Lo Spietato e la Milano da bere. Tra bella vita e criminalità
Chi ha una discreta conoscenza del cinema italiano non può non abbinare immediatamente il nome di Renato De Maria ad un film in particolare: Paz!
Fu infatti proprio quella singolare commedia del 2002, con Claudio Santamaria e Max Mazzotta, a farlo conoscere al grande pubblico e anche alla critica, che gli riconobbe i meriti e ben 5 Nastri d’Argento, per un lungometraggio ispirato alle opere del compianto fumettista Andrea Pazienza.
Dopo Paz! De Maria alternò produzioni per il grande e il piccolo schermo, lavorando con la moglie Isabella Ferrari in Amatemi e dirigendo Giovanna Mezzogiorno e Riccardo Scamarcio in La prima linea, opera tratta dal libro autobiografico del terrorista di Prima Linea Sergio Segio.
E adesso rieccolo, a coordinare nuovamente Scamarcio che veste ancora i panni di un criminale ne Lo Spietato, film disponibile su Netflix dal 19 maggio.
L’attore qui interpreta Santo Russo, ma la pellicola è ispirata a Manager Calibro 9, romanzo di Pietro Colaprico e Luca Fazzo sulla vita del superpentito Saverio Morabito e ci catapulta negli anni ’70 e ’80 della Milano da bere, quella dove vinceva chi aveva più sete di potere.
Lo Spietato: Il poliziottesco anni ’70 e i tanti riferimenti
Lo Spietato è infatti un chiaro atto di ossequio nei confronti di un genere cinematografico proprio in voga in quegli anni, quel poliziettesco anni ’70 che ha segnato un’epoca e che in Italia identifichiamo immediatamente con personaggi come il Commissario Betti e la sua trilogia (Roma violenta, Napoli violenta e Italia a mano armata), impersonato da Maurizio Merli, protagonista poi in tantissimi altri film di genere, ma anche Tomas Milian, nei tanti film di Lenzi e di Corbucci.
Potremmo citarne tanti di riferimenti, cinematografici e non solo, di un periodo a cui Lo Spietato ammicca non solo nelle tematiche ma anche nel suo non prendersi del tutto sul serio, con una regia che gioca con l’estetica, tra bolidi fiammanti e particolari scelte stilistiche, e con la volontà di utilizzare (forse anche eccessivamente) la voce narrante del protagonista, che smorza spesso la tensione e aiuta a collegare le parti.
Ne Lo Spietato ci sono tutti gli elementi di quella Milano degli anni ’70 e ’80. C’è la bella vita, l’ostentazione del benessere, ci sono i soldi facili, e soprattutto un protagonista che si inserisce agilmente in un contesto dove sembra bastare essere spietati, appunto, per farsi strada. In questo Scamarcio fa centro, grazie ad un’interpretazione convincente che ben si sposa con la palese volontà di De Maria di utilizzare un registro a tratti macchiettistico, restando comunque nei confini dell’omaggio, senza sfociare mai nel ridicolo, e utilizzando anzi la violenza quando ce n’è bisogno, in un perfetto incastro di alternanze.
A far questo lo aiuta senza dubbio un comparto tecnico più che all’altezza, a partire dal montaggio serrato ed incalzante di Clelio Benevento, passando per le accurate e dettagliate scenografie di Giada Esposito, per finire con la fotografia desaturata di Gian Filippo Corticelli (uomo di fiducia di De Maria, ma anche di Ozpetek), perfettamente congeniale per un racconto di quell’epoca.
Senza dimenticare poi la stupefacente colonna sonora di Riccardo Sinigallia ed Emiliano Di Meo.
Lo Spietato: De Maria torna indietro per prendere la rincorsa
L’anello debole della catena è invece lo script di De Maria & co., un po’ troppo lineare e prevedibile nella sua evoluzione, complice anche un salto temporale di molti anni che ci lascia da subito intuire l’andamento delle cose. Ma del resto l’obiettivo del regista era un altro, ovvero raccontarci l’evoluzione del suo personaggio come simbolo di un periodo storico, omaggiando al contempo un genere evidentemente amato dallo stesso De Maria.
Non è certo un caso che sia lo stesso regista della prima stagione di Distretto di Polizia, uno dei migliori prodotti televisivi italiani di genere negli ultimi vent’anni, e che oltre al già citato La Prima Linea ha scavato negli ambienti della criminalità organizzata con l’opera precedente a Lo Spietato, il documentario Italian Gangsters.
In definitiva, pur con qualche piccola imperfezione, questo film risulta godibile e ben ponderato, e ciò non fa altro che avvalorare le nostri considerazioni verso un regista che ama profondamente il proprio lavoro e che realizza un film quando ne sente veramente la necessità, e non tanto per farlo e sbigliettare al box office.
“Mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa”, diceva Andrea Pazienza, e lo citava così De Maria in una scritta sul muro nel suo Paz!. Qui il regista torna indietro, ad un’epoca e un cinema passato, ma che vuole raccontarci a modo suo.
E in Italia, di questi tempi, non è affatto cosa da poco. Ça va sans dire.