Squid Game è la nuova serie coreana targata Netflix, tutta giochi e sangue
Non è un segreto che l’idea del gioco a eliminazione solletichi non poco l’immaginazione di registi, sceneggiatori e fumettisti asiatici. Qualche mese fa abbiamo parlato di Alice in Borderland, trasposizione di un manga giapponese in cui dei ragazzi si sottopongono a prove sempre più brutali per sopravvivere e vedere cosa li aspetta nel futuro. Squid Game su Netflix è molto simile, almeno per quanto riguarda l’utilizzo del meccanismo narrativo del gioco a eliminazione, ma conserva comunque una sua certa cifra di originalità. Andiamo a scoprirla più da vicino e, già che ci siamo, vediamo anche perché dovreste darle una chance.
Squid Game su Netflix: un gioco al massacro
Quando si sceglie un gioco a eliminazione come centro per la propria storia, bisogna accertarsi prima di tutto che sia avvincente, sia nella struttura che soprattutto nella posta in gioco. Squid Game su Netflix prende tutto questo alla lettera e cerca di differenziarsi dai classici del genere e anche dai più recenti predecessori. I concorrenti, infatti, sono reclutati su base volontaria da un misterioso rappresentante, il quale lascia alle persone selezionate il biglietto da visita dopo uno strano rituale: gioca con loro, perde e gli dona un piccolo premio in denaro. Perché questo bizzarro sistema abbia successo, ovviamente, le “prede” devono corrispondere a una certa tipologia, nella fattispecie scommettitori patologici, il più delle volte sommersi dai debiti con le banche e gli strozzini.
L’adescamento su base volontaria e la promessa di una grossa somma di denaro come premio avvicinano Squid Game a Duds Hunt, uno dei lavori più riusciti di Tetsuya Tsutsui, di cui abbiamo già parlato qui su Stay Nerd.
Per il resto il gioco a eliminazione di Squid Game segue la falsariga dei tanti altri che abbiamo già visto in passato. Composto di sei manche, ciascuna corrispondente a un gioco da bambini (il primo è “Un, due, tre, stella”), esso screma man mano i suoi concorrenti: chi perde muore. Il montepremi, che spetta al solo vincitore, è determinato dalla morte dei suoi avversari, precisamente 100.000 Won (circa 72 Euro) per ogni cadavere.
L’aspetto più interessante di questo gioco al massacro è forse la terza clausola del suo regolamento, che recita: “Se la maggioranza dei concorrenti decide di concludere il gioco, esso si conclude”. Nel primo episodio, dopo la morte di 255 persone durante “Un, due, tre, stella”, molti sembrano voler lasciare la competizione. Non tardano a cambiare idea, però, quando dal soffitto scende un gigantesco salvadanaio pieno del denaro generato dall’eliminazione dei caduti. Questa scena è importante sia perché svela la vera natura degli esseri umani, sia perché dà la sensazione che il gioco stia giocando con la dipendenza da gioco dei suoi concorrenti.
Squid Game su Netflix e gli archetipi della narrazione coreana
Squid Game non è una serie che brilla per originalità: il meccanismo narrativo del gioco a eliminazione è sempre più frequente nelle storie che arrivano dall’Oriente, così come le sue dinamiche che riportano l’uomo a un brutale stato di natura di hobbesiana memoria. La nuova fatica Netflix, però, si differenzia dalle opere principali del filone in alcuni dettagli, come la peculiare scelta del protagonista e dei concorrenti in generale. In Alice in Borderland, ma anche in classici manga come Osama Game o As The Gods Will, troviamo sempre adolescenti, al massimo liceali. Persone che hanno ancora tutta la vita davanti, che improvvisamente si ritrovano a morire una dopo l’altra. Il protagonista di Squid Game, invece, è un uomo di mezza età che ha buttato via tutto ciò che aveva costruito. Ki-Hoon è divorziato, vive con la madre e vede la figlia con il contagocce. Incapace di arginare la propria ludopatia, ogni volta che si ritrova in possesso di qualche banconota la sperpera alle corse dei cavalli. Indebitato fino al collo con gli strozzini, ha perso ogni briciolo di dignità. Un personaggio inusuale, a volte irritante ma mai antipatico, già sperimentato altre volte nella storia sudcoreana dell’audiovisivo. Alzi la mano chi non si ricorda di Oh Dae-su, l’altrettanto fallito e sgangherato protagonista di Old Boy, il leggendario film di Park Chan-Wook. Ecco, non siete più nostri amici.
Squid Game su Netflix: i soldi sono tutto
Un’ulteriore caratteristica che differenzia Squid Game dalle altre serie basate sui giochi a eliminazione, su Netflix e non, è l’obiettivo finale. Nelle altre opere il fine è la sopravvivenza: i personaggi lottano per un futuro comunque nebuloso e incerto. Ki-Hoon e compagni, invece, conoscono bene ciò per cui gareggiano, per cui rischiano la vita, ovvero 45,6 miliardi di Won. Squid Game è anche una critica alla società contemporanea, in cui il denaro è tutto ciò che conta davvero e tutti abbiamo un prezzo. L’unica misura del valore, della dignità, della qualità della vita è la quantità di soldi che si possiedono. Persino da morti i concorrenti sono fonte di guadagno, grazie al commercio degli organi. La serie non fa altro che trasformare la crudeltà e il cinismo della nostra vita di tutti i giorni in gioco, seguendo un meccanismo di spettacolarizzazione della sofferenza che conosciamo fin troppo bene.
Squid Game su Netflix, come già detto, non brilla per la particolare originalità. Dalla sua, però, ci sono alcuni aspetti che la differenziano da opere simili: Ki-Hoon è capace di conquistare anche se è un fallito totale, la regia non ha sbavature, i costumi sono sgargianti e inusuali. Il tutto condito con quel pizzico di critica sociale che non guasta mai. Da provare!