Dragon Quest – L’Emblema di Roto 1 e 2 – Novembre
Dragon Quest L’emblema di Roto è un manga “d’altri tempi”. Il fumetto, scritto da Chiaki Kawamata e disegnato da Kamui Fujiwara, vide luce infatti per la prima volta nel 1992, e oggi la Star Comics ci propone questa Perfect Edition con l’opera rivista e corretta con un bel formato 14,5×21, 38o pagine abbondanti e tavole a colori. La maniera perfetta per riproporre un classico del fantasy nipponico a chiunque se lo fosse perso all’epoca. La parola “classico” è la chiave di volta per apprezzare quest’opera, nel bene e nel male, infatti ritroviamo in esso tutti i canoni di un fantasy stereotipato ma scevro di tutte quelle contaminazioni futuristiche cyberpunk moderne che caratterizzano la maggior parte dei manga odierni appartenenti al genere. La trama si ricollega direttamente a quella videoludica, e si colloca per la precisione 100 anni dopo la fine di Dragon Quest III, presentandone dei diretti riferimenti, a cominciare dall’origine del protagonista, il prode Arus, discendete di Arel, eroe appunto, del capitolo sopracitato. Il manga in questi due volumi iniziali si prende i suoi tempi per narrare una storia di formazione e “reclutamento” del team di protagonisti che si renderanno partecipi poi dell’avventura vera e propria che li porterà a combattere il grande Re Demone Imagine.
Almeno in queste due prime pubblicazioni, il ritmo è lento e gli eventi si susseguono in maniera piuttosto scontata. Ciò nonostante tutto questo si rifà ad un certo stile di narrazione che ben si sposa sia con la classicità sopracitata presente in un modello di riferimento come quello del Jrpg , da cui Fujiwara cerca di estrapolarne le dinamiche base e di trasporle sulle sue tavole, per cui con un iniziale attenzione a creare il contesto, l’universo e a delineare una crescita dei protagonisti minuziosa che non viene ai lasciata al caso. Dragon Quest – L’Emblema di Roto da questo punto di vista è molto più fantasy e fedele all’opera da cui trae ispirazione rispetto a Dai – La grande avventura, altro manga tratto dalla serie videoludica, sicuramente meritevole ma molto più incentrato sulla struttura dello shonen puro, con combattimenti esasperati e molta azione. In tutto questo non deve stupire infatti se molti personaggi sembrano un po’ stereotipati e se una certa ingenuità fa da sfondo ai dialoghi del manga, si tratta di un fumetto che non vuole essere innovativo da questo punto di vista ma che ciò nonostante immerge lentamente ma con costanza sempre di più il lettore nel mondo creato.
Dal punto di vista grafico, L’Emblema di Roto vive di alti e bassi, non tutte le vignette sono sempre chiarissime e il tratto per quanto pulito e deciso è tutt’altro che accattivante, sopratutto per quel che riguarda il character design. Di contro, il bestiario nemico, le città e in generale i dettagli che compongono la tavola sono spesso e volentieri curati minuziosamente rendendo le pagine dei volumi sostanzialmente un piacere per la vista. Inoltre, nonostante il design originale fosse di Akira Toriyama, Fujiwara conserva una certa riconoscibilità della matrice artistica della saga aggiungendo al contempo del suo, e questo vale soprattutto per le varie creature dell’universo di DQ, non copiate, ma reinterpretate in maniera convincente. Anche la leggerezza del racconto è a volte interrotta da momenti e scene più drammatiche che non risparmiano talvolta qualche momento più violento. Nel complesso, Dragon Quest – L’Emblema di Roto da quello che si evince dai primi due volumi di questa Perfect Edition, risulta un manga equilibrato e avvincente, forse non adatto a tutti, ma che sicuramente farà la felicità di quanti da troppo tempo sentono la mancanza di un prodotto nipponico dedicato a grandi Draghi, stregoni, elfi e prodi guerrieri. Dragon Quest, un po’ come Record of Lodoss, riesuma un’iconografia classica fantasy di matrice giapponese dimenticata oggigiorno, se non nelle sue iterazioni cinematografiche e letterarie occidentali che al contrario invece sono molto in voga in questi anni, e lo fa con maestria. Se cercate atmosfere di questo tipo, vista anche lo splendido formato con cui Star Comics ce lo ripropone, non lasciatevi scappare questi primi due volumi.
Deathco 1 – Novembre
Deathco è un manga piuttosto bizzarro, appartenente al genere Seinen, parliamo quindi di un’opera matura dai contenuti espliciti adatta ad un pubblico più adulto. Il manga si apre in questo primo volume in maniera tanto criptica quanto esplicita: un gruppo di malavitosi giapponesi si riuniscono per i loro affari, ma ad un certo punto i Reaper, una squadra di assassini che vestono costumi inquietanti entrano in scena mettendo fine alla vita dei criminali nei modi più coloriti e macabri possibili. Tra di loro, una ragazzina di nome Deatcho, una Reaper che agisce in solitaria e che sembra non sposare le cause, comunque misteriose, degli altri Reaper (e della Gilda di cui fanno parte), anzi sembra proprio non sposare nessuna causa ma essere mossa solo da ambigue volontà e da una psiche piuttosto instabile, probabilmente causata da un passato che questo primo numero ancora non rivela. Deathco è un manga molto criptico e introspettivo, un thriller noir che segue gli omicidi di questo “Cappuccetto Nero” tergiversando tra pagine e pagine di pura azione e non lasciando intendere ancora dove la storia andrà a parare.
Ma la sceneggiatura di Deatcho non è l’unico spunto di originalità, anche lo stile grafico è assolutamente poco canonico per un manga, sembra quasi un fumetto occidentale, con i suoi fortissimi chiaroscuri, assenza totale di retini e quel tratto realistico che quasi paiono uscire da un fumetto bonelliano. Uno stile particolare, un po’ grezzo per certi versi, molto convincente per altri, come certe tavole a tutta pagina davvero suggestive. Questo primo numero di Deathco incuriosisce, ma lascia anche perplessi per certi versi. Non rimane che scoprire cosa ci riserva l’evoluzione di questa particolare nuova uscita targata Star Comics.