il design classico di un protagonista che sfoggia sempre una capigliatura riconoscibile, iconica e spesso surreale.

One Punch Man

Persino la psicologia dello stesso è in contrapposizione: dove negli shonen il primo pensiero del personaggio principale è quello iperattivo di riuscire a diventare il migliore in modo corretto e leale, qui Saitama è talmente forte da essere entrato in uno stato di apatia perenne dovuto alla mancanza di avversari degni di affrontarlo. Passa le sue giornate a guardare la televisione, a leggere fumetti, a dormire. Esce giusto per fare la spesa o indossando il costume da supereroe. Perfino quella che potrebbe essere la più grande minaccia al pianeta viene vista come un semplice passatempo di routine, un hobby in attesa del prossimo avversario da abbattere svogliatamente con un pugno, quasi come se Saitama non fosse pienamente cosciente di essere spesso l’unica speranza per l’umanità. In realtà questa situazione come d’altronde tutto in One Punch Man, seppur apparentemente demenziale e fuori posto, ha un significato ben preciso e ponderato. La psicologia di Saitama riprende da vicino quella di un determinato tipo di persone in continua crescita, un preoccupante fenomeno sociale nato soprattutto dalla ferrea cultura del lavoro e della famiglia giapponese, dalla pressione esercitata dalla società, dall’ambiente sociale spesso non favorevole. L’hikikomori (in giapponese letteralmente “tirarsi in disparte”) è una vera e propria piaga che affligge gli adolescenti giapponesi (ma non solo). In sostanza si tratta di persone che perdono interesse nel mondo, si isolano restando chiusi in casa, incapaci di trovare/cercare un lavoro, di avere interessi sociali che non siano virtuali.

One Punch Man Speciale

Un’apatia generazionale frutto di una società di cui non si sentono parte e che non fa nulla per coinvolgerli. Problemi che lo stesso Saitama affronterà nella sua scalata per dimostrare di essere l’essere più forte del pianeta agli occhi di una società per cui combatte che inizialmente lo ignora, poi lo vede con diffidenza e distacco. Ed è qui che si scopre la vera anima di One Punch Man, quella vera: da soli non si arriva a niente, anche se si è il più forte del mondo. Perché alla fin fine, anche se fisicamente è già l’essere più forte, Saitama ha ancora un obiettivo che cerca di raggiungere, e non è il semplice trovare un avversario abbastanza potente come sembra: è essere un eroe amato davvero da tutti. Ed è forse questo che rende One Punch Man un’opera di tale successo: allontanarsi apparentemente dai canoni per poi riabbracciarli. Dietro avversari assurdi, scene demenziali e compagni di viaggio improbabili ma pur sempre necessari si nasconde l’allegoria della vita, fatta di una ricerca continua di sé stessi e del proprio posto nel mondo. E soprattutto che, quelli che sembrano essere mostri e calamità insormontabili ad una prima occhiata, possono essere spazzati via con la forza di volontà ed un semplice pugno.

Gianluca Boi
Recensore seriale, blogger, giocatore di ruolo decennale, hardcore gamer, groupie di Alan Moore. Amante dei Souls, di Castlevania e di Banjo-Kazooie e fanboy di Jet Set Radio. Ha visto Matrix almeno 42 volte, segue il wrestling ed è fissato con lo studio della musica tutta, con una piccola predilezione per gli Ulver, i Fair To Midland e le OST. Nasconde purtroppo un terribile segreto: non sa proprio come leggere gli orologi con le lancette (non scherzo).