Speravo de morì prima: ma ‘sta serie, ce serve o nun ce serve?
Faccio una doverosa premessa: per chi, come me, prova un amore viscerale per l’AS Roma e ancor di più per il Capitano, il simbolo, il giocatore più forte e rappresentativo di questa squadra, approcciarsi ad un qualsiasi prodotto per grande o piccolo schermo riguardante Francesco Totti è sempre un’esperienza particolare, dove alla componente analitica si aggiungono diversi fattori, più intimi, ma anche naturali pregiudizi e il timore che la storia venga distorta.
Il film diretto da Alex Infascelli fortunatamente è stato un lungometraggio interessante, coerente – seppur a suo modo eccessivamente pedissequo nella riproposizione del libro scritto da Totti e Paolo Condò – e soprattutto emozionante, anche per chi (come me) le lacrime le aveva già finite in quel Roma-Genoa del maggio 2017.
Ma ripetersi non è sempre facile, ed è anche per questo che alla notizia di una serie televisiva su Francesco Totti, il mio primo pensiero, per dirlo alla Verdone, è stato: ma ‘sta serie, ce serve o nun ce serve?
Con tutte le limitazioni imposte da un giudizio basato su due sole puntate, la risposta è no, nun ce serve.
È chiaro sin da subito che Speravo de morì prima ripercorre in linea di massima tutti i punti già affrontati in modo esaustivo dal libro e dal film, diventando ridondante con l’aggravante che stavolta non si tratta di un racconto narratoci direttamente dalla voce del Capitano, ma di un suo avatar peraltro non perfettamente somigliante, che proprio per questo è stato bersagliato di meme e paragonato a tutti, da Perin a Gyomber, tranne che a Totti.
La differenza tra realismo e macchiettismo
Eppure, parlando degli aspetti positivi, sono paradossalmente proprio gli attori a uscirne quasi illesi. Pietro Castellitto non sarà mai il clone di Totti, ma ha fatto un lavoro incredibile per calarsi nei leggendari panni del Capitano, ricordandolo nella voce, nei gesti, nei modi in cui si mordicchia le dita e nelle espressioni del volto soprattutto quando è in leggero imbarazzo. Altra grande prova attoriale è quella di Greta Scarano che interpreta Ilary Blasi: qui c’è una maggiore somiglianza a livello estetico, ma se chiudiamo gli occhi in alcuni momenti riusciamo quasi a percepirne la voce. Chapeau.
In generale comunque tutto il cast artistico merita applausi. Da Enzo Colangeli, l’attore ideale per calarsi nei panni del compianto “Sceriffo” Enzo Totti, a Monica Guerritore in quelli di Mamma Fiorella, al bambino che interpreta Christian. E infine Gianmarco Tognazzi, un Luciano Spalletti impeccabile nell’aspetto, nei movimenti, nel modo di parlare. Anche troppo.
Già, il vero problema di Speravo de morì prima è proprio l’eccessivo realismo, questa necessità del regista Luca Ribuoli di rendere troppo credibili e il più possibile uguali ai loro corrispettivi i protagonisti della serie, generando invece l’effetto contrario e donando allo show un aspetto caricaturale, quasi macchiettistico e di conseguenza ingeneroso verso Francesco Totti.
Con tutta la buona volontà, non riesco a capire cosa abbia spinto Totti ad avallare un prodotto simile che non gli rende giustizia e quasi lo ridicolizza, sminuendo quanto di importante ha fatto in carriera con la maglia della Roma e della Nazionale.
Al di là dei plausi al cast artistico, in sostanza, questi primi due episodi ci lasciano ben poco di positivo in questo sviluppo dalle tonalità trash che ha già fatto imbestialire molti romanisti e amanti del calcio. Anche perché, come detto in apertura, negli ultimi anni del racconto della vita di Francesco Totti ne avevamo già fatto una ricca scorpacciata. Se proprio si sentiva la necessità di narrare ancora le vicende del Capitano ci si sarebbe dovuti concentrare su altri temi, andando più sullo specifico e meno nel generale.
Probabilmente per chi non conosce a fondo la storia di Totti, non ha letto il libro scritto con Condò e non ha avuto modo di vedere il film di Infascelli (che, a proposito, è sempre su Sky), Speravo de morì prima può rappresentare anche un buon prodotto di intrattenimento, una serie leggera e divertente che tutto sommato funziona grazie alla struttura con i vari flashback, che ne favoriscono il ritmo, ma per tutti gli altri questi primi due episodi rappresentano un trionfo del grottesco di cui non sentivamo affatto il bisogno.
Per chi ama il Capitano e ama la Roma, l’unica cosa da fare dopo i primi 80 minuti di questa serie è riguardare immediatamente il film Mi chiamo Francesco Totti o, meglio ancora, rifarsi gli occhi su Youtube con qualche video con le giocate del campione romano.
A Capità, ma chi te l’ha fatto fa’…