Nell’incantevole e lussuoso Sina Bernini Bristol di Roma, abbiamo avuto il grande piacere di incontrare il maestro Terry Gilliam, che si è seduto insieme a noi e ad altri colleghi della stampa per dirci qualcosa di più del suo ultimo film, L’uomo che uccise Don Chisciotte (ecco la recensione), e del suo cinema in generale.
Come mai dopo tutti questi anni hai scelto proprio Adam Driver come protagonista? Come è stato lavorare con lui?
In realtà l’ho scelto perché l’ho incontrato in un pub a Londra ed abbiamo parlato. Non avevo visto nessuno dei suoi film, ma mi piaceva perché era completamente diverso da come immaginavo il mio protagonista. Ero stanco e annoiato dalla mia idea originale, e Adam non si muove e non si comporta neanche come un attore, motivo per cui ci siamo piaciuti subito.
Kafka ha scritto che il dramma in Don Chisciotte non è la sua fantasia, ma Sancho Panza. Tu metti al centro del tuo cinema la fantasia, mentre oggi – di solito – si va verso la realtà. Oggi, insomma, il cinema è Sancho Panza.
Dici che anche gli Avengers sono Sancho Panza? (ride n.d.R.).
Comunque non sono d’accordo; io credo che tutti i grandi film siano basati sulla fantasia senza nessun contatto con la realtà. Nascono dal mondo dei sogni giovanili. A me interessa la battaglia tra la fantasia e il reale. Don Chisciotte è la fantasia e Sancho è ancorato alla realtà. Film tipo Avengers non hanno questi due aspetti, ma solo quello fantastico. Forse quelli che citi tu sono quelli con poco budget, che quindi devono essere realistici e basta.
Noi ad ogni modo abbiamo girato sempre in esterno e non negli studios; ciò ha consentito che la fantasia si sviluppasse a dovere.
Nel film ci sono tanti riferimenti anche al tuo cinema. La figura del gitano, ad esempio, è molto simile a Johnny Depp, che era uno degli attori che all’inizio avrebbe dovuto partecipare.
Beh, a quanto pare il tuo film è più interessante del mio (ride n.d.r.)! A parte gli scherzi, no, non avevo in mente Depp rappresentando il gitano. Comunque è questo il motivo per cui mi piace fare film: leggere ciò che scrivete. Io realizzo film pessimi ma sono bravo a infinocchiarvi, e quando non funziona è sempre colpa vostra. Tra l’altro il nome del gitano, se ci avete fatto caso, è Deus Ex Machina.
Ad un certo punto, nel film, Don Chisciotte dice a Sancho: “nei nidi dell’anno passato non ci sono più uccelli”. È una citazione da Cervantes? Come hai lavorato, in tal senso, sulla sceneggiatura?
Abbiamo una trentina d’anni per discuterne? (ride n.d.r.)
Quando ho letto, il libro nel 1989, ho pensato che non sarebbe stato possibile farne un film perché era troppo ricco, troppo denso, e l’idea originale era di impostarlo sugli ultimi giorni di un uomo che ritornava a pensare al passato, blaterando con espressioni del tipo “se avessi detto, se avessi fatto, ecc…”; per poi decidere che era giunto il momento di fare finalmente qualcosa. Ma alla fine ho cambiato idea, e mi son detto che sarebbe stato più importante raccontare come i film si ripercuotono sulle persone, che impatto hanno su di loro. Peraltro è un po’ quello che è successo a Don Chisciotte, che aveva letto tanti libri con donzelle e cavalieri ed è uscito fuori di senno.
Ci interessava capire cosa fosse capitato agli abitanti del villaggio, persone semplici a cui era stata data la chance di fare un film. Io penso che L’uomo che uccise Don Chisciotte si sia scritto da solo, e che sono solo uno scrittore molto lento.
Grazie al documentario “Lost in la Mancha” abbiamo visto le disavventure di quella produzione, abbiamo visto Johnny Depp e alcune idee iniziali. Il film, all’epoca, doveva essere una sorta di viaggio nel tempo. Cos’altro è cambiato durante gli anni?
Prima il protagonista prendeva una botta in testa e tornava indietro nel tempo, qui invece è diventato un uomo di talento che tuttavia lo mette da parte per fare soldi, realizzando pubblicità anziché film. Fin troppi cineasti non accettano la responsabilità dell’effetto del loro lavoro sulle persone, e non pensano a quanto sia importante portare la gente a pensare in maniera corretta, o anche scorretta, che è anche più interessante.
Inoltre, man mano che invecchi impari nuovi trucchetti ed è interessante capire se fallisci, ma io non ci sono riuscito (sorride n.d.r.).
Cosa ti ha spinto a non smettere mai e a portare avanti il progetto?
L’ho fatto perché tutte le persone ragionevoli mi dicevano di lasciar stare, ma io credo soltanto nelle persone folli. Don Chisciotte è molto pericoloso perché quando ti entra nel cervello non te ne liberi e diventi quasi come lui.
Questa versione del film sarebbe potuta esistere nel 1989 o nel 2000?
Assolutamente no. Anche perché io sono veramente convinto che il film esiste in un momento specifico della tua vita e con determinate persone. Adam Driver è molto diverso da Johnny Depp o dagli altri che erano stati considerati. Credo che questo film sia molto più interessante di quello che avrei potuto fare nel 2000.
Questa versione è stata realizzata tra l’altro con molti meno soldi di quanti non ne fossero stanziati all’epoca, ma questo ci ha permesso di essere più concentrati e realizzare un ottimo lavoro. La cosa curiosa è che Adam ha preso invece molti più soldi di quanti non ne avrebbe presi Depp (ride n.d.r.).
Qual è secondo te il rapporto tra Don Chisciotte e la vecchiaia? Invecchiando si diventa più Don Chisciotte o più Sancho Panza?
Alcuni tendono ad essere più come Sancho perché diventano più rigidi e si attengono ad un mondo tranquillo, altri diventano invece più bambini. Dipende anche dalla vita, a cosa ti porta.
Nel film sembra che il personaggio di Don Chisciotte sia imprigionato in una specie di tormento giocoso intorno alla sua stessa icona, e ad un certo punto pronuncia la frase: “forse potrei sbarazzarmi dei miei sogni”. In tutta la tua carriera, c’è un sogno di cui tutto sommato ti saresti sbarazzato?
No, in realtà tutti i miei sogni mi piacciono ed anzi ci rimango aggrappato disperatamente, perché la vita può essere molto ripetitiva, mentre i sogni non lo sono mai. Quindi non rinuncerei mai a nessuno di essi. Già che ci sono vorrei parlare di Jonathan Pryce, che per 15 anni avrebbe voluto ed ha cercato di interpretare questo personaggio e io non l’avevo mai ingaggiato, ma quando l’ho fatto la sua performance è stata sorprendente. Ha aggiunto tantissimi elementi; è come se avesse inglobato in questa performance tutti i personaggi shakespeariani che ha interpretato nella sua carriera.
Si può ancora trovare l’immortalità nell’irrazionale? Il tuo cinema cosa può rappresentare in questo senso?
Onestamente l’unica cosa che possiamo dire è che Don Chisciotte non muore mai, perché la conoscenza si tramanda. Fondamentalmente questo è quello che fa l’arte. Noi non siamo mai originali al 100% perché andiamo sempre a rubare qualcosa da quelli che sono venuti prima di noi. Don Chisciotte non morirà mai ma continuerà a vivere, perché troverà sempre una nuova voce.
Non vogliamo che “L’uomo che uccise Don Chisciotte” sia il tuo ultimo film. Cosa puoi dirci a riguardo?
Lo spero anch’io. Voglio ancora fare film, ma non ho idea di quale sarà il prossimo.