Overwatch 2 è per il gioco Blizzard quello che Guardiola è stato per il calcio moderno
a gente, per fortuna, ama parlare anche di ciò che non conosce. Lo fa perché sente in qualche modo di avere il diritto di esprimersi su qualcosa che, se capita nelle loro bacheche o sui canali televisivi frequentati, fa in effetti parte di quel terribile e splendido discorso che chiamiamo società. Purtroppo, chi dovrebbe rendere più ricco e complesso questo discorso sfrutta questa bellissima tendenza umana per trarne profitto, indebolendo le risorse che le persone dovrebbero possedere per orientarsi nel rumore dei media moderni. Questo accade anche nei contesti che riteniamo meno “importanti”: per esempio, diffondere l’idea che vincere non sia importante, ma l’unica cosa che conta, supporta un modo di vedere il mondo che ha ripercussioni sul sociale, il politico, il culturale. Ed ecco quindi perché oggi vi spiegherò Overwatch 2, con le sue fondamentali e strutturali differenze con Overwatch, affidandomi a uno dei temi più dibattuti e mal compresi della contemporaneità: i risultatisti contro i belgiochisti, ossia i guardioliani contro i mourinhani.
Fermo subito gli adepti dell’horto muso: no, non è Allegri il simbolo del risultato a tutti i costi; al massimo, ne è l’esponente di maggior spicco in Italia. So anche che non è stato Guardiola a ideare i principi alla base del suo calcio: altri nomi, spesso meno altisonanti, hanno concepito modi alternativi di pensare il Futbol. Ma abbiamo costruito un mondo che ascolta le nuove idee solo dopo che queste hanno avuto già successo, e Pep le ha rese immensamente vincenti. E dunque parlo di loro perché, a livello europeo, da quasi 15 anni i punti di riferimento sul tema sono quasi sempre stati Mourinho e Guardiola: il primo perché sostenitore di un calcio che si può sintetizzare con “mettiamo Eto’o terzino”, l’altro con “proviamo Cancelo trequartista”. Nei videogiochi, e quindi anche in Overwatch e Overwatch 2, il “risultatismo” è spesso il prodotto dello studio del “meta”, ossia dell’analisi di quale formazione, arma, setup o tattica convenga usare per massimizzare le statistiche e il level design del gioco in esame.
In entrambi i capitoli, il meta è stato (ed è) il prodotto combinato non solo delle intenzioni degli sviluppatori, ma anche delle riletture che la community ha fatto (e fa) delle disponibilità del gioco: se chi produce Overwatch vuole che si sia liberi di sperimentare con tutti i personaggi, chi gioca ottimizza le risorse a disposizione riutilizzando sempre Winston o Reaper, perché in quel periodo sono decisamente più forti degli altri. Overwatch nacque con l’obiettivo di creare un sistema iper-dinamico e libero all’interno di un cosiddetto hero shooter, ossia uno sparatutto (dove con molti personaggi, in realtà, non spari) basato non solo sull’abilità di mira, ma anche (soprattutto) sulla capacità di costruire squadre, fare “counter picking”, studiare i livelli.
Tutto questo è effettivamente successo, ma si è anche associato a una fortissima analisi tattica e strategica del gioco, che storicamente si è tradotta con dei meta statici, duraturi e granitici: l’esempio più lampante e odiato è stata senza dubbio la cosiddetta “GOAT”, la composizione che per un anno e mezzo (su sei anni di storia) ha dominato non solo il campionato professionistico di Overwatch, ma anche i livelli competitivi che andavano dal “diamante alto” al Top 500. Così come l’iniziale uso di due Winston obbligò gli sviluppatori a bloccare l’uso dello stesso personaggio per più di un membro del team, così la GOAT costrinse Blizzard a imporre il 2-2-2, ossia l’uso obbligatorio di due tank, due supporti e due eroi offensivi.
Il periodo GOAT venne seguito dal cosiddetto “double shield“, ossia l’uso degli scudi dei due tank Orisa e Sigma, che dovevano coordinarsi per alternarli e creare quello che sostanzialmente era un muro aggiuntivo rispetto a quelli già esistenti nella mappa. Quel tipo di gioco ricorda molto da vicino la “negative tactic” mourinhana, ossia quell’approccio al calcio che piuttosto che esaltare le qualità del singolo/gruppo nel giocare a calcio, cerca di negare le abilità dell’avversario, strozzando il gioco dentro schemi rigidi e ripetitivi. La sensazione (soprattutto di DPS e supporti) di non poter fare quasi nulla di impattante era dominante, e i momenti veramente importanti della partita erano quelli durante i quali il team avversario sbagliava una sovrapposizione di scudi o una combo di ultimate, e solo in quei frangenti si poteva effettivamente far girare la sorte del match.
In sostanza, il principio de “difesa arcigna e contropiede”, che spesso ha superficialmente connotato nel pubblico le squadre di Mourinho, ha rappresentato la quasi totalità della scena competitiva di Overwatch, sia quella professionale che quella dilettantistica. Al contrario, il ridimensionamento a un solo tank (si gioca in 5 vs 5 e non 6 vs 6) e la rimozione della modalità “due punti di controllo” (che rendeva il singolo errore immensamente più rilevante della qualità complessiva del gioco) hanno reso Overwatch 2 decisamente più stimolante, dal punto di vista della qualità dei singoli e della capacità (di tutti) di avere impatto in ogni secondo della partita.
All’interno della metafora, il filtrante di Iniesta o KDB adesso ha la possibilità di essere espresso, proprio perché le difese avversarie non possono (o possono di meno) compattarsi per occupare tutti gli spazi, ma devono giocare a viso aperto ed esprimere una loro visione di cal…ehm, Overwatch 2. Questa riflessione mi permette ora di rispondere non tanto ai soggetti citati a inizio articolo, ossia gli “esterni” che di Overwatch hanno sempre solo sentito parlare, ma alla community. All’annuncio di Overwatch 2, l’imperativo categorico di tutti i giocatori (compreso il sottoscritto) era quello di controllare sin da subito quanto la rimozione del tank andasse ad agevolare la vita di quelli che, senza particolare visione di gioco o analisi delle partite, riescono a vincere grazie alla pura abilità con mouse (o pad).
Questo perché Overwatch ha sempre occupato una posizione intermedia tra il puro FPS competitivo e il MOBA: è un hero shooter dove più si alza il livello, più tattica e abilità meccanica devono evolversi di pari passo. Il grande timore della community era dunque quello di ritrovarsi di fronte a un nuovo FPS dove, a fronte di scelte strategiche e tattiche più oculate, la capacità dell’avversario con mouse e tastiera avrebbe preso comunque il sopravvento. Per fortuna, non è stato così. Nelle numerose recensioni che ho letto, questa percezione non è però confermata: c’è chi si lamenta affermando che il gioco sia diventato una sorta di Counter Strike, e chi invece si diverte senza doversi finalmente preoccupare dei 1700 tipi di “counter” presenti.
Il perché di queste molteplici esperienze contraddittorie è solo uno, semplice e duro da accettare: l’abilità (sia meccanica che tattica). Nessuno di noi si sognerebbe mai di criticare nostro cugino per la sua incapacità di offrire dei filtranti paragonabili a quelli di KDB, ma chiunque è pronto a dimostrare che la sua lettura del game design di Overwatch 2 sia quella intorno alla quale andrebbe ripensato l’intero pacchetto di personaggi. Personalmente, non credo che tutti i videogiochi esistenti debbano per forza aumentare a dismisura il loro bacino d’utenza, a scapito dei principi di design sui quali sono stati ideati: il fatto che tra noi “argenti” (l’argento è una delle leghe di classificazione di Overwatch) non si riesca a uccidere un Bastion coperto da scudo non implica che il personaggio sia “troppo forte”, ma che forse dobbiamo aumentare le nostre conoscenze e abilità del gioco.
Per valutare l’impatto della rimozione del tank bisogna dunque considerare i livelli più alti del gioco, quelli dal diamante in su, per comprendere se effettivamente tattica e strategia siano state rimosse. Prevedibilmente, non è stato così. Quello che si è verificato è proprio quel che si diceva in apertura: non bisogna più sfruttare i 10 secondi disponibili nei 3 minuti di fuoco incrociato per aver un impatto individuale, ma costantemente coordinarsi con i compagni per ottenere la vittoria. Questo, ovviamente, non si traduce mica in un gioco per tutti, dato che nelle centinaia di ore dedicate a Overwatch 2 io e il mio team (sia su console che su PC) abbiamo incontrato gli stessi problemi di sempre: i compagni che non aspettano per riunirsi ma vanno da soli; i “one trick” (persone che usano solo un personaggio) che rendono impossibile fare counterpicking (cioè selezionare un personaggio che è forte contro quello avversario); dimenticare di contestare il punto (producendo numerosi C9).
Come il calcio, Overwatch 2 non ha “perso la sua identità”, ma si è evoluto in una forma nuova, diversa, capace di esaltare tutti i membri che compongono le sue squadre. Questi soggetti possono essere i KDB del videogioco, o i poveri disperati come il sottoscritto: lo sport è lo stesso, ma l’attitudine, la pazienza e l’abilità variano drasticamente. Al contrario del calcetto, la partita a Overwatch 2 del giovedì sera non è detto che sia organizzata con soli amici e conoscenti: lì si trova la più grande differenza, lì il più grande limite di un gioco che, altrimenti, sa spingere i concetti di coordinazione e collaborazione verso limiti molto, molto alti.
I principi del “positional play“, alla base della filosofia di Guardiola, sono d’altronde semplici ma di difficilissima attuazione: “chi gioca deve acquisire un quasi automatico senso del dove e quando essere in relazione a dove si sta giocando, dove si trova la palla e dove si trovano i compagni”. Tutto questo, che appare quasi fantascienza alle orecchie del giocatore medio di Overwatch, si dimostra invece un valido strumento d’analisi anche in relazione alle partite di Overwatch 2 dei livelli più alti, a ulteriore conferma della qualità strutturale del suo game design, spesso limitato solo dal tempo che a esso si può dedicare.
Nonostante il mio interismo, il calcio di Pep mi conquistò sin da subito: era raro vedere il “bello”, in quel mondo fatto di arcigne ginocchiate e infantili offese alle madri. Sono sicuro che quest’ultime rimarranno, nelle chat di Overwatch 2, ma le vecchie e snervanti battaglie hanno dovuto lasciare il posto al bello. Almeno per ora…