Un’analisi dei primi due episodi di Star Trek: Picard
Ci sono immaginari che perdurano nel tempo. Saghe, mitologie, storie che si sono dipanate tra cinema, letteratura e tv e continuano, a oggi, ad invaderne il circondario. Tra tutte, quelle ambientate nei profondi spazi aperti sembrano continuare a far alzare gli occhi degli spettatori verso il cielo e a portarli tra quelle stelle scagliate contro l’oscurità dell’infinto dentro a universi sconfinati e, apparentemente, ancora capaci di rigenerarsi. È il caso di Star Trek: Picard, nuova serie targata Amazon Studios che – proprio nell’anno d’uscita dell’ultimo Star Wars di J.J. Abrams – torna a serializzare i propri racconti lì su, nel bel mezzo dello spazio, attivando un gioco di rimandi e novità che si dirameranno per l’intera prima stagione.
Come intuibile dal titolo, tanto didascalico quanto fondamentale per la comprensione della dimensione in cui la nuova serie andrà collocandosi, la produzione della piattaforma streaming vede prendere la propria forma partendo, prima di tutto, da uno dei personaggi cardine della saga. Un protagonista centrale, che torna dopo anni a rivestire la propria tuta ma, ancor più, il proprio ruolo da comandante. E lo fa riattivando quella politica della nostalgia che l’ambito dello show e dello spettacolo stanno, nel corso degli ultimi anni, enfatizzando.
È il capitano della navicella stellare Enterprise Jean-Luc Picard a farsi nuovamente cardine delle narrazioni del media franchise ideato da Gene Roddenberry, che si ricollega vent’anni dopo gli eventi che segnarono la trama del film Star Trek – La nemesi. Ultimo film prima dello stallo cinematografico attraversato dalla saga, prima di addentrarsi nei territori del reboot sul grande schermo con il refresh di Star Trek (2009), seguito dalle pellicole Star Trek – Into the Darkness (2013) e Star Trek Beyond (2016).
E, a rivestire ancora una volta i panni del capitano Picard, è Patrick Stewart, due decenni sulle spalle dall’ultima volta che rivestì la sua carica da comandante e con i segni dell’età che ne solcano adesso il maturo, ma sempre eloquente viso. Una vera e propria ri-appropriazione dello statuto della serie, distribuita sul canale statunitense CBS, ma che sceglie di aprirsi al resto del mondo con una finestra mediale inedita, che fa da contrappunto alla sua controparte Star Trek: Discovery, che per la diffusione capillare in tutto il globo ha deciso di cedere la propria storia allo streaming di Netflix.
Tornando assieme ad altri membri originari di Star Trek: The Next Generation – andata in onda dal 1987 al 1994 per un totale di sette stagioni -, Stewart rivitalizza l’immagine del suo Picard partendo proprio da una situazione di immobilità che sarà ben presto scossa fin nelle sue radici e che si figurerà come proposta per un’ulteriore avventura per il capitano e, forse, per la sua squadra.
Se, dunque, Star Trek Picard instaura questo ponte di collegamenti ipertestuali con le forme e i racconti che hanno preso sostanza partendo proprio da questi personaggi, è nei rimandi a realtà conosciute su cui si basa buona parte della nuova serie. A questioni che, inevitabilmente, si pongono in relazioni ai fatti del passato, che permettono ai fan di godere dell’attenzione che la realizzazione del prodotto audiovisivo ha voluto riservare agli appassionati di Star Trek, ma tentando di rendere la storia, seppur con evidenti appigli anteriori, fruibile a un pubblico che intraprende da neofita la visione.
Inevitabile è il godimento maggiore che chi, già partecipe emotivamente degli avvenimenti dei precedenti lavori della saga, potrà provare nei confronti di Star Trek Picard, ma l’occhio alla presa su di un pubblico che cerca di approcciarsi alla sfera narrativa inventata primariamente da Roddenberry è sempre vigile e pronto così ad accogliere immacolati adepti, sforzandosi soprattutto di attirarne la curiosità con l’enigma che, fin dalla prima puntata, mette in moto gli ingranaggi e i sentimenti della storia.
Ciò intorno a cui va innalzandosi Star Trek Picard è, infatti, un’indagine che sembra ampliarsi enormemente nel suoi primi due episodi, inserendo numerosissimi elementi a cui far aggrappare l’interesse del pubblico, che può rimanere a volte anche leggermente sopraffatto dalla quantità di materiale che viene in continuazione fornito. Un percepire la mole di situazioni che andranno ad innescare i meccanismi della serie e che si riflette, spostandoci su un altro dato di esperienza spettatoriale, sull’ingombrante voluminosità dei luoghi e delle scenografie virtuali della serie, che sovrabbondano per mantenere vivo ’immaginario sci-fi in cui nasce Star Trek, tentando di rinnovarlo e, insieme, espandendone ulteriormente la massa.
Un’abbondanza di temi e incastri che può dare la sensazione di un aggrovigliarsi complicato di ruoli e finalità, ma che lasciano sempre Picard al centro delle proprie vicende, come pilastro a cui aggrapparsi. Un uomo, un capitano, un punto focale intorno a cui potrà crearsi il caos, ma che sarà sempre sua premura tenere sotto il proprio controllo. E proprio del rivestire un’autorità così ingombrante sembra discutere Star Trek Picard, il trauma di un individuo, di un comandante che ha scelto di svestirsi del proprio titolo piuttosto che assecondare un potere a cui non aveva intenzione di sottostare e con cui, anche stavolta, sembra dover tornare a fare i conti.
Star Trek Picard è un gioco aperto a tutti in cui, però, sono principalmente i seguaci a poterne trarre il più ricco risultato. Una serie che si approccia a rimandi del passato, non volendo chiudersi totalmente su se stessa, riuscendo faticosamente nel processo, ma permettendo una fruizione apprezzabile anche senza l’eccessiva conoscenza del suo universo espanso.