Si sta un po’ stretti, tutti qui dentro…
Shyamalan si è negli anni ritagliato il suo ruolo nell’industria del cinema horror. Dopo diversi successi, ultimamente la produzione del regista stava accusando una fase di flessione qualitativa, che potremmo anche ritenere fisiologica, dopo più di venti anni di carriera. A due rivoluzioni terrestri dall’ultimo film, torna ora sui grandi schermi con Split, un thriller con derive horror molto buono per il 90% della durata che purtroppo nelle ultime battute scivola un po’, perdendosi in soluzioni che fanno alzare il proverbiale sopracciglio allo spettatore. Ma stiamo correndo troppo, iniziamo dal principio e vediamo che storia ci racconta il regista indiano questa volta!
Split si apre con Casey, Karen e Macia, alla festa di compleanno proprio di Karen. Terminate le celebrazioni il padre della festeggiata, che avrebbe dovuto riaccompagnare solo la figlia e Macia a casa, si trova a dover portare indietro pure Casey, che i genitori non riescono a raggiungere, l’emarginata della classe di arte. Escono dal locale, le ragazze salgono in macchina e il padre carica nel bagagliaio i vari pacchi colmi di regali. Poi un tonfo, la portiera si apre ed entra al posto del genitore di Karen uno sconosciuto, che con inquietante calma sistema la macchina mentre le ragazze dietro non si accorgono dello scambio di persona. Casey è paralizzata dalla paura. L’inquietante uomo narcotizza le tre e parte. Le ragazze si sveglieranno successivamente in una stanza senza finestre, costruita in un seminterrato labirintico. Al risveglio l’uomo, evidentemente affetto da un disturbo ossessivo compulsivo, apre la porta, parla loro e le richiude dentro. Egli è solo una delle 23 personalità che abitano quel corpo, e lentamente faremo conoscenza di alcune delle altre, mentre alle ragazze viene preannunciato l’arrivo di una non meglio precisata Bestia.
Non vi racconteremo altro della storia per non farvi spoiler, ma sappiate che in fondo non ci sono eventi particolari a mischiare le carte in tavola, e la narrazione ruota tutta attorno alle interazioni tra le varie personalità di Kevin, ai tentativi delle ragazze di darsi alla fuga, e soprattutto agli studi della psicologa del nostro simpatico rapitore, che ritiene che la mente abbia un controllo assoluto sul corpo e cerca di studiare questo particolare caso in cui ben 23 persone convivono dentro Kevin. Macia e Karen hanno invero un ruolo piuttosto marginale nell’economia del film, di fatto tenuto in piedi principalmente da Kevin e Casey, due personaggi complessivamente ben realizzati, con un carattere costruito sui rispettivi traumi infantili che rivivremo nelle circa due ore di pellicola. Quello che un po’ turba del background di questi due personaggi è la mano pesante con cui il regista li ha costruiti, risultando alla fine in drammoni così eccessivi e forzati che l’animazione giapponese degli anni ’70 a confronto era una puntata dei Teletubbies.
Questa però non è la più grave delle esagerazioni del film, quanto piuttosto la deriva horror che il film prende nelle ultime battute. Shyamalan riesce a rimanere per la maggior parte del film in bilico tra scienza e pseudoscienza, grazie alle conclusioni che la psicologa deriva dai suoi studi un po’ sopra le righe ma comunque accettabili. Non ci troviamo, in fondo, di fronte ad un trattato scientifico. Sta lì, in equilibrio, accarezzando la tentazione di calcare la mano, riuscendo però tenere in piedi un ottimo thriller, dal ritmo costante, credibile nelle soluzioni che le ragazzine adottano per tentare di fuggire quanto nelle forze e debolezze del (o dei) villain di turno, un umano disturbato e manipolabile a seconda della personalità che in quel momento le tre si trovano di fronte. Le ragazze sono intelligenti, lui anche, e i dialoghi rendono benissimo il senso di lotta innanzitutto psicologica. Poi la situazione sfugge evidentemente di mano, nelle battute conclusive, mandando un po’ a bagno quanto di buono si era costruito fino a quel punto. Ma è un problema puramente narrativo, perché la tensione riesce a rimanere al suo posto e lo spettatore continua a stare sulle spine, fare il tifo e dare suggerimenti agli attori su come uscire incolumi dalle situazioni. Tanto non ci sentono.
Sono peccati veniali, certamente, ma è comunque spiacevole vedere qualcosa che poteva mirare più in alto perdersi in un bicchiere d’acqua, immotivatamente. Alla grande tensione che il film sa regalare infatti si sommano tante altre note positive, prime tra tutte le interpretazioni di Anya Taylor-Joy nei panni di Casey, sempre molto brava e convincente, cui segue Betty Buckley nei panni della psicologa, risoluta donna single in età oramai avanzata, con un’interpretazione estremamente espressiva grazie alla quale riusciamo a leggere le intenzioni della dottoressa mentre cerca di analizzare il rapitore, grazie alla sola mimica facciale. La parte del leone però spetta chiaramente a James McAvoy nei panni di Kevin: nonostante qualche breve momento in cui l’interpretazione risulta un tantino forzata, l’attore riesce brillantemente a interpretare le diverse personalità dell’antiprotagonista, a volte anche passando in corsa dall’una all’altra. Chiude il quadro una regia di ottima fattura, con alcuni momenti in cui Shyamalan riesce a costruire scene particolari con soluzioni intelligenti. L’obiettivo di aumentare la tensione, è decisamente riuscito.