Il The Space Moderno, situato nella bellissima Piazza della Repubblica in Roma, è stato il teatro di un footage di 15 minuti sparsi di Blade Runner 2049 a cui noi di Stay Nerd, insieme ad altri colleghi giornalisti di varie testate, abbiamo potuto assistere nel corso di un’anteprima dedicata – appunto – alla stampa.
Dopo questa breve ed intensa immersione nel distopico mondo che fu inizialmente creato dall’incredibile mente di R. Scott (ok, da Philip Dick, lo sappiamo…), abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con un altro geniale maestro, uno di quelli che sta scrivendo delle bellissime pagine del cinema dei nostri tempi. Stiamo parlando naturalmente del regista di Blade Runner 2049, Denis Villeneuve, venuto accompagnato da una delle attrici del film, Sylvia Hoeks.
I due, con grande disponibilità, hanno risposto alle domande della stampa sebbene non fosse affatto semplice né per noi, né per loro, per via dell’impossibilità di parlare e scrivere di tutto ciò che può essere considerato spoiler, dato il serrato embargo imposto da W.B.
Sì parte, ovviamente, con Villeneuve.
Come descriveresti questo particolare mondo del 2049, in cui è ambientato il tuo Blade Runner?
Villeneuve: Chi ricorda bene il primo Blade Runner troverà molti cambiamenti, ma allo stesso tempo vedrà la medesima lettura negativa del futuro, e sarà molto più post apocalittico. Questo film mostra come le cose non siano andate bene; il clima si è evoluto disastrosamente e chi è sopravvissuto si ritrova ora in condizioni terribili. Abbiamo pensato ad un blackout, per rendere la trama avvincente, che cancellasse tutti i dati e costringesse la gente a tornare allo stato brado e non dipendere più da internet.
Protagonista assoluto, come abbiamo visto, è Ryan Gosling. Qual è il suo più grande pregio?
Villeneueve: Io amo gli attori che non fanno gli attori. Uno come Clint Eastwood, ad esempio, porta presenza e senso sulla scena senza neanche muoversi. È uno che ha il carisma necessario per rendere le sfumature emotive molto particolari. Gosling è straordinario, di grandissimo talento, ed è per questo che l’ho messo in ogni singola inquadratura e che l’ho voluto protagonista a tutti i costi.
Mi sono impegnato a scegliere tutto. Il cast e tutte le comparse tra le migliaia che si sono presentate, perché non è che ognuno è giusto per un film così.
Poi una domanda per la Hoeks.
È un film con tanti personaggi femminili molto forti, tra cui il tuo. Come ti sei approcciata a tutto ciò?
Hoeks: Il fatto che ci siano tante donne è un aspetto che può attirare il pubblico, soprattutto per via di questi personaggi femminili tutti davvero forti. La scena che interpreto al fianco Robin Wright è stata intensa e lei è stata al gioco. Non voglio e non posso dire di più, ma aggiungo che ho potuto lavorare con in mano una tavolozza molto ricca di elementi, e la possibilità di esplorare è fondamentale per un attore. Ritengo che questo sia il ruolo più divertente che io abbia mai interpretato.
Torniamo a parlare con Villeneuve di aspetti più tecnici.
Qual è l’aspetto visivo che hai voluto dare al film? C’è questa forte predominanza del colore argilla.
Villeneuve: Come sappiamo tutti il primo film ha lasciato il segno dal punto di vista estetico e dal punto di vista dell’utilizzo della luce, con atmosfere cupe, fumose e ho voluto creare questa analogia, cercando di riprodurre lo stesso ambiente e quartiere della città di Los Angeles.
La differenza sta nella neve. Fa più freddo e il clima è stato al centro di questa nostra evoluzione; qui la qualità della luce mi ha sempre ispirato. A volte noterete momenti più bianchi, un po’ più argentei. L’inverno è al centro di queste varie sfumature di colori. Ho lavoro coi colori in un modo totalmente nuovo per me. Il giallo è particolarmente legato alla mia infanzia, tra l’altro.
Ho avuto modo di lavorare col migliore direttore della fotografia del mondo ed insieme credo abbiamo dato giusto tono al film.
Quanto è stata importante la CGI?
Villeneuve: Quando si realizza un’opera futuristica è chiaro la CGI sia importante. Ma io ho potuto costruire il set, ed ho voluto che fosse tutto edificato, anche perché fortunatamente c’era il giusto budget per poterlo fare. Sono grato alla produzione perché si è potuto virare verso un ritorno alle origini, un po’ come si facevano i film una volta, e questo è un bene per gli attori, perché possono concentrarsi solo sul proprio lavoro. Certo che la CGI è stata importante ugualmente, ma questo è ovvio.
Si sposta l’attenzione su Sylvia Hoeks e sul suo personaggio.
Qual è il tuo rapporto tra il suo personaggio e quello di Leto?
Hoeks: Non posso dire nulla. È difficile rispondere, infatti. Jared è un attore che applica il metodo, ed è stato affascinante vederlo sulla scena, e come non sia mai uscito dal personaggio. Non ci eravamo mai conosciuti prima, e forse proprio questo ha contribuito a creare un fortissimo realismo.
Torniamo ancora a Villeneuve.
Compirai 50 anni in contemporanea con l’uscita del film. Parlaci un po’ del tuo rapporto col tempo passa.
Villeneuve: Mi piace invecchiare. Più invecchio, più sto in pace con me stesso e questi 50 anni mi permetteranno di fare una piccola pausa e riflettere. Adesso devo pensare bene a quello che voglio fare del mio futuro.
Vorrei aggiungere una cosa, ovvero che può essere un po’ frustrante per tutti noi star qui senza che abbiate visto il film, perché non si può avere un vero dialogo. Purtroppo la colpa è degli spoiler. Noi lavoriamo anni per creare hype e non capisco perché la gente abbia tutta questa voglia di spoilerare.
In questo futuro da te rappresentato non sembra esserci la presenza del Social Network. Blade Runner è, possiamo dirlo, asocial network. Come se ci fosse realmente bisogno di un blackout. Cosa ci puoi dire a riguardo?
Quindi sarebbe un bene (ride n.d.R.)? Il rapporto con la tecnologia è tale perché siamo un po’ delle scimmie che si specchiano. Abbiamo perso il contatto con la natura. La tecnologia distrae. Questo non è un bene per la nostra mente ma mi auguro che possa avvenire un ritorno alla natura senza alcuna violenza. Blade Runner, il primo, è melanconico e molto fumoso, ma c’è bisogno di poter esprimere sentimenti profondi, e questi due film hanno in comune la medesima musica e le atmosfere sono curate in maniera esemplare. Ho insistito per utilizzare gli stessi strumenti dell’opera di Scott, esattamente per questo.
Dopo Arrival ecco Blade Runner 2049. Hai sempre amato la fantascienza?
Sempre. Sono appassionato di fantascienza e di scienza. L’ho anche studiata, mi affascinava la microbiologia, e l’idea di esplorare l’ignoto. La fantascienza mi ha permesso di scandagliare i limiti dell’umanità. Sono grato a Nolan perché credo ci abbia dato dei grandissimi film di fantascienza ultimamente.
Hai toccato un film che rappresenta un mito. Quale è la tua più grande paura?
In realtà non ho accettato a cuor leggero. L’ho fatto sapendo che sarebbe stato fondamentale essere in una situazione di controllo, ma consapevole di non avere idea di come potrà essere accolto, e forse anche con poche possibilità di successo. Mi sono detto che dovevo accettare tutto ciò senza farmi troppi problemi, ma solo per l’amore che ho per il Cinema. Non mi attendo null’altro. Il cinema è arte e non può esserci arte senza rischio. E con arroganza dico che questo è mio migliore film.